MARVELIT
presenta
Di
Valerio Pastore
Episodio
1 – Nuovi Eroi, Vecchi Problemi
Las
Vegas...
Flying Griffin! – Plumber & Fixer, proclamava l’insegna che occupava l’intera parete
del camper. Uno stilizzato grifone in picchiata era stato aggiunto fra ‘Flying’
e ‘Griffin’.
In
piccolo, era stato aggiunto fra parentesi Spettacoli Teatrali per scuole a richiesta.
Questo,
in sintesi, il curriculum del proprietario del camper.
Musiche
di Rossini in sottofondo, spaparanzato sul lettino, totalmente concentrato su
un libro della ‘Carmen’, stava Griffin Gogol.
Il
vostro tipico ometto, una persona così vistosamente lisa che neppure gli abiti
di un re l’avrebbero messa in risalto fra la folla. Era infatti più facile
notare i suoi abiti –camicia a quadri, giacca frusta verde di uno stile non
meglio identificato, pantaloni di velluto a coste marrone, scarpe finto
italiano- che non la persona in sé.
Griffin
Gogol era nato ebreo, e questo si vedeva eccome –naso camuso, stempiatura già
pronunciata, lineamenti marcati...Inutile ogni tentativo di mantenersi rasato e
di sfuggire al suo retaggio culturale. Era come se gli avessero tatuato addosso
zucchetto e Torah.
Professionalmente,
non stava molto meglio: ci si ricordava di lui solo quando, esaurito ogni altro
tentativo...
...faceva
squillare il suo telefono, preferibilmente, come ora, facendogli venire un
mezzo accidente dalla sorpresa!
Ad
ogni modo, i riflessi di Griffin furono prontissimi: fu giù dal lettino e
addosso al cordless (durante l’ennesima ricarica di una batteria che sarebbe
dovuto essere stata cambiata da molto tempo) alla parete opposta in un solo
movimento.
“Griffin
per te, chiunque tu sia!” esclamò giulivo. “Serve l’attore o il riparatore?”
Quasi
divenne completamente calvo, al torrente di oscenità che lo investì dalla
cornetta! Ancora leggermente disorientato, riuscì a cogliere delle frasi di
senso compiuto da una voce improvvisamente diversa. “Le chiedo scusa, Mr.
Gogol. E’ stato di nuovo quell’altro, che...”
“Non
ti preoccupare, figliolo. Ne ho incontrati di peggiori, di individui. Cosa non
va, stavolta?”
“Ah...il
quadro elettrico, temo. Stavo guardando la TV, e di colpo...”
Griffin
sospirò. “Arrivo subito, e non toccare niente...E non chiedere di nuovo
aiuto ai vicini inesperti.”
Il
tempo di prendere la cassetta degli attrezzi, e Griffin uscì dal camper. Era
fortunato, ad avere quel ragazzo come cliente quasi fisso: abitava abbastanza
vicino da non perdersi, in quel tremendo labirinto che era il parco roulotte
‘Il Vagabondo’.
Avvicinandosi
alla anonima, piccola abitazione su ruote del vicino, Griffin si chiese per
l’ennesima volta chi fosse l’irritabile strambo che gli rubava il lavoro
–fortunatamente, riuscendo solo una volta su dieci. Erano sempre insieme,
quando Chip lo chiamava, e l’altro era sempre sparito quando Griffin arrivava.
Anche
se era a portata del campanello, Griffin non suonò, ma si mise davanti alla
porta...E voilà,
Chip
Martin era lì, sulla soglia, un largo
sorriso stampato in volto. Era come essere sposati, tanto era diventata
meccanica, quella sequenza di eventi.
Chip
era il tipico sottoprodotto di una civiltà nevrotizzante –era un giovane
simpatico, capelli castani lunghi e ribelli, moderatamente atletico,
laureato...E un fascio di nervi. Prendeva tranquillanti come fossero caramelle,
a meno che quella volta che si era rotto il sacco per la spazzatura, non stesse
buttando via una bella collezione di flaconi. Era riservato al punto che un
Maccartista avrebbe aperto un file su di lui, e stava bene attento ad evitare
gli assembramenti superiori alle 2 persone.
A
parte questo, era un bravo ragazzo. Soprattutto, non ti negava una bella tazza
di caffè con pasticcini a lavoro finito. Chip diceva che li faceva da sé, e
c’era da credergli!
“Mi
dispiace di averla chiamata così di colpo, Mr...”
Come
al solito, Griffin lo interruppe garbatamente mentre entrava. “Figurati,
figliolo. A che serve un professionista, altrimenti?”
“A
chiedere una parcella salata, per esempio?” era pietosa, lo sapevano entrambi
–ma era un miracolo, ottenere delle battute da Mr. Timidezza.
Griffin
si diresse al quadro elettrico, e, individuato il guasto, iniziò a lavorarci
sopra. C’era ancora la luce del tramonto, e ci vedeva abbastanza. “C’era roba
interessante, in TV?”
Il
profumo di caffè iniziò a diffondersi per la roulotte, seguito al volo da
quello dei pasticcini nel microonde. Preparando la tavola, Chip disse, “Il
notiziario. Stanno scoppiando disordini intorno all’Ambasciata di Zilnawa.
E dato che lì c’è anche la sede della Talon Corporation...”
“Non
ci perderesti molto, figliolo,” disse Griffin, assorbito dal lavoro. “Se ci
tieni tanto a fare l’uomo delle pulizie, puoi farlo ovunque.”
Chip
versò il caffè nelle tazze. “Neanche a te piace tanto, quel posto, eh?”
Griffin
levò la testa...e diede una craniata sullo spigolo del portello! Diede in una
breve bestemmia in Yiddish, e disse, “Solo perché ha un nome che daresti a un
cartello criminale, e perché si vocifera che sia una sussidiaria di qualche
famiglia criminale, e...Bah!” Detto ciò, spinse l’interruttore.
La
luce artificiale rimpiazzò quella ormai quasi estinta del giorno con intensità
quasi dolorosa per gli occhi. La televisione riprese a trasmettere sulla CNN, e
la scena era ora preoccupante.
L’Ambasciata
di Zilnawa era un palazzo di due piani, all’interno di un enorme complesso
privato alla periferia est di Los Angeles. Il complesso apparteneva alla Talon,
una neonata corporazione di dubbia reputazione ma che già era riuscita a
reclutare numerosi giovani talenti in svariate discipline scientifiche
d’avanguardia.
La
Guerra dei Mondi aveva distratto l’attenzione pubblica, per un po’. Ma,
passati quei giorni, i più conservatori estremisti al governo USA avevano
ripreso a puntare l’indice sugli ‘ambigui’ rapporti fra lo stato sudafricano,
una democrazia interamente nera, nato dalla disintegrazione del dominio bianco
in quella porzione di mondo, e la Corporazione.
Dai
cartelli branditi da alcuni manifestanti, tutti bianchi, si capiva cosa
pensassero dei ‘Niggers’ che se la facevano con i mafiosi, e di ‘quelli’ che
‘tramavano per pugnalare la democrazia alle spalle’.
Era
altrettanto chiaro che solo le massicce fortificazioni del complesso edilizio
avevano prevenuto finora la degenerazione della manifestazione. I protestanti
erano come contadini che volessero usare i forconi per abbattere i muri. Non
c’era bisogno della polizia, per ora.
La
donna in doppiopetto, in piedi davanti alla telecamera, sembrava pensarla diversamente.
“Parla
Tanya Veil, in diretta dalla Talon Corporation.
“Qui
la situazione non accenna a migliorare, anzi, i manifestanti sembrano farsi
sempre più aggressivi col passare del tempo. La Talon Corporation, più volte
contattata da noi e dalla polizia, continua a chiedere il non-intervento di
forze esterne, confidando, riferisce il loro Ufficio Stampa, ‘sul buonsenso che
alla fine prevale su ogni umana considerazione’.
“Be’
per ora non sembra essercene molto, di buonsenso. Il guaio è che ad aizzare i manifestanti
non c’è una figura sola, ma un intero gruppo, e bene mescolato.” Una nuova
immagine sostituì quella della reporter: quella di due individui vestiti
completamente di lunghe toghe bianche, il simbolo di un sole fiammeggiante
inciso sul petto, i volti deformati dall’odio, che anche senza il sonoro
sembravano urlare al di sopra della massa.
Stacco
su Veil. “Ne sono stati contati una ventina. Si fanno chiamare Luciferi,
i Portatori della Luce. Un movimento nato in sordina, e vissuto nell’ombra,
fino a quando l’ambasciata di Zilnawa non è stata eretta sul territorio della
Talon.
“Il
problema più grave è che, sull’onda di questa manifestazione, stanno scoppiando
disordini razziali un po’ dappertutto a Las Vegas. Forse, alla Talon temono che
l’intervento delle autorità dia benzina al fuoco dei Luciferi...”
Griffin
e Chip seguivano lo sviluppo con espressioni cupe.
“Ecco
un caso in cui un supereroe potrebbe dare tanti cazzotti e non risolvere
niente,” disse Chip, scuotendo la testa. Bevve un sorso di caffè. “Vorrei tanto
credere che anche da fatti come questi possa venire fuori qualcosa di buono,
ma...” e lasciò la frase in sospeso.
Griffin
annuì. La sua stessa gente, in Palestina, stava facendo cose di cui vergognarsi
–loro, che avevano subito l’onta della prepotenza per millenni, ora non stavano
facendo meglio dei loro avversari. Stava per dire qualcosa, quando “Porca
miseria!”.
Anche
sullo schermo, Tanya Veil sembrava di sale. “Hanno eretto una croce,” stava
dicendo, la voce a stento ferma. “E sulla croce...”
Zoomata
sulla croce, un oggetto massiccio, di legno, lucidato fino a risplendere nella
luce della luna piena.
Sulla
croce, fissato con delle robuste corde, un uomo.
Un
uomo, un nero. Era inerte, con indosso i brandelli di una T-shirt e black
jeans. Se c’erano lividi, erano invisibili.
Le
corde che lo reggevano alla croce erano fissate in modo tale che ogni movimento
di lui lo avrebbero implacabilmente strangolato.
E
già alcuni manifestanti con in mano delle torce stavano intorno alla croce.
“Non
possono volere fare questo,” disse Chip. “No, davvero,
signor...Griffin?”
Ma
stava già parlando all’aria.
“Forse
il caffè era troppo forte?”
“Ci
avete sentito!” urlava uno dei Luciferi. L’ira trasformava quello che doveva
essere un bel volto in una maschera, ironicamente, quasi demoniaca. “Sporchi
cospiratori, venite fuori da lì, consegnate l’ambasciata, o questo vostro
simile animale farà la fine che merita!”
La
folla lo accompagnava con un ruggito terribile.
Dentro
l’Ambasciata, il Console scuoteva la testa rassegnato. Aveva una folta criniera
crespa, d’ebano, e il volto quello di un giovane non oltre i 35 anni. Lo
Zilnawa era uno stato giovane, e voleva trasmettere al mondo un’immagine di
energia.
Il
Console Raawa era il figlio di una stirpe di guerrieri della politica,
di gente che aveva combattuto contro l’Apartheid con un vigore ineguagliato,
senza mai abbassare lo sguardo. Molti suoi amici erano morti combattendo,
sapendo di stare costruendo le basi per il futuro migliore sognato per
generazioni.
Non
si era mai trovato nella posizione di scegliere fra l’immolazione, adesso, o il
sacrificio di un innocente...
Oltre
ad alcuni addetti, nella segreteria dell’Ambasciata era presente un’altra
figura, un uomo bianco dai tratti orientali. Costui era vestito di un gessato
nero, dagli angoli così definiti che sembrava essergli stato disegnato addosso.
Tutto, in quell’uomo, rivelava un essere affilato, di corpo e di logica.
Il
Presidente della Talon Corporation guardava dalla finestra del secondo piano
con sommo disprezzo. “Che creature stolte,” disse, la voce priva di
inflessioni, come una divinità che guardi gli sforzi delle formiche. “Credono
di potere dare ordini a uno stato a colpi di torce e randello...Signor
Ambasciatore, mi dia il permesso, e le mie forze disperderanno quei bigotti, e
recupereranno quel giovane mentre la polizia...”
Raawa
scosse la testa. “Devo ancora chiederle, signor Presidente, di trattenere la
mano. Per quanto possa essere difficile ammetterlo, la violenza non risolverà
nulla. La giustizia colpirà comunque quegli esaltati. Ma non possiamo né
arrenderci né cedere ai loro bassi istinti.”
Nessuno
vide Alexander Thran socchiudere impercettibilmente gli occhi, e serrare
le mani sul pomolo del suo bastone. Invece, lo videro fare un cortese inchino e
dire, “Rispetterò la sua decisione, signor Console. Sa dove trovarmi, se
dovesse avere bisogno dei nostri servigi.” E, detto ciò, si voltò ed uscì.
In
corridoio, fu affiancato dalla sua segretaria, una donna in doppiopetto che
invece non sarebbe stata male sulla copertina di Vogue. La donna teneva
in mano un notepad da fantascienza, e sembrava distaccata come il suo
principale, il quale fondamentalmente odiava i leccapiedi.
“Kristen,”
disse Thran, mentre procedeva a larghi passi, “si prepari a contattare l’agente
Saki. In un modo o nell’altro, voglio quel ragazzo libero immediatamente. Prima
che la polizia arrivi, visto che a questo punto la situazione ci è sfuggita di
mano. Questa manifestazione è spontanea come una bustarella, e non posso
permettere che...hm?”
La
donna gli porse il notepad. Attraverso il collegamento con le telecamere
esterne, Thran capì il perché di quel gesto. Lo capì, e gli sfuggì
un’imprecazione.
La
folla si era acquietata come per magia, il silenzio interrotto da poche voci
isolate.
Sopra
di esse, letteralmente, quella di un uomo.
“Sapete,
gente, la democrazia è bella perché vi permette di esprimere qualunque idea,
liberamente. Anche se si tratta di scempiaggini come le vostre.”
L’uomo
stava in piedi, sospeso a mezz’aria, le braccia incrociate severamente, e
vestiva del costume più colorato che si fosse visto –rosso, giallo,
verde e blu in una disposizione, incredibilmente, ordinata.
“Ma
la democrazia non vi dà la libertà di uccidere altri esseri umani. Meno
che mai per il loro colore di pelle!”
Fu
solo a quel punto, che uno dei Luciferi, quello in testa ai manifestanti, levò
il braccio, indicandolo. “Chiunque tu sia, sei solo un traditore della
razza umana! Prendetelo!”
Si
levarono dei fucili, ma prima che un solo grilletto potesse essere premuto, la
figura colorata del super-essere divenne una macchia indistinta.
Una
macchia che andò ad afferrare la pesante croce come fosse stata di cartapesta!
Il
super-essere andò a posare la croce al sicuro, dentro le mura della Talon.
Borbottava. “’Chiunque tu sia’...hmpf, ignoranti.”
Subito
tre jeep e un’ambulanza della Talon andarono a circondare l’eroe. Da due jeep e
l’ambulanza emersero addetti ed infermieri che andarono ad occupare di quel
singolare ‘carico’.
Dalla
terza jeep emersero il Presidente della Talon, la sua segretaria ed il Console.
Il
Console allungò la mano, e l’eroe gliela strinse. “Le siamo molto grati per il
suo intervento, signor...?”
“Capitan
Ultra, signor Console. L’eroe che sa fare tutto meglio di te,” rispose Cap,
con un sorriso smagliante. “Se posso essere di aiuto per disperdere quella
gente senza spargimento di sangue...” e, come a sottolineare le sue parole, già
si udivano delle sirene in distanza.
Thran
si fece avanti. “Un intervento auspicabile, Capitano. La velocità è di
fondamentale...”
“Non
può fare niente,” disse qualcuno dietro di loro.
Era
l’uomo della croce. Stava mettendosi a sedere, l’espressione ancora leggermente
stordita. Era un armadio, pieno di muscoli e senza un capello in testa. “Sono
centinaia, e il morto ci scapperebbe. Bisogna concentrarli e distrarli. Solo
così si può disinnescare quella bomba collettiva.”
“Bene,”
fece Ultra, “si accettano suggerimenti.”
“Mi
basta ricambiare il favore,” disse l’uomo, ormai in piedi.
Ci
fu uno scambiarsi di occhiate perplesse. Ultra disse, “Prego..?”
Per
tutta risposta, l’uomo assunse un’espressione concentrata...
...Poi,
di colpo, i suoi lineamenti furono attraversati da un bagliore di energia...
E
quello che emerse era decisamente più che umano! “Però!” disse Ultra.
Al
posto dell’uomo, c’era una figura coperta in parte dal ghiaccio e in parte dal
plasma, come se avessero mescolato l’Uomo Ghiaccio e la Torcia Umana. La sua
fronte si apriva in due placche congelate, in mezzo alle quali la calotta
cranica bruciava di plasma.
“Andiamo,
Capitano,” disse il super-essere, con voce più profonda, minacciosa. “Io e
quegli esaltati abbiamo un conto da regolare!” Ma, invece di entrare in azione,
si ritrovò una mano colorata sul petto ardente, a fermarlo.
“Non
lo sentite anche voi?” fece Ultra, guardando verso il muro. “I Luciferi sono
spariti. La folla...”
In
quell’istante, anche Thran fu contattato attraverso il notepad. “Signore, la
folla si sta disperdendo. Ordinatamente.”
Thran
chiuse la comunicazione. Poi, ad Ultra, “Immagino che questa sua cognizione di
causa...”
Ultra
annuì. “Ultra-udito, e Ultra-vista. Tornano comodi, ogni tanto...Hmm,
ragazzo..?” fece poi l’eroe, all’uomo di fuoco e ghiaccio.
L’essere
disse, brusco. “Equinox l’Uomo Termodinamico, per te. Cosa c’è?”
“Be’,
non c’è più bisogno che tu stia così. Voglio dire, adesso ci pensa la polizia,
giusto?”
Equinox
annuì, con un curioso sorrisetto. “Questo lo sapevo già, Ultratonto. E’ che non
ho vestiti a molecole instabili!”
Capitan
Ultra capì, e arrossì.
Thran
si avvicinò loro. Il suo sorriso sarebbe potuto essere stato scambiato per
cortesia, ma chi conosceva l’uomo sapeva di dovere temere, in quel momento. “Se
lo desidera, Equinox, la Talon la rifornirà di un intero stock...E, signori, se
la cosa dovesse essere di vostro gradimento, vorrei fissare un appuntamento per
una proposta di...lavoro.”
Confusi,
i due super si scambiarono un’occhiata.
Thran
estrasse un biglietto da visita dal taschino della giacca. “Oggi è Lunedì.
Potete pensarci su tutta la settimana; il Console Raawa tornerà in Zilnawa solo
Domenica.”
Altro
scambio di occhiate.
Pochi
minuti dopo, i due super erano in volo. Equinox affiancava Capitan Ultra grazie
al plasma emesso dalle gambe congelate.
“Mi
piace quel trucco, Equinox...Ma credevo che ci volesse il calore, per generare
calore.”
L’Uomo
Termodinamico disse, “Puoi anche chiamarmi Terry, se vuoi. Ad ogni modo, il
‘trucco’ è che ottengo calore da un intenso scambio di energia. Il ghiaccio è
il risultato dello scambio. Così come posso emettere gelo sottraendo calore e
diventando caldo io stesso.”
“Capisco,”
fece l’eroe, che non ci aveva capito un’acca, ma proseguì. “Mi sembravi un po’
nervoso all’idea di avvicinare la polizia. Hai avuto problemi con loro?” non lo
chiese per scortesia, ma in base al fatto che alcuni eroi tendevano ad avere
modi un po’...bruschi.
Per
un attimo, Equinox digrignò i denti, mostrando dei canini da vampiro. Poi, con
amarezza nella voce, “Ero piccolo, quando mio padre, un fisico, fu sbeffeggiato
dalla comunità scientifica. Lui divenne un alcolista e iniziò a picchiare me e
mamma.
“Papà
aveva cominciato a fare esperimenti in casa, e uno di quegli esperimenti, alla
fine, gli scoppiò letteralmente in faccia. Io tentai di salvarlo, ma restai
contaminato dalle radiazioni del suo apparecchio. E divenni quello che sono.
“Mamma
fece quello che poté per aiutarmi, ma ci mancavano i mezzi, ed io iniziai a
rubare quello che le serviva per guarirmi. Durante un furto, fui quasi
catturato dall’Uomo Ghiaccio e la Torcia Umana. A quel punto,
avevo anche cominciato ad impazzire...e poco tempo dopo, abbandonai la mamma.
“Odiavo
tutto e tutti, e in tale stato attaccai l’Uomo Ragno, il Calabrone
e Wasp. Fui fortunato, però. Il
Calabrone trovò un modo di neutralizzare i miei poteri, e dopo un periodo di
prigionia, fui confinato al Ravencroft Institute per le cure
psichiatriche necessarie.
“Quando
fui dichiarato sano di mente, e potei uscire, la mamma era morta per
avvelenamento da radiazioni. Cercare di curarmi l’aveva uccisa. Ed era stato
invano, perché i miei poteri erano stati resi solo latenti.
“Giurai
sulla tomba di lei che non mi sarei mai più dato al crimine, che l’avrei resa
orgogliosa di me.”
Capitan
Ultra avrebbe voluto avere un fazzoletto sottomano. “Per questo eri stato
catturato così facilmente? Avevi scelto di non usare i tuoi poteri anche se eri
in pericolo di morte?”
Equinox
fece di nuovo quel sorrisetto. “No. Mi avevano preso di sorpresa e sedato ben
benino. Non le ho giurato che non mi sarei mai difeso.”
Ultra
trattenne un sospiro, poi disse, “Pensi di andare a quel colloquio?”
“Male
non farà. Devo ammettere che mi diverte, l’idea di usare i miei poteri senza
dovermela fare con un branco di supereroi a caccia di gloria. E tu?”
Ultra
disse, “Ho sempre sognato di dare una svolta alla mia vita, ma sembra che
nessuno avesse voglia di un nuovo supereroe...Pensa, cercai addirittura di
esordire fingendo di unirmi ai Terribili Quattro. Pensavo che se li
avessi sconfitti, sarei diventato qualcuno...Ah, eccolo,” si fermò, ed indicò
il campo roulotte. “Abito lì, Terry. And*”
L’Uomo
Termodinamico seguì lo sguardo di Ultra, e capì perché si era messo a tacere di
colpo.
Fiamme
consumavano un’area del campo!
Griffin
se ne andato da un minuto, e Chip stava pensando che ormai avrebbe fatto meglio
a rimettere in ordine, quando vide Tanya Veil passare dalla preoccupazione
all’eccitazione.
“E’
intervenuto un super-essere. Sta sospeso nell’aria, parlando alla folla...E,
sì, ha preso tutta la croce, e ora la sta portando al sicuro, dentro il
complesso Talon. I manifestanti sembrano sinceramente sorpresi, confusi...Anche
i Luciferi tacciono improvvisamente. Ma chi è questo nuovo super? E’ un
mutante, un eroe...Come, Dan?” qualcuno le stava parlando da dietro la
telecamera. Poi lei si riprese. “Mi dicono che è Capitan Ultra, un eroe di
secondo piano, che ha brevemente militato nei Difensori e insieme a Thor
una volta. Adesso la folla si sta disperdendo, ma...non si vedono più Luci*”
Chip
aveva spento la TV. Tutta quella storia era diventata un tale casino!
Chip
guardò l’orologio al polso. Hmm, fra un minuto avrebbe dovuto prendere una
nuova dose. Era preoccupato: le ultime non avevano avuto quasi praticamente
effetto...e il suo metabolismo non era di quelli che si assuefacevano.
Chip
prese un flacone dall’armadietto, studiando attentamente l’etichetta. Anni di
esperienza gli avevano insegnato a riconoscere le contraffazioni a colpo...
“Oh,
no.”
Il
flacone era genuino, nuovo.
Ma
era scaduto!
Chip
barcollò, lasciando cadere il flacone, sparpagliando pillole su tutto il pavimento.
Si sentiva preso in trappola, il respiro gli si fece corto.
Panico!
Lui
guardava sempre la scadenza, sempre! Un farmaco scaduto era senza efficacia,
acqua fresca...Quel dannato farmacista se ne era approfittato, lo aveva
truffato!!
Perchénonseneeraaccorto?
PERCHè??
La
realizzazione venne insieme a una nuova ondata di panico.
L’Altro.
L’Altro aveva aspettato pazientemente, studiato ogni sua mossa. Tutte quelle
improvvise esplosioni per distrarlo, mentre in realtà lo manipolava
sottilmente,
distraendolo.
Chip
si mise seduto a terra. Gli sfuggì un gemito. “Ti prego, non farlo. Abbiamo
vissuto bene, nessuno ci ha notato...Per favore, resta dove sei...”
All’esterno
della roulotte, delle figure erano in posizione tutto intorno ad essa. Nelle
roulotte vicine, gli inquilini stavano chi zitto zitto, pregando che finisse
presto, chi chiamando la polizia.
Suoni
di armi ad energia in carica si mescolò all’etere...Poi, una voce dalla
roulotte di Chip. Una voce chiara, attraverso le pareti sottili.
Una
voce crudele. “Tu puoi restare nel tuo cantuccio, se lo desideri,
perdente! Io, ho voglia di divertirmi, e sai come, per cominciare?”
Sofisticati
fucili al plasma furono puntati....
La
roulotte esplose!
Gli
aggressori, vestiti di uniformi/armature, le teste avvolte da pesanti caschi,
furono sparpagliati disordinatamente.
Dal
globo di fuoco che era stata la roulotte di Chip Martin,
emerse,
illeso, un individuo.
Un
individuo che di Chip Martin aveva il corpo. Un corpo ora avvolto solo da un
aderente costume diviso per la lunghezza in beige e blu.
La
stessa testa di Chip era per la perfetta metà nera.
La
sua espressione era improntata alla gelida furia. “Comincerò ammazzando questi
patetici Cacciatori di Mutanti, ecco come!”
Gli
aggressori stavano cercando di rimettersi in piedi. Il capogruppo disse,
freneticamente, “Caliban ad Appoggio! Il soggetto è attivo, ripeto, il
soggetto è attivo. Urgono rinforzi...YYEAARRRGG!”
Il
grido di morte dell’uomo si spese nell’ondata di proiettili telecinetici che lo
investì, riducendolo letteralmente a brandelli!
Gli
altri cinque componenti della squadra erano pietrificati.
Il
mutante si voltò verso di loro, gli occhi due scintille. “Sorpresi? Chip
credeva davvero di avermi tenuto sotto controllo, mentre in realtà affinavo le
mie capacità. Sapevo che sareste venuti, vi ho sentiti dalla prima volta
che ci avete messo gli occhi addosso. E tanta dedizione merita una
ricompensa...”
Ci
fu un tentativo di fuga. Poi si udirono le esplosioni, come se avessero fatto
scoppiare dei frutti marci dentro i caschi. I Cacciatori si irrigidirono
allo stesso tempo, e caddero come sacchi flosci, ancora in preda a spasmi post
mortem.
Il
mutante scosse la testa. “Che fessi, gente. Diventa quasi quasi troppo...hm?”
Voltò la testa in alto,
e
si scansò appena in tempo, mentre un raggio di plasma divorava il punto dove si
era trovato un attimo prima!
Ovunque
nel campo si era scatenato il panico, ma il mutante aveva occhi solo
per
i tre Dreadnought Mark II sopra
di lui.
“Carini,”
disse il mutante. “Meglio delle solite Sentinelle, direi.”
“Chip Martin, aka Schizoid Man, arrenditi o sarai
terminato. L’offerta non sarà ripetuta.”
Schizoid
Man scrollò le spalle. “Immagino che non si possa proprio dire di no, vero?”
I
tre robot blu si avvicinarono.
La
terra esplose incontro a loro in una compatta ondata!
I
robot si concentrarono su quel nuovo ostacolo, disperdendolo con colpi al
plasma. I colpi attraversarono il ‘muro’ e distrussero roulotte fortunatamente
già abbandonate, creando nuovi focolai di incendio!
La
nuvola di polvere, fiamme e nerofumo che
seguì confuse i loro sensori.
Schizoid
Man, apparentemente, era sparito!
“Soggetto apparentemente non presente in area.
Ampliare raggio di scan*squark*”
La
testa del robot fu distrutta da un colpo telecinetico. Le altre due macchine
levarono la testa, lanciando raggi di energia dagli occhi!
Schizoid
Man stava già volando a terra, maledicendosi per la sua ‘brillante’ idea. Si
era sforzato troppo con quel primo ferrovecchio, e avvertiva già il familiare
mal di testa...Chip voleva tornare a guidare le danze...*tsk* quell’inetto non
sapeva neanche cosa volesse dire “ARGH!”
Colpito!
Il suo fianco destro urlava di dolore, l’odore di carne bruciata gli riempì le
narici. Schizoid Man rovinò a terra.
I
due Dreadnought si prepararono a sferrare il colpo di grazia...
Uno
di loro fu tranciato in due da un raggio di energia dalle sue spalle!
Schizoid
Man levò lo sguardo. Nella nebbia di dolore, vide Capitan Ultra ed Equinox
lanciarsi in picchiata..
“Ottimo
quel Raggio Ultra, Cap. L’altro è mio!” disse Equinox.
Il
robot superstite valutò rapidamente le opzioni di quel nuovo sviluppo...e
decise di optare la ritirata.
Dalle
braccia ardenti di Equinox scaturì un getto congelante, di una intensità
prossima allo zero assoluto,
tanto
che l’aria intorno al Dreadnought si liquefece.
Il
robot andò a pezzi peggio di un puzzle.
Quando
Equinox raggiunse Capitan Ultra, questi era intento a verificare i danni
sull’inerte mutante.
“Povero
Chip,” disse l’eroe, scuotendo la testa. Lo prese in braccio. “Ustione di terzo
grado. Se non lo porto subito all’ospedale, morirà. Chissà che diavolo sarà
successo...Terry?”
Era
la volta di Equinox, di avere una espressione allibita, fissa sul giovane.
L’Uomo Termodinamico si riprese in fretta, e disse, “Niente ospedale, uomo.
Conosco un posto migliore, dove curarlo senza ficcanaso in mezzo.”
Sotto
la visiera azzurra, Ultra sbarrò gli occhi. “Stai scherzando? Chi credi di
essere, George Clooney? Questo...”
Equinox
lo interruppe puntandogli un dito ghiacciato sotto il naso. “Stammi a sentire:
1) tu non hai voglia di finire accusato di connivenza con i mutanti ,e
2) io non ho voglia di finire di nuovo nello schedario della polizia.
Allora?”
Schizoid
Man respirava irregolarmente, a fatica. La sua ferita puzzava di carne bruciata
e siero.
Ultra,
riluttantemente, annuì.
Equinox
disse, “Sei veloce, a volare?”
“Ultra-veloce.
Dove si va?”
“New
York. Ti spiegherò tutto lì...E smettila di pensare al campo, ci penseranno le
autorità a loro.”
Su suggerimento di Ultra, Equinox si aggrappò all’eroe
color arcobaleno. Un attimo dopo, un campo di energia si diffuse intorno al
terzetto, e Ultra decollò da fermo a una velocità pari a quella di fuga!
Tutto quanto fu accuratamente registrato dai sensori
del Dreadnought MKII che Ultra aveva fatto a pezzi, ma non completamente
disattivato...
Tutte
le informazioni furono viste in diretta dal proprietario dei robot.
L’uomo
sedeva davanti a un vasto schermo panoramico a muro. Una mano guantata di verde
tamburellava sul bracciolo della poltrona. Delicate spirali di fumo si
mescolavano all’aria.
“*tch*
così imparo a fidarmi di database governativi,” disse l’uomo, che parlava con
un leggero accento tedesco. “Quei piccoli burocrati non saprebbero tenere
aggiornata neanche la propria patente.” E ridacchiò della sua stessa battuta.
Poi, sospirò.
“Sehr
gut, meglio ripulire, prima che lo faccia la polizia.”
La
mano guantata digitò un pulsante sul bracciolo.
Sullo
schermo, tutti i rottami dei Dreadnought, tutte le armi, tutte le parti
metalliche degli sfortunati cacciatori di mutanti –tutto questo andò
letteralmente in briciole.
Altro
pulsante, e questa volta lo schermo mostrò il volto di una donna.
La
donna, una caucasica dai capelli neri cortissimi, indossava una divisa militare
e berretto. I suoi occhi erano celati da Ray-Ban che sembravano brillare di
luce propria.
“Guten
Abend, Frau Kapitan. Sono spiacente di informarla,” ma mentre lo
diceva, l’uomo aveva un retrotono sarcastico, “che il collaudo della Squadra
Caliban abbia subito uno spiacevole imprevisto: mancanza di collaborazione da
parte della preda designata. Devo inoltre, con rammarico, segnalarle
l’inopportuna presenza di due super-esseri improvvisatisi buoni samaritani. I
dati dovrebbero esserle già arrivati.”
La
donna aveva un volto duro, l’espressione di chi ha lottato con le unghie e con
i denti per guadagnarsi i galloni sulla giacca. “Non posso dire di essere
soddisfatta, naturalmente, Barone: ma l’imprevisto è purtroppo una parte
rilevante di questo lavoro. Sai dove si è diretto il bersaglio?”
Una
mano agitò svogliatamente il bocchino che reggeva la sigaretta. “New York City.
Di più non so.”
La
donna sorrise. “Ottimo. Con i dati che mi hai fornito, dovremmo essere in grado
di localizzare il bersaglio e finirlo. Prepara una nuova squadra Caliban,
Barone. E, Barone, cerchi di essere più discreto, questa volta. Mi sono
spiegata?”
Lo
schermo si spense, mostrando ora, su campo nero, un logo: due frecce incrociate
a X, con uno stemma al centro che recitava “PAX”
Quartiere di Harlem.
L’edificio
era uno dei tanti in attesa di ristrutturazione. Facciata di mattoni, coperta
di murales fino a sembrare una tela astratta. Finestre malamente sbarrate da
assi di legno. Una struttura, tuttavia, insospettabilmente solida.
Per
tale ragione, un eccellente ‘dormitorio’ per gli sbandati del quartiere e i
vagabondi di passaggio.
Ufficialmente.
L’invasione
aliena aveva aggiunto un tale carico di lavoro alla polizia, che ormai il
controllo delle piccole attività criminali era sfumato come fumo in una
tempesta.
E
chiunque poteva essere un re.
Come
un uomo chiamato Steel.
Steel,
un nero robusto come uno scaricatore, pelato come un uovo, indossava sempre un
paio di occhiali da sole e il suo giubbotto da motociclista, con sulla schiena
un teschio fiammeggiante quale mozzo di una ruota –il suo marchio di fabbrica.
Gli
‘uffici’ di Steel occupavano l’intero secondo piano del palazzo. Entrare da
Steel era come entrare in un altro mondo. Steel aveva fatto impiantare una
bisca completa in metà del livello, mentre nell’altra c’era uno dei bordelli
più rinomati della città.
“Dunque,”
stava dicendo Steel, consultando i rapporti della settimana passata, “cosa è
questa storia di metterci con ‘sto Morgan Jr., gente?”
Steel
non aveva bisogno di guardare in faccia il suo interlocutore: aveva un vocione
che non avrebbe sfigurato all’Opera. Quando lui parlava, era difficile fare
finta di essere sordi.
E
i presenti nella stanza non sembravano desiderare di ignorarlo. Molti occhi
erano puntati su un ragazzo, un nero vestito ‘hip-hop’, pantaloni enormi e
flosci, felpa spiegazzata.
Il
ragazzo avrebbe voluto scomparire sotto il pavimento. “Ecco, Steel...Morgan
ritiene che sia ora, adesso che il sindaco ha la ricostruzione a cui pensare,
che le...” deglutì “...piccole bande uniscano le forze per formare una nuova
coalizione contro gli attuali cartelli...”
“Sotto
il comando di Morgan Jr.,” disse Steel. L’uomo allungò una mano a un sigaro
acceso. Inspirò una boccata, e soffiò in faccia al ragazzo dall’altra parte
della scrivania.
Il
ragazzo lacrimò e tossì. Steel disse, “Morgan Jr. va matto per l’oro bianco, mi
pare, giusto? E anfe, e sinte, pillolette e tante altre caramelline, giusto? Un
merdoso tossicomane.”
Il
ragazzo arretrò di un passo. “Ehi, piano, capo. Non sono io che...”
Le
mani di Steel erano perennemente coperte da guanti. Una scattò ad afferrare il
braccio del ragazzo.
Il
pizzetto di Steel seguì il suo terribile sorriso. “Di’ a quel tossicomane del
cazzo che se prova solo a portare un atomo di merda nella mia
zona, o solo a proporlo, come ora, gli faccio...” la mano strinse.
Nella
bisca, ci fu un momento in cui ogni gioco si interruppe quando un urlo di
agonia riuscì a trapassare la solida porta piombata dell’ufficio di Steel.
Un
attimo dopo, il corpo esanime del ragazzo venne portato a spalla fuori dalla
stanza. Gemiti incoerenti uscivano dalle labbra del malcapitato. Fin troppo
visibili erano le sue mani, i polsi devastati come da una morsa.
Steel
tirò una boccata soddisfatta dal sigaro. Alla sua sinistra, improvvisamente, si
aprì una porta scorrevole mimetizzata nel disegno barocco della parete.
Come
un sol uomo, le sue guardie del corpo puntarono le pistole. Quella era
l’entrata segreta, e nessuno senza appuntamento...
Il
volto cupo di Steel si aprì in uno schietto sorriso. “Terry, fratellino! Ma tu
guarda che...” il sorriso divenne stupore in un baleno. La tensione tornò di
colpo al massimo.
Terry,
che ora indossava un’uniforme bianca e verde della Talon, con tanto di logo –un’aquila
Reale posata ad ali spiegate sul globo terracqueo- sul petto, indicò un
esterrefatto Capitan Ultra, con il suo paziente.
“Loro
sono a posto, fra’. Il tizio mezzo morto ha bisogno delle apparecchiature della
mamma, e subito. Non badare all’altro.”
Steel
si fece da parte, lasciando entrare Ultra. Il capobanda aveva una mentalità
pratica, e lasciò da parte i convenevoli. “In cantina. Sono pulite come se
fossero uscite di fabbrica ieri. Quel tizio..?”
Terry
fece un cenno di diniego “Nahh, ha un po’ la puzza, sai come sono i musi
pallidi, ma non ti darà fastidio. E ora, scusaci...”
“OK,
OK.” Steel indicò una specie di botola in un angolo. “Prendi l’ascensore. Mi
spaventate i clienti, se vi vedono con quel...coso lì. E come si chiama, quella
specie di arcobaleno su due gambe?” aggiunse, ghignando.
Ultra
mormorò qualcosa di poco carino in Yiddish, che fortunatamente nessuno dei
presenti capì.
Ultra
e Terry salirono sul montacarichi, che iniziò la sua lenta discesa.
Il
viaggio terminò in un’ampia stanza riempita di luce al neon. Sarà stata non più
ampia di 100mq, ma ovunque c’erano apparecchiature che, sebbene per i canoni di
Reed Richards non sarebbero state l’ultimo grido, erano comunque
abbastanza sofisticate da mandare in estasi un tecnico del MIT.
“Mettilo
sul lettino,” disse Terry, andando subito ad attivare l’hardware.
“’Fratellino’?”
fece Capitan Ultra, appena eseguito l’ordine. “Mi dici che avremmo avuto
problemi ad andare in un ospedale, quando mi hai portato nel covo di un
gangster? Ho sentito quello che è successo prima che arrivassimo, e
ho anche visto! Quel tizio è un...” fu interrotto dal suono delle
macchine, che tornavano ad essere operative dopo così tanto tempo.
Terry
andò a una consolle, e iniziò a digitare su una tastiera. “Taci, bacchettone.
Faccio già fatica così a ricordarmi i comandi...”
“Tu
mi devi delle spiegazioni, mister. E subito!”
Apparentemente,
l’immissione dati era riuscita, perché Terry annuì soddisfatto, ed andò al
lettino dove giaceva Chip. Avvicinò al corpo una specie di piccolo cannone,
puntandolo sulla ferita.
Un
attimo dopo, un bagliore smeraldino andò a riempire la ferita, a pulsazioni
intermittenti.
“Fatto,”
disse Terry. “Fra poche ore dovrebbe essere come nuovo...o quasi.” Poi, sembrò
ricordarsi, e si voltò verso il suo riluttante amico. “Scusa, cosa stavi
dicendo?”
Un
furgone nuovo di pacca, senza insegne, avrebbe attirato l’attenzione come se
avesse avuto FBI stampato sopra.
Un
semplice U-Haul usato era il mezzo ideale, soprattutto in un’area che di
‘traslochi’ ne vedeva non pochi.
Dentro
il furgone, l’atmosfera era alquanto tesa. Cinque persone in uniforme/armatura
stavano studiando su un monitor le schede relative a Chip, Equinox e Capitan
Ultra.
“Un’azione
diretta è fuori discussione,” disse il caposquadra, un orientale. “Sarebbe come
tentare un’azione di setacciamento in una giungla piena di guerriglieri
ostili.” Suo padre aveva fatto il ‘Nam in appoggio agli Americani. sapeva di
cosa stava parlando. “Troppi danni e troppo chiasso. Voglio i Meerkat e i Dreadnought in
pattugliamento continuo. Attaccheremo quei furboni appena metteranno il muso
fuori dalla loro tana. Domande?”
Nessuno
prese la parola.
Il
caposquadra annuì. “Bene, adesso*” fu interrotto dall’allarme! Cinque teste si
voltarono all’unisono.
Un
monitor stava fornendo dati come impazzito. In una sua finestra, il radar
segnalava una posizione intermittente, su una mappa tridimensionale di un
vicolo vicino.
“Altri
due intrusi,” fece uno dei soldati,
sconsolato. “Dio, questa città dovrebbe diventare uno stato a parte, con tutti
questi…eh?”
Anche
gli altri se ne accorsero.
“Non
sono nel Registro,” fece un altro, una donna.
“Ci
mancava solo questa,” disse il caposquadra. “D’accordo, aspettiamo di vedere
cosa fanno…Numero 20, prepara il Neutralizzatore. Se vengono verso di noi, li
catturiamo senza colpo ferire.”
Dopo,
non poterono fare altro che aspettare, mentre, lentamente, faticosamente, i due
puntini sul radar –uno dei quali così piccolo da risultare quasi invisibile- si
muovevano.
La
cosa curiosa era, che per quanta energia venisse rilevata dall’intruso più
grande, essa quasi veniva eclissata dalle emissioni del compagno!
La
cosa più frustrante era non potere usare alcun sistema attivo di scansione, o
avrebbero attirato l’attenzione delle loro prede.
“Procedono
così irregolarmente…” fece la donna “Possibile che siano entrambi feriti, o
disorientati?”
“Possibile,”
rispose il caposquadra. “La loro improvvisa apparizione suggerisce il
teletrasporto.”
Nessuno
aggiunse altro, ma la tensione salì di parecchio ancora.
E se fossero stati Marziani?
Secondo
le fonti governative più ‘nere’, i Marziani erano stati annientati in massa da
una Bomba-Betatron, un residuato
bellico ideato dall’Hydra. Un residuato che poteva non essere operativo al
100%…erano pur sempre passati almeno 10 anni senza manutenzione…
Gli
uomini del PAX erano addestrati. Nel giro di pochi secondi, ognuno era già
pronto a schizzare fuori dal furgone in pieno assetto da battaglia…
“Cavoli,”
disse invece uno di loro.
Ora
la telecamera li inquadrava.
Uno
era un lupo –un maschio, dalla
pelliccia color d’argento. Era visibilmente ferito, il sangue a formare chiazze
nere alla luce lunare. La zampa posteriore destra doveva essere rotta, la teneva
sollevata nel suo zoppicare.
Sulla
testa del lupo, stava una creatura uscita dritta dalle fantasie di Sir Conan
Doyle: una fata, una donna minuta,
scintillante, con delle ali da farfalla. Lei stessa non sembrava messa meglio;
era riversa, esausta, le sue scintille di una intermittenza opaca, malata.
Non
si può dire che quegli uomini e donne fossero dei sentimentaloni. Erano
soldati, addestrati, induriti alle emozioni…Eppure, quella vista riuscì a
toccare proprio quelle corde che dovevano ignorare.
“E
adesso che si fa?” chiese il più giovane del gruppo.
Sullo
schermo, l’animale era tutto tranne che aggressivo o abbastanza forte per
tentare una qualsivoglia azione. Sembrava solo avere bisogno di un veterinario.
Il
caposquadra sospirò. “Pronti ad usare il Neutralizzatore. Settaggio corrente
confermato.”
“Potrebbe
ucciderli!” esclamò la donna.
L’appello
cadde nel vuoto. Il loro era un lavoro che non doveva lasciare spazio a
sentimentalismi. Mai!
Finalmente,
il lupo era a tiro. Nessun testimone.
La
donna e un altro uomo uscirono dal furgone.
Il
tetto del furgone si aprì in due, lasciando uscire un cannone.
Il
cannone sparò una rete. Una rete costruita con la stessa tecnologia che il
mutante Forge aveva usato per la
pistola già usata per ‘cancellare’ i poteri dei mutanti. La vittima designata
sarebbe stata inoltre privata delle sue forze attraverso dei biosifoni nelle
maglie.
Il
lupo poté solo sollevare la testa, piegare le orecchie all’indietro, ed
emettere un debole ringhio, mentre la rete lo avviluppava. Come previsto, la
rete gli risucchiò buona parte delle forze rimaste…
Come
non era stato previsto, in virtù del
fatto che sia il lupo che la faerie non
appartenevano a questo piano della realtà, la mente di lei riuscì ad emettere
un lamento terribile.
“Conosco
Chip Martin da quando era anche lui un…’inquilino’ del Ravencroft Institute.
Venne ricoverato dopo di me, a causa di un grave disordine schizofrenico.
Doppia personalità.”
Terry
e Ultra stavano seduti a un tavolo, due grosse tazze di caffè fra le mani.
Terry
bevve un sorso. “E’ un mutante. Sua madre si era presa non so quali medicine
per portare a termine la gravidanza invece di usare il cesareo e farlo nascere
prima. A causa di quella roba, Chip è andato in sballo fin da neonato. I suoi
poteri si manifestarono fin dall’infanzia, e più andava avanti, più le sue due
personalità si separavano.
“A
un certo punto, suo padre, che allora era Senatore di New York, gli fece dare
un farmaco sperimentale, e il problema sembrò risolto…fino a quando, durante
una festa, Morbius fece irruzione. Lo
stress fece emergere la seconda personalità di Chip, e per poco non fece fuori
tutti, incluso l’Uomo Ragno, che stava lottando contro Morbius.
“Sotto
le cure della Dottoressa Kafka, Chip
fece grandi progressi, anche se continuavamo a temere che in realtà il suo lato
oscuro fosse solo sepolto…e sembra che la Dottoressa avesse ragione. Quello che
ha addosso Chip è il costume che aveva quando si presentò al mondo come
Schizoid Man.”
Ultra
afferrò una ciambella calda dal piatto al centro del tavolo. “Se c’erano
sospetti sul suo stato, come mai era libero come l’aria?” Solo per educazione,
non aggiunse che sospettava che suo padre avesse fatto pressioni, nella
migliore tradizione politica.
Quello
che rispose Terry lo fece vergognare di tali pensieri. “Il vecchio Ravencroft
fu distrutto durante una evasione di supercriminali. Chip, o forse l’’Altro’,
decise di approfittarne e darsi alla macchia. Suo padre era già morto di infarto,
e la madre è ricoverata in un altro istituto psichiatrico.” Terry sospirò,
spostando di nuovo lo sguardo sull’esanime mutante. “Evidentemente, non avevano
smesso di cercarlo. Ma che volessero addirittura eliminarlo…”
Cap
annuì. “I mutanti hanno attivamente contribuito a difendere la Terra dai
Marziani. Uno si aspetta che il governo sia più comprensivo…”
Terry
disse, “Credi che fossero del Governo?”
“Non
vedo chi altri potrebbe volere investire una forza così consistente e
sofisticata contro un mutante.”
Terry
tacque, mentre immaginava una dozzina di nomi di gruppi privati che avrebbero
potuto fare la stessa cosa.
“Parliamo
invece di tuo ‘fratello’,” disse improvvisamente Ultra, con un sorriso
sfottorio. “Non mi sembra il tipo di persona che renderebbe tua madre
‘orgogliosa’. Ho dato una scansione al palazzo, sai, e ho visto delle cose…”
Terry
levò una mano a fermarlo. Sospirò, e poi disse, “La mamma era una scienziata
famosa, ma è da qui che è venuta. Steel nacque prima che lei si sposasse; era
praticamente una ragazza. Purtroppo, lei non ebbe modo di occuparsi di suo
figlio come doveva, era troppo impegnata a costruirsi un futuro. Cercò di non
fare mancare nulla a Steel, ma alla fine, quando conobbe papà, fu lo stesso
Steel ad andarsene. E lei non lo seguì.
“Fu
solo dopo che divenni Equinox, che mamma fu costretta a tornare a Harlem. Fu a
Steel, nel frattempo emerso a capobanda, che dovette rivolgersi per trovare
spazio per il laboratorio e per noi.
“Steel
fu molto comprensivo. Credo che fosse fiero di avere una madre che aveva fatto
strada, anche se ora era in disgrazia. Ci diede molti soldi, e mamma poté
tentare di curarmi…”
Ultra
si mordeva il labbro inferiore. “Terry, non è questione di biasimo…Ma questo
tuo fratellastro possiede un racket, una bisca, e nel palazzo ci sono delle
prostitu…”
Terry
gli rivolse uno sguardo severo. “Non sto cercando di giustificarlo, Cap. Ma, a
suo modo, Steel è in gamba: nella sua zona non circola droga, e la
prostituzione non coinvolge minorenni o animali. Vive fuori dalla legge, ma ha
una sua morale. E non ti permetterò di…”
Un
urlo terribile echeggiò nella stanza. “PER FAVORE, AIUTATECI!”
I
due si voltarono a guardare
Chip,
che ora stava seduto sul tavolino. Si guardava intorno con occhi sbarrati, la
pelle velata di sudore gelido. La sua espressione era un insieme di paura,
angoscia e dolore. Poi, riprese a parlare, con una flebile voce…femminile. “Vi
prego. Lui sta morendo…Non è giusto, per favore…Perché ci volete fare del
male?”
I
due super gli furono subito vicini. Interpretando l’espressione di Terry, Ultra
disse, “Non ha mai fatto così, vero?”
Cenno
di diniego. “Una terza personalità, femminile…no di certo.
“Vi
prego…lui muore…” la voce di Chip, come i suoi occhi, erano opachi. Stava per
perdere di nuovo conoscenza.
“E’
un telepate,” disse Terry, sorreggendolo. “Credo che sia stato ‘agganciato’ da
qualcuno là fuori, e sta condividendo il suo stato fisico. Cap, puoi vedere..?”
“Detto
fatto,” disse l’eroe, e attivò l’ultra-visione. Di fatto, non c’era ostacolo
per i suoi occhi, quando usava quel potere che sfruttava il flusso di neutrini
cosmici…
“Trovati!”
esclamò, alla vista del lupo preso nella rete e dei soldati in costume/armatura
che lo stavano portando via. “Tu resta con Chip, Terry. Faccio in un attimo!”
Terry
lo vide spiccare il volo…e attraversare il soffitto come fosse stato un
fantasma!
“Cristo,
ma cos’ha quello, la Coscienza Cosmica?”
fece uno dei soldati che stavano portando il lupo, alla vista di Capitan Ultra
che emergeva dal pavimento. Si chiese anche, di sfuggita, da quando quel
buffone avesse il potere di intangibilità…Era ovvio che il Registro andava
aggiornato!
Ultra
atterrò di fronte ai due soldati del PAX. A mani nude, incurante degli effetti
del neutralizzatore, strappò le maglie metalliche come fossero state di carta.
“Non posso dire di apprezzare l’omicidio, anche se per autodifesa…Ma voi
proprio le lezioni non le capite, vero?”
Dentro
il furgone, il caposquadra bestemmiò. “Missione abortita! Numero 83,
dispositivi Stealth, ora!”
Ultra
prese il lupo in braccio. “Se muore, ve lo faccio vede…eh?”
Improvvisamente,
i due soldati, ed il furgone da cui erano venuti scomparvero.
Se
Cap ne avesse avuto il tempo, avrebbe usato la sua ultravisione, ma il
rantolare del lupo lo convinse altrimenti. Rese sé stesso e l’animale
intangibili, e sparì nel sottosuolo.
“Mia
carissima Kapitan,” stava dicendo
l’uomo misterioso, “se lei desidera discrezione, in una città satura di
super-esseri, il massimo che una Squadra Caliban può fare, se individuata, è
nascondere la coda fra le gambe e fuggire. fatevi dare l’avvallo del Governo, e
le farò avere dei risultati significativi.”
Dallo
schermo, la donna mormorò “Dannato Comma 22…” Poi, a voce più alta, “In un modo
o nell’altro, prima dobbiamo ottenere dei risultati, o continueranno a lasciare
tutto nelle mani di quell’incapace di Henry
Peter Gyrich…E sia, Barone. Usi ogni mezzo necessario, ma consegni almeno un cadavere di super-essere. Più è
potente, meglio è. Ma non coinvolga
la comunità dei supereroi, o dovrà cavarsela da solo.”
Lo
schermo si spense, e l’uomo esalò uno sbuffo soddisfatto.
Era
andata come lui voleva. Adesso, ci sarebbe stato da divertirsi…
Episodio
2 - Confronti e scontri
Quando
si pensa al potere, è difficile non immaginare la persona che lo detiene. Sia
un uomo o una donna, che nelle sue mani ci sia uno scettro o un mandato
elettorale, che sieda su un trono o su una poltrona ministeriale, o alla
scrivania in un ufficio all’ultimo piano di un lussuoso grattacielo
–inevitabilmente, si finisce con l’associare il potere a due mani e una testa.
Non
sempre, tale visione è fondata.
Oggi,
il potere non è più concentrato nelle mani di uno. Anche se le multinazionali
hanno sostituito efficacemente le oligarchie nobiliari, e i nuovi baroni e
conti vestono Armani anziché portare il mantello, persino i creatori delle più
potenti corporazioni sono costrette a rendere conto a quel branco compatto che
è il Consiglio di Amministrazione.
Alexander Thran era l’eccezione alla regola. Il diritto di voto dei
presenti, in quell’assemblea destinata a cambiare il corso della storia, era
una mera formalità. Lui era il padre e padrone dell’azienda e loro le sue
estensioni. Senza di lui, non sarebbero stati nessuno!
Thran
era un predatore aziendale, un animale da corridoio. Aveva sacrificato molte
vite innocenti nelle trincee delle borse di tutto il mondo, per fondare la sua Talon Corporation. E il branco radunato
davanti a lui, nella stanza foderata di quercia, era frutto di una selezione
spietata, un organismo capace di portare avanti la volontà di Thran con la
massima efficienza, ma altrettanto capace di tranciare la mano che lo nutriva.
Thran,
in un gessato dalle linee geometricamente perfette, ben rilassato in una
poltrona automodellante, teneva d’occhio i suoi soci seduti intorno al tavolo
ovale. Niente supporti di carta o penne, per questi dirigenti del 21° secolo:
solo tastiere e monitor al plasma che emergevano da nicchie nella superficie
nera.
Diversi
dei soci della Talon, osservando quei monitori, manifestavano evidente
perplessità.
In
un certo senso, Thran li capiva. Il suo monitor mostrava quello che gli altri
stavano vedendo: le schede, a intervalli regolari, di tre metaumani, tre
uomini. Uno indossava il costume più colorato che si potesse vedere. Il secondo
non aveva costume, ma un corpo in parte coperto di ghiaccio e in parte di
plasma ardente. Il terzo era un caucasico con indosso un aderente costume per
metà beige e metà blu-nero. Metà del volto di quest’uomo, capelli inclusi, era
blu-nera.
Finalmente,
uno dei soci, una donna che non avrebbe sfigurato come top model nonostante il
completo di taglio mascolino, levò lo sguardo e disse, “Ammettere questi tre
individui nelle operazioni di difesa dello Zilnawa
senza averci consultato, Alexander, è stato a dir poco impulsivo. Questo…Schizoid Man è addirittura un mutante.”
Alexander
annuì. Bevve un sorso d’acqua, e disse, “Esattamente per questo, che ho deciso
di assumerlo, Esther. Un mutante, un nero,” ed evidenziò la scheda dell’uomo di
ghiaccio e plasma, Equinox, “e un
perfetto sconosciuto ma con un’evidente tendenza a fare l’eroe,” e indicò
l’uomo nel costume colorato, Capitan
Ultra.
Lo
sguardo di Alexander, fino a quel momento improntato a un’espressione di
paterna serenità, si fece severo. “Signori, il Progetto Exodus deve avere la priorità. E l’unico modo per farlo
diventare realtà è difendere lo Zilnawa nella sua vita di neonata democrazia.
“I
Campioni dello Zilnawa, come la Pantera Nera per il Wakanda, devono essere un team apprezzabile nell’ambito della
comunità dei supereroi: un gruppo di supermercenari alle nostre dipendenze
sarebbe inevitabilmente visto come l’equivalente della guardia personale di Magneto a Genosha, o di un branco di criminali al soldo della Roxxon.
“No,
noi dobbiamo avere campo libero: e questo significa che un equipaggio misto
come questo gruppo avrà il sufficiente impatto sociale, per riscuotere
l’approvazione che cerchiamo. Già Capitan Ultra ha contribuito a sedare un
linciaggio nei pressi dell’Ambasciata dello Zilnawa, sotto gli occhi dei media.
Sarà un eccellente capogruppo.”
Uomini
e donne meno forti di cuore dei presenti avrebbero avuto un accidente. Invece,
la reazione fu una serie di occhiate indagatrici che non nascondevano pensieri
frenetici.
“Quindi,
i nostri agenti..?” fece il membro
più anziano del consiglio, un uomo con l’argento nei capelli.
Thran
li aveva in pugno! Appoggiando i gomiti sui braccioli della poltrona e
incrociando le mani, disse, “Faranno parte del gruppo, naturalmente: abbiamo
pur sempre bisogno di garanzie, giusto?”
La
tensione scese visibilmente. Solo allora, Esther chiese, “Possiamo quindi
passare al secondo punto all’OdG?”
Thran annuì, insieme agli altri. “Nulla in contrario.
Anche portando a compimento Progetto Exodus, non farebbe male tentare di
risolvere i nostri problemi comunque. Signori, procediamo.”
Da
qualche parte nel sottosuolo di Harlem, New York City.
“Sei
sicuro che non sia una mutante?”
Le
crude luci al neon non contribuivano a migliorare l’atmosfera, in quel piccolo
laboratorio improvvisato..
I
tre oggetti dell’attenzione del CdA della Talon stavano in piedi, intorno a un
tavolo operatorio, intenti a cercare di capire qualcosa
delle
creature che vi giacevano. Una era un lupo, un maschio dal pelo folto e
argenteo. L’altra era avvolta da un bozzolo translucido, compatto; dentro a
quel bozzolo, fino a prova contraria, fino a poche ore prima, c’era stata una
donna, o meglio, una Faerie. Non sarà
stata più grande di Janet Van Dyne nella sua forma di combattimento di Wasp, ed aveva delle delicate ali da
farfalla sul suo corpicino avvolto da pallide scintille.
“Matematico,”
rispose Schizoid Man, la voce quella gentile della personalità di Chip Martin.
Il mutante portava una leggera bendatura sul fianco, nel punto dove un Dreadnought l’aveva colpito il giorno
prima. “Quando lei mi ha agganciato mentalmente, ho ricevuto delle
immagini…credetemi, c’erano mostri, orchi, nani, giganti di ghiaccio. Peggio
del regno della Strega Cattiva dell’Ovest.”
Gli
risposero due paia di occhiate incuriosite.
Intervenne
Terry, ancora vestito dell’uniforme bianco-verde della Talon. “Te l’ho chiesto
perché l’apparecchio di mamma ha funzionato solo sul lupo. Il suo raggio
stimola i processi biochimici di rigenerazione…ma su di lei non ha funzionato.
Forse proprio…perché…ma sto dicendo una stupidaggine ,vero?”
Chip,
mutante DOC, appena curato dallo stesso apparecchio, roteò gli occhi.
Capitan
Ultra scosse la testa. “Temo che non ci resti che attendere. Se è bastata una
breve esposizione a generare quel bozzolo, non voglio dovere scoprire quale
sarà il prossimo stadio...Non prima di avere capito chi sono quei pazzi che
hanno deciso di riaprire la stagione di caccia al mutante...Chip?”
Chip
abbassò lo sguardo. “Non posso essere di aiuto: era l’’altro’, ad avere letto le
loro menti. Io non so neanche come si comincia a fare una cosa simile.”
Affermazione
che aggiungeva un altro tassello al problematico puzzle: quale affidabilità
dava un perfetto schizofrenico, per giunta potente come lui?
Terry
andò a prendersi una tazza di caffè –aveva ormai perso il conto del numero
consumato. “Forse possiamo risolverlo in fretta, il problema degli
acchiappamutanti: la Talon potrebbe darci una mano, se accettiamo quella
proposta di lavoro.”
Guardando
Chip sollevare un sopracciglio, Ultra ebbe una mezza idea di strangolare Terry
–ma al mutante disse, “Non sappiamo neppure di cosa si tratti in
particolare...Forse hanno bisogno di guardie del corpo per il Presidente dello
Zilnawa. Sai, la manifestazione di ieri...”
Chip
andò a unirsi a Terry per il caffè. Stava già allungando una mano verso una
tazza...quando la ritrasse più in fretta che se avesse rischiato di toccare una
bomba! “Scusami,” disse poi a Terry, “me ne stavo dimenticando: temo che gli
eccitanti non siano la cosa più indicata, per ora...Non è che hai dell’Hypnocil[1]?”
Terry
aggrottò la fronte. “Scusa, ma non è quello che serve a sopprimere i sogni?”
Chip
annuì. “Già. L’’Altro’ si scatena soprattutto quando dormo. I miei strizza
hanno scoperto che l’Hypnocil funziona meglio dei tradizionali sedativi, che
non hanno effetti sufficientemente incisivi sulle mie aree più nascoste.”
Terry
sembrò pensarci su, mentre guardava verso il soffitto. “Dubito che il mio
fratellone possa esserti di aiuto: lui, di droga, non ne vuole vedere l’ombra.
Se gli chiedo ‘sta roba, è capace di sbatterci fuori a pedate...E non possiamo
neanche andare a comprarne: ci vuole la ricetta...”
Ultra
diede un colpetto di tosse. “Ehm, a questo posso pensare io.”
Chip
lo guardò in un modo curioso, come l’eroina di un romanzaccio rosa guarda
l’arrivo del suo fusto su un cavallo bianco. Era imbarazzante!
Ultra
levò un indice ammonitore a entrambi i suoi amici. “A una condizione:
voi state qui e vi assicurate che i nostri ospiti si riprendano.”
Come
un fantasma, ma a una velocità tale da risultare poco più di una macchia
indistinguibile, la figura di Capitan Ultra emerse dal manto stradale, verso la
sua destinazione.
Una
macchia indistinguibile...almeno all’occhio umano.
Non
a quello elettronico di un gadget volante, una sfera che, grazie alle
sue avanzate tecnologie stealth, era effettivamente invisibile. Stava
sospesa nel cielo, in ricognizione in quel settore di Harlem nei cui
sotterranei stava il laboratorio di Terry.
La
sfera era un Meerkat...
...e
il suo proprietario stava gongolando fra sé, alla vista della partenza del
supereroe.
Il
‘Barone’, come si faceva chiamare negli ambienti della misteriosa
organizzazione PAX, schiacciò un pulsante sulla tastiera nel bracciolo della
poltrona. “Capo Caliban,” disse, in un inglese appena inquinato da un
accento tedesco, “potete procedere come da piano 3...E cerchiamo di essere
veloci, questa volta.”
“Lo
odio,” disse Terry. Sedeva su una sedia d’acciaio, intento a fissare il lupo
addormentato come fosse stato la classica pentola che non bolle.
Chip
stava tracciando un dito sulla superficie del ‘bozzolo’ della faerie. Al tatto,
quell’oggetto sembrava fatto di plastica; era leggermente cedevole, ma solo
quel tanto, apparentemente, per assorbire una caduta o il colpo di un sasso. Ed
era caldo. Non c’era dubbio che l’essere nel bozzolo fosse tutt’altro che
inattivo...
“Lo
odio,” ripeté Terry. Poi, sembrò ricordarsi del suo compagno d’arme. Lo guardò
con curiosità. “Se hai tanta paura di questo tuo ‘Altro’, perché non torni
dalla Dottoressa Kafka? E’ una donna che sa fare miracoli...Almeno, con
me ha funzionato.”
Chip
serrò le labbra; poi, con riluttanza, “Ha funzionato perché tu volevi
che funzionasse: in caso contrario, potresti solo essere condizionato, ma non
curato.
“Io...l’’Altro’
è incontrollabile. Sono sicuro che, alla prima opportunità, cercherebbe di
uccidere la dottoressa Kafka. Per questo, quando il Ravencroft fu distrutto, io
fuggii: non volevo che le succedesse qualcosa...”
“Sicuro
che non sia stato l’’Altro’ a convincerti a fuggire, inconsciamente voglio
dire?”
Chip
ebbe voglia di dire di no: all’epoca, prendeva l’Hypnocil...
E
l’’Altro’ era rimasto lì lo stesso, erodendo il suo controllo un po’ alla
volta, fino a quando, ieri...
Come
aveva fatto? E perché aveva agito
così lentamente nel tempo, quando avrebbe potuto liberarsi, a questo punto,
molto prima?
Chip
si portò una mano alla tempia. Il familiare mal di testa stava tornando; si
accorse di stare respirando un po’ più in fretta.
Che
Cap facesse presto!
Per
quanto concerneva l’arrivare a destinazione, Capitan Ultra aveva fatto
presto. I suoi poteri gli consentivano di raggiungere almeno gli 11 Km/s, cioè
la velocità di fuga. Raggiungere quella villetta in Florida era stata questione
di pochi minuti.
Quando
vi atterrò davanti, ebbe la precisa sensazione che la vera perdita di tempo
sarebbe iniziata fra poco...Ma era una prospettiva davvero accettabile, se
l’alternativa era rubare il farmaco necessario.
Cap
premette il campanello –di passare alla propria identità civile non se ne
parlava...soprattutto, perché aveva avuto la sciagurata idea di atterrare nel
mezzo della strada, sotto gli occhi esterrefatti di una dozzina di pensionati
di lusso! E già qualcuno borbottava...
La
porta si aprì, e Ultra se lo ritrovò davanti: un uomo che, nonostante gli anni,
era ancora solido come una quercia, la grigia barba ben curata, e una pipa in
radica fumante in mano. A differenza di Griffin Gogol, quest’uomo portava il
suo retaggio ebraico con grande dignità. Per tale ragione, alla vista del
supereroe, l’anziano emise solo un grugnito e si riaggiustò i pience-nez.
“Anche
io sono felice di rivederti, papà,” disse Ultra.
Jeremiah
Gogol tirò una boccata della pipa,
senza spegnere la luce severa nei suoi occhi.
Mentalmente,
Ultra sospirò: sarebbe stata dura...
Ufficialmente,
il laboratorio che un tempo era appartenuto alla dottoressa Amanda Sorenson
non esisteva. Era una struttura concepita durante la clandestinità della
ricercatrice, mentre suo figlio, contaminato dalle radiazioni di un esperimento
impazzito, perdeva sempre più il controllo.
Amanda
non aveva avuto molta scelta. Aveva i fondi, ma la copertura doveva venire da
qualcuno di cui potersi fidare –e quel qualcuno era suo figlio di primo letto,
una persona a lei cara ma sacrificata alla carriera...
...Ma
l’uomo oggi chiamato Steel non se l’era presa più di tanto. Lui stesso
aveva lasciato sua madre, per non pesarle. Il suo scopo era sempre stato quello
di dare una mano ai fratelli e sorelle di quel gigantesco ghetto che era Harlem
–e non avrebbe fatto a modo dei bianchi, per poi doversi sentire debitore.
Per
questo, Steel era tornato da suo padre, ed aveva imparato il ‘mestiere’ da
lui...Ma con una differenza: suo padre non era mai emerso dal ruolo di
galoppino.
Seduto
alla poltrona del suo ufficio, Steel osservava la strada sottostante attraverso
la finestra, ben protetto da un cristallo anti-bomba di quelli usati per gli
uffici della Stark Solutions.
Steel
serrò le mani, coperte da spessi guanti di pelle. Le aveva sacrificate durante
una rapina, ma, almeno, ci aveva guadagnato abbastanza da fondare il suo
piccolo regno. Oh, sì, la legge poteva non approvare la prostituzione ed il
gioco d’azzardo, ma nessun poliziotto metteva il naso nel regno di Steel, dove
non circolavano droga e pervertiti. E l’eventuale trasgressore ‘spariva’ più in
fretta che comporre il 911.
Senza
contare la sicurezza: nessuna ragazza di Steel era costretta a lavorare per
lui. Lui offriva il posto fino a quando lei lo desiderava...Era impressionante,
il numero di ragazze che, scoperto il gioco dei ‘grandi’, tornavano a casa con
la coda fra le gambe!
Sulla
scrivania di Steel giacevano cartelle di rapporti, fatture e scartoffie
generalmente inutili. Bisognava esaminare, firmare, approvare o meno...
Fortunatamente,
Steel doveva ancora accendersi il primo Avana della giornata, altrimenti lo
avrebbe già usato per dare fuoco a quel mucchio. La sua mente era presa dal suo
fratellastro, Terry, e da quegli altri due balordi...senza contare quel lupo
che si erano presi in casa ieri notte, senza dirgli nulla!
Steel
non avrebbe mai cacciato o offeso Terry –il poverino ne aveva già avute
abbastanza dalla vita, a partire da quell’ubriaco e violento di suo
padre...senza contare, che almeno questo, alla mamma lo doveva...
Ma
porca miseria! Coinvolgere quei due gli sarebbe potuto costare di brutto!
Quelle specie di super-soldati di ieri potevano rifarsi vivi da un momento
all’a*
Con
un colpo secco, la porta del suo ufficio si spalancò!
Per
Steel, pensiero e azione erano diventate un’unica cosa; prima ancora di cercare
il bersaglio, la sua automatica era già in mano...
Solo
che il bersaglio non c’era. L’ufficio era vuoto. “Ma che diavolo..?”
Poi,
Steel avvertì un grande dolore e un brivido lungo il corpo. Poi, più nulla...
“Ti
avevo detto di stare lontano da me, fino a quando non avessi capito.”
Stavano
nel salotto, una camera semplice senza orpelli. L’unica concessione al lusso
era l’apparecchio radiotelevisivo che ne dominava il centro, uno scatolone
foderato in legno di una foggia vecchia di 30 anni.
La
madre di Griffin Gogol, ora nella sua identità civile, stava versando del tè
per il figlio. Decisamente, era da lei che l’eroe aveva preso i tratti somatici
più rilevanti.
Griffin
sentì tutto il veleno riemergere. “Papà, devi proprio continuare su questa
strada? Non puoi accettare che questi poteri siano una benedizione, invece
di...”
Fu
interrotto da un’occhiataccia degna di un laser. Jeremiah disse, la rabbia
controllata a stento, “Le sole benedizioni possono venire da Javeh, e da Lui
soltanto. E tu mi hai detto che è stata una...razza di alieni a
darteli.”
Griffin
serrò la mascella, desiderando di avere Doc Samson al suo fianco. Era
così difficile, controbattere non solo a un uomo, ma agli insegnamenti di una
vita –per questo, per un certo periodo dall’acquisizione dei suoi poteri,
Griffin aveva avuto paura del fuoco. Inconsciamente, si era sempre visto
destinato alle fiamme della Gehenna...
Griffin
bevve un sorso di tè. “Papà, con questi poteri ho fatto e sto facendo del
bene...E se tu continui a pensare che io sia diventato una specie di agente del
male, ebbene, devi provarlo.
“Ma
non sono venuto per litigare: ho bisogno di un favore.”
Jeremiah
si appoggiò allo schienale. “Di cosa si tratta?”
Una
volta di più, Griffin si maledì per il modo sciatto in cui vestiva, per
sembrare una caricatura malriuscita di un ebreo. Gli sembrava di accattonare.
“Una persona che conosco...ha bisogno di una, di diverse ricette per
l’Hypnocil.”
Jeremiah
fece per parlare, ma Griffin lo interruppe sul nascere. “Ti prego, non farmi
domande: ti posso solo giurare che non si tratta di tossicodipendenza...Papà?”
L’uomo
si era alzato, solenne, e stava uscendo dalla stanza!
Griffin
fece per seguirlo, ma sua madre, che fino a quel momento era rimasta in disparte
sulla soglia della cucina, si fece avanti, un sorriso di incoraggiamento sulle
labbra. “Lascia che gli parli io, caro. E’ un brav’uomo, basta ricordarglielo.”
Di
colpo, alle luci al neon si aggiunse un’intermittente luce arancione.
Terry
fu in piedi di scatto. “L’allarme! Siamo stati scoperti, ma come..?”
Fu
interrotto dalla voce femminile proveniente dall’intercom. “Attenzione, Terry
Sorenson e Chip Martin: abbiamo in ostaggio gli occupanti di questo edificio.
L’intera area è isolata per quanto concerne le comunicazioni. Presentatevi di
sopra adesso, e non in modalità da battaglia, o sarete responsabili
delle loro morti. E non dimenticate di portare con voi i vostri nuovi ‘amici’.
Questa richiesta non sarà ripetuta.”
Inutile
dirlo, un paio di minuti dopo, grazie al montacarichi, i due metaumani furono
nell’ufficio di Steel. Terry portava il lupo, ancora inerte, sulle spalle. Chip
teneva in mano il bozzolo della Faerie.
La
donna, nell’uniforme-armatura del PAX, teneva la canna di un fucile al plasma
puntata a contatto con la testa dell’inerte Steel –il quale non sembrava avere
subito ferite di sorta.
L’altro
soldato del PAX presente si avvicinò a Chip. In mano, teneva una siringa
pneumatica. “Il braccio, mutante.”
Chip
obbedì. Appena il liquido gli fu iniettato in vena, avvertì la familiare
sensazione dell’Hypnocil...e di un altro farmaco. Si sentì venir meno. Un
attimo dopo, crollò fra le braccia del soldato, che se lo caricò in spalla come
un sacco.
Il
soldato si diresse verso la porta. Con la testa, la donna fece cenno a Terry di
seguirlo.
Con
la coda dell’occhio, il giovane nero la vide mettere un oggetto sferico sulla
scrivania, prima di lasciare la stanza a sua volta. Poi, fu lei stessa ad
anticipare la domanda. “Quella bomba detonerà solo se tentate scherzi.
Seguiteci senza fare storie, e la disattiveremo. A meno che sia necessario, non
abbiamo voglia di lasciarci dietro una scia di cadaveri di civili, che siano
teppaglia o no.”
Terry
fece un mezzo sorrisetto. “Mio fratello ha più dignità in un capello che voi in
una vita. E lui è calvo.”
Invece
di uscire in strada, i prigionieri furono portati sul tetto dell’edificio. Ad
attenderli, c’era un elicottero nero –o, meglio, un apparecchio che
dell’elicottero aveva la forma, ma dotato di ali e di un propulsore a razzo.
Quando
tutti furono saliti, l’elicottero si sollevò, spinto dalla turbina sulla
pancia. Un attimo dopo, stava schizzando via, invisibile ai radar.
“Dovresti
vergognarti, Jeremiah! Puoi non apprezzare le idee di tuo figlio, ma rifiutarti
di ascoltarlo è indegno di te. Dai più retta a un paziente per una visita
superficiale.”
Jeremiah
Gogol stava in piedi alla finestra, nella camera che tanto tempo prima era
stata del loro piccolo figlio. L’uomo non si voltò, nel rispondere alla moglie,
“Ascoltarlo, Anja? E’ il mio più grande fallimento: quei suoi ‘poteri’ sono il
culmine del suo rifiuto del nostro retaggio. E’ un estraneo! Quanto tempo
passerà, prima che cominci anche lui a dubitare del pogrom?”
Anja
si sedette sull’immacolato letto, accarezzandolo come se ancora il suo bambino
vi stesse dormendo. “Marito, puoi essere talmente ottuso, a volte...” parlava
con condiscendenza, avendo da tempo accettato che il suo uomo non avrebbe mai
ceduto in un confronto diretto. E il loro figlio doveva proprio prendere questo
tratto..! “Nostro figlio, come tutti gli ebrei della sua generazione, è nato
lontano da quegli anni terribili. Come potrebbe dare per scontato quello che
noi abbiamo passato? L’unica cosa che ci è rimasta da tramandare sono vecchie foto
sbiadite e un numero sul braccio. E bisogna ammetterlo, Sharon non sta dando
una buona immagine del nostro popolo, in questo periodo. Cosa vuoi che pensi,
di fronte a due verità così contrastanti? Cosa dovrebbe pensare, di Javeh?”
Le
spalle di Jeremiah sembrarono scendere di due spanne.
Anja
proseguì. “Ma, religione o no, lui ti ama, marito, e vorrebbe essere
ricambiato. E non credo che la Torah abbia da ridire, su questo.”
Passò
quasi mezz’ora, prima che Jeremiah tornasse in salotto. In mano, aveva non una,
ma almeno una dozzina di ricette. Griffin si alzò in piedi, un sorriso di
gratitudine sul volto.
Allungando
le ricette, Jeremiah disse, con la sua ormai usuale severità. “Due cose,
figlio: le ricette si usano una alla volta, o quel tuo amico nei guai ce
lo lascio, e te con lui. Secondo, voglio che tu e questo tuo amico veniate a
farci visita. E parleremo più a fondo, di questa tua vita da ‘eroe’.”
Griffin
prese le ricette che gli erano porte, e non disse niente. Non ce n’era bisogno.
Gli occhi parlavano da soli.
Griffin
si diresse verso la porta... “Shivek?”
La
madre gli stava gentilmente indicando il retro della casa. “Un po’ di
discrezione, almeno, caro.”
Alla
faccia della privacy! La stessa cabina dell’elicottero era interamente nera. I
piloti dovevano essere collegati a telecamere esterne, per vedere dove stessero
andando.
Terry
aveva perso la cognizione del tempo. Forse un minuto fa, forse un’ora,
l’elicottero era atterrato, e quando si era aperto, si trovavano in un hangar,
insieme ad altri cinque identici elicotteri e diversi velivoli da
combattimento, su diversi ripiani –una portaerei. Per quello che il giovane ne
sapeva, doveva essere ferma, visto che non aveva percepito movimento.
Erano
stati portati ognuno in una cella –a parte il lupo e il bozzolo, trasportati
altrove su una lettiga scortata da due soldati. E in cella erano a tuttora. Ad
attendere...
Sopra
la porta, si accese un monitor. Mostrava il volto di un uomo, un individuo di
mezza età, stempiato, i lunghi capelli ondulati, e una barba e baffetti che,
insieme al monocolo, gli davano un che di aristocratico.
“Benvenuti
in questa umile base mobile, miei giovani soggetti: io sono il Barone Ludwig
von Shtupf.”
“Chi?”
fece Terry.
L’uomo
sospirò. “A parte colui che vi ha catturati, il vostro riconoscente esecutore.
Ecco chi.”
“Riconoscente...?”
“Vedete,
ragazzi, tu e quel mutante mi sarete molto utili, per comprendere la natura
metaumana. Sorprendentemente, i governi del mondo si erano impegnati alquanto
poco a capire ‘come’ funziona un membro della vostra specie. Quando io,
modestamente, avrò decifrato il mistero, la razza umana potrà dormire sonni
tranquilli, non più minacciata dalla vostra presenza.”
Terry
disse, “Con ‘non più minacciata’ vuoi dire che avresti in mente una ‘soluzione
finale’?”
Von
Shtupf fece spallucce. “Sai come si dice, a mali estremi. Ma visto che voi
siete i miei primi soggetti, e vivi, cercherò di non farvi soffrire quando
verrà il vostro momento. Per ora, mi basterà il vostro materiale genetico...Oh,
e per favore, non cercare di forzare la cella: è tutta foderata di adamantio,
un metallo indistruttibile per tua conoscenza.”
In
tutta risposta, Terry Sorenson gli mostrò l’inequivocabile dito. “Per tua
conoscenza, vecchio, quando ti avrò fra le mani ti farò pagare per avere
fatto del male a mio fratello.”
Von
Shtupf spense il collegamento. “Giovane irriverente,” borbottò, poi si fregò le
mani, e si voltò.
Il
lupo giaceva sul tavolo operatorio, ben fissato da solide cinghie, il muso non
esentato da quel trattamento. Von Shtupf accarezzò il manto, soddisfatto. “Ahh,
che cosa meravigliosa, il progresso –un corpo così sano da potere analizzare
senza dovere più passare per la vivisezione...Quasi mi dispiace, di doverlo
uccidere alla fine.” Si rivolse a uno dei tecnici in camice bianco, che si
tenevano a rispettosa distanza. “Numero S-12, vogliamo iniziare? Oh, a
proposito, che ne è del bozzolo?”
Il
tecnico prese una siringa dal carrello degli attrezzi, e iniziò a riempirla di
un liquido ambrato. “Nessun cambiamento, Barone...La cosa più curiosa è che
nessuno strumento di scansione riesce a penetrarlo.”
Altra
fregata di mani. “Wunderbar. Se riesco a penetrare anche questo mistero,
potrò sviluppare uno scansore perfetto, a prova di metaumano. Non potranno
più...eh?”
Appena
lo schermo si era spento, Terry aveva iniziato ad esaminare la cella. La cella
stessa era un cubicolo claustrofobico, ermetico, assolutamente nudo, a parte la
branda. Niente finestre. L’unica aria veniva dal condotto di aerazione, e
quello non era a misura d’uomo. La luce, dai pannelli fissati alla parete. La
serratura era sicuramente elettronica, nascosta nella porta. Una telecamera
garantiva la sorveglianza, ma Terry era materialmente certo che se avesse finto
di stare male, nessuno gli avrebbe dato retta.
Poteva
andare peggio.
Terry
si concentrò, e in un lampo di energia, la sua figura fu sostituita da quella
di Equinox, l’Uomo Termodinamico.
Equinox
puntò la mano alla porta. Se lui fosse stato il Barone, avrebbe fatto in modo
da non fare bastare l’aria, in caso di uso dei poteri...Sorrise –chissà se il
buon Barone aveva studiato bene la sua fisiologia.
L’intero
corpo di Equinox fu coperto dal plasma ardente, mentre dalla mano scaturiva un
getto criogeno! C’erano dei vantaggi, ad avere vissuto con una coppia di
scienziati per genitori: fra le tante cose che si imparavano, era che per
quanto saldi potessero essere i legami atomici e molecolari, tale forza
dipendeva non solo dalla configurazione spaziale, ma anche dal movimento
degli elettroni...
Di
fatto, la stanza aveva esaurito l’ossigeno. Il plasma bruciava di energie che
non richiedevano il prezioso elemento. Lo schermo televisivo e i pannelli
luminosi erano fusi. In quell’inferno, in cui Equinox era una figura troppo
abbagliante per essere distinguibile, la porta della cella era coperta da ghiaccio!
...Quindi,
sarebbe stato sufficiente raggiungere quella temperatura alla quale lo stato
stesso della materia collassava per pura assenza di movimento!
Nessun
allarme suonava.
In
compenso, venne una voce da un altoparlante fuori dalla cella. “Signor
Sorenson, non solo è un’inutile, ma una pessima idea. La bomba
nell’ufficio di suo fratello non è a tuttora stata disattivata...”
Altro
sforzo di volontà. Un peccato, non potere parlare in quell’ambiente ormai privo
di aria. Era molto tentato di rivelare la sorpresina a quel fanfarone!
“Signor
Sorenson..?”
Ancora
un momento...SI’!
Schiacciata
dal suo stesso peso, persa ogni coerenza, la porta indistruttibile divenne un
ammasso di sottili fiocchi!
Sullo
schermo, von Shtupf vide i soldati PAX aprire il fuoco su Equinox...Così come
vide il loro plasma assorbito facilmente da quel corpo ardente, che lasciava impronte
di metallo fuso sul pavimento.
Poi,
Equinox fu ricoperto parzialmente dal ghiaccio, mentre emetteva un’ondata di
calore sufficiente a vaporizzare gli avversari!
Il
panico iniziò a farsi strada nei lineamenti dell’uomo. “Non deve raggiungere la
cella di quel mutante...” disse a se stesso, poi suonò l’allarme generale,
senza staccare gli occhi dallo schermo.
Si
voltò solo quando udì un tremendo suono di qualcosa che si spezza! Prima ancora
di vederlo, sapeva di cosa si trattava... “Mammina.”
Infatti,
il lupo era libero –solo che non era più un lupo, ma un’allucinante creatura
generata dagli incubi –un licantropo, una figura grande il doppio di un
essere umano, il pelo ispido e un muso pieno di zanne come pugnali, deformato
da un odio formidabile!
Il
braccio del mostro scattò in avanti, troppo veloce per essere visto...Ma, un
attimo prima che artigli capaci di lacerare l’acciaio potessero colpire il
Barone, la creatura fu colpita alla schiena da un lampo di plasma!
La
scena sembrò fermarsi. Sia il Barone che i tecnici e i soldati fissavano il
mostro, del tutto inattaccato da quel colpo, che si era voltato a fissare la
mosca che aveva osato tanto!
Sotto
gli occhi inorriditi degli altri, l’animale fece saettare il braccio, e la
testa dell’uomo saltò via come se non fosse mai stata attaccata alle spalle!
Il
Barone ne approfittò per schiacciare un pulsante sulla cintura. Una botola si
aprì sotto i suoi piedi proprio mentre un altro braccio cercava il suo
bersaglio, scavando invece un buco nel pannello di comunicazione.
Equinox
raggiunse la cella dove era detenuto Chip. Era un’altra struttura di
adamantio...
“Era
ora, mister,” disse dall’interno la voce aspra dell’’Altro’.
“Che
dirti? C’era traffico. Ora stai indietro!”
Ripetere
il numero dello zero assoluto non sarebbe stato facile; il primo era stato
abbastanza oneroso, ma non poteva...
I
suoi pensieri subirono una brusca interruzione all’aprirsi spontaneo della
porta!
Schizoid
Man venne fuori, l’ammirazione in volto. “Davvero, ragazzino: me lo devi
insegnare, questo trucco.”
Ancora
un po’, e Equinox balbettava. “Io? Credevo che tu...”
Solo
allora, si accorsero della luce scintillante proprio sopra di loro.
E
della femminile figurina alata che la emetteva.
“Niente
ringraziamenti,” disse la Faerie, le mani sui fianchi, “l’ho fatto solo perché
il mio principe me l’ha chiesto. E ora raggiungiamolo, o vi lascio qui!”
Nella
cabina del comandante, von Shtupf osservava le figure dirigersi verso le scale,
verso l’infermeria.
“Chiudete
tutti gli accessi, ogni paratia. Guidateli alla sezione Evac-2. E’ l’unica cosa
da fare.”
I
militari lo guardarono come fosse uscito di senno.
Von
Shtupf insistette. “Sarà rapido e indolore...per noi. Abbiamo già subito
abbastanza danni così. Meglio liberarci di quei mostri così, che non dovere
arrivare all’autodistruzione. Procedete!”
La
prima paratia si chiuse davanti ai metaumani, quasi tranciando i piedi di
Schizoid Man. Contemporaneamente, gas iniziò a fuoriuscire da bocchette al
soffitto.
“Non
c’è tempo per divertirsi! Di là!” fece Equinox.
E,
come previsto, il gruppo continuò a deviare di corridoio in corridoio...
“Ehi,
Schiz!” fece Equinox, ad un certo punto, “Credi che Ultra ci troverà presto?
Sei ancora in contatto?”
Un
grugnito. “Cosa credi che sia, un faro? Non so neppure dove siamo!”
Altro
corridoio, altra paratia sbarrata, altro gas in attesa.
“Il
principe è vicino!” disse la Faerie. Infatti, all’ennesima svolta quasi
incocciarono nel suddetto...E furono definitivamente in trappola!
La
stanza in cui si ritrovarono era sufficiente a contenere almeno una dozzina di
persone. A parte una lampada e l’immancabile neon, era nuda come le celle.
Unica ‘decorazione’, tre file di maniglie, una per ogni parete, tranne quella
di fronte ai metaumani.
Schizoid
Man guardò il licantropo, ora tornato al suo stato di lupo. “Perché ho come
l’impressione che non ci sia il tempo di presentarci?”
La
parete si aprì in due...e una valanga di acqua si riversò nella Stanza
di Evacuazione.
Von
Shtupf si terse gli occhi con un fazzoletto, sinceramente commosso. “Degli
esemplari in così buona salute, che spreco. Che almeno le registrazioni della
loro attività ci possano essere di aiuto...per...”
Quasi
gli venne da strozzarsi. La sorpresa divenne rabbia, ira...Poi, con una voce
quasi femminile nella sua isteria, il Barone urlò, “NON POSSONO FARMI QUESTO!”
si diresse a una consolle, spostò bruscamente un tecnico, e schiacciò un
bottone. “Vedremo se questo li convincerà a restare morti!”
Quando
Equinox aveva supposto di trovarsi in una portaerei, in un certo senso aveva
ragione.
Solo
che non poteva sapere che questa portaerei era anche un gigantesco
sommergibile!
L’apparecchio
stava muovendosi quasi rasente al fondo oceanico –una pressione sufficiente a
stritolare ben più di un guscio di mera carne e ossa.
L’unica
fortuna dei quattro super-esseri, era di avere fra loro uno che sapesse reagire
alla velocità del pensiero, letteralmente. E così, quando von Shtupf aveva
guardato, aspettandosi di vedere quattro masse morte, aveva visto quattro corpi
vivi e vegeti, avvolti da una sfera di energia psichica!
Uno
sforzo che Schizoid Man stava rischiando di pagare molto caro. Già del sangue
usciva dalle narici, e la sua espressione era di sofferta concentrazione.
“Perl’amordiDiononiniziarealeccarlo!”
faceva Equinox al lupo. Come fortuna voleva, la pressione interna della bolla
la stava spingendo verso la superficie, per quanto a un ritmo da lumaca.
Il
lupo inclinò la testa di lato, e gli rispose...in un inglese impeccabile, “E
perché dovrei?”
La
Faerie, appollaiata fra le orecchie triangolari, fece la linguaccia a
Equinox...La cui attenzione, e quella degli altri, fu subito attratta
dai
siluri. Due, lanciati dalla poppa della nave!
Schizoid
Man, ormai in ginocchio, disse con un filo di voce,
“Non...devono...esplodere...L’onda...d’urto...”
I
siluri si avvicinavano.
Il
lupo alzò gli occhi alla Faerie. “Yillyni?”
Lei
abbassò tristemente il capo. “Mi dispiace, mio Principe. Sono stanca, appena
uscita dal bozzolo.”
Fu
a quel punto, che la figura di Capitan Ultra si intromise fra il quartetto e la
morte! La visiera del supereroe brillò, e un raggio di energia abbagliante come
il sole investì in pieno gli ordigni!
Gli
ordigni esplosero, ma la forza cinetica dell’esplosione fu letteralmente
trasportata via nella furia del Raggio Ultra,
verso
la nave del PAX.
L’avveniristico
sottomarino fu scosso come un fuscello. Si potevano sentire fin da lì i suoi
allarmi, l’equipaggio decisamente troppo impegnato a pensare ad altro che
fermare le loro prede!
Non
senza una ultra-spinta, la bolla arrivò finalmente alla superficie, dove si
infranse, lasciando quattro eroi molto a mollo e molto seccati.
Ultra
emerse fra loro. “Tutto bene, gente? Scusate se ci ho messo tanto, ma non è
facile trovare l’ago in un pagliaio come questo.”
Un
momento dopo, una piattaforma di ghiaccio risolse il problema. “Lascia stare,
Cap,” fece Equinox, “E’ anche colpa nostra. Ho deciso di farci portare fin là e
risolvere il problema una volta per tutte, invece di aspettare di essere tutti
insieme. Temo che sarei un pessimo capo.”
Ultra
si inginocchiò accanto al semicosciente Chip, la cui pallida –almeno, la metà
sinistra- faccia era vigorosamente trattata dalla lingua del lupo.
Chip
aprì gli occhi, e parlò con la voce dell’’Altro’. “Sì, davvero una idea del
*$&! Spero per quel ‘Barone’ che sia morto, o la prossima volta...”
Equinox
lo interruppe, chiedendo a Ultra, “Piuttosto, mio fratello..?”
Ultra
annuì con un sorriso. “Ho distrutto la bomba prima di cercarvi, come mi aveva
chiesto Chip.” Poi, a Schizoid Man, “Oh, e ho portato le ricette che...”
Ma
il mutante agitò una mano, con un sorriso strano. “Credimi, Cap: a Chip non
serviranno, per un bel pezzo. Quando ho finto che fosse lui a dirigere le
danze, lo hanno soppresso proprio con l’Hypnocil, Con una bella dose
concentrata.”
Cap
si batté una mano alla fronte, e guardò Equinox severamente. “Hai pianificato
di lasciarlo libero per...”
L’Uomo
Termodinamico fece spallucce. “Ehi, uomo, l’ho detto che sarei un pessimo capo.
E poi, non mi sembra così pericoloso, adesso. Magari, tutto quello che gli
mancava era solo un cucciolo.” E stava indicando col dito
Schizoid
Man, che stava arruffando la pelliccia fradicia della schiena del lupo. E
sorrideva in modo tutt’altro che ostile!
Ultra
sospirò. “Capisco. Mi sa che ne avremo, di cose da approfondire. Anche sul
nostro peloso amico –che dici, Terry, lo portiamo a casa?”
Episodio3
- Verso la prima linea!
In
una località sconosciuta...
Sono
passate poche ore dallo scontro fra cinque super-esseri e le forze della
misteriosa organizzazione anti-mutante nota solo come PAX –per quest’ultima,
una debacle clamorosa, costata uomini, mezzi e quasi un’intera base
mobile!
Ma
non era stato tanto il fallimento in sé, che bruciava nell’animo del Capitano
Thereza Claymore da Rosetta, mentre la donna, da dietro i suoi rayban
scrutava la terrorizzata squadra di tecnici in camice bianco e galloni
militari. Non c’era bisogno di vederle gli occhi: le sue movenze e la voce
compensavano ampiamente, e tutto in lei prometteva sangue, sudore e lacrime.
Un
monitor a parete dietro la donna mostrava le scene della battaglia fra il
metaumano Equinox e un gruppo di soldati in uniforme/armatura che invano
tentavano di abbatterlo con armi al plasma. L’Uomo Termodinamico si limitava ad
assorbire l’energia e spedirla al mittente.
“Quello
che mi infastidisce davvero, lorsignori, è stata la plateale assenza sul
campo dei 50 Dreadnoughts MKII che, almeno nelle intenzioni originali,
dovevano proprio provvedere a situazioni del genere.”
Seguì
un lungo momento di imbarazzo misto a terrore. In un modo o nell’altro, tutti i
presenti avevano contribuito alla creazione dei robot –o meglio, al
potenziamento delle versioni precedenti, dotandole di moduli intellettivi
ancora più avanzati di quelli installati nelle Sentinelle.
E
se ne erano rimasti nei loro alloggiamenti, sordi a ogni ordine lanciato dalla
sala-comando. E nessun apparente segno di malfunzionamento o di sabotaggio era
la causa.
Il monitor si spense. Da Rosetta batté un frustino sul
palmo della mano. “Quel che è successo è successo, signori. Ma! Entro 24
ore voglio un rapporto dettagliato sul perché di questo tecnofiasco: se è colpa
degli omini verdi, o dei formiconi giganti o dei gremlins o del verdone
mangiasassi, non importa, accetterò la spiegazione...Ma se si ripete, prima di
cambiare staff vi passerò per le armi personalmente.”
Di
tutt’altro umore, la ‘riunione’ che si stava tenendo ad Harlem, New York City.
Una qualità che rendeva Capitan Ultra una persona di cui fidarsi a prima vista era il suo
modo di fare, spontaneo, amichevole, coronato da un volto che, nonostante la
visiera a nascondere gli occhi, era impostato al sorriso.
Per
tale ragione, era fuori di dubbio che la grassa risata che lo stava scuotendo
fosse genuina, con tanto di lacrime e tremito diffuso per tutto il corpo.
“Ihihihiiiii, hohoho...hahahaanonèpossibile!” Chi lo avesse sentito, senza
vederlo piegato in due a rotolarsi come un epilettico sul pavimento, avrebbe
sostenuto che nella stanza ci fosse stato un cavallo sotto tortura. “Vi prego,
no...hohohohoho, eheheheeeh,”
Invece,
nella stanza c’erano Terry Sorenson, ovvero Equinox nella sua identità civile, Schizoid
Man, un lupo dal pelo d’argento fra le cui orecchie sedeva una faerie
dalle ali di libellula, e Steel, il fratellastro di Terry nonché locale
criminale capobanda.
Si
scambiavano occhiate a dir poco perplesse. Il lupo fissava Ultra con la testa
inclinata come un cagnolino. Steel fece ruotare l’indice intorno alla tempia.
“Fratellino, non ci vedo nulla di divertente in quello che hai detto.”
Terry
fece spallucce. “Lo dici a me? Quel bianco ci voleva usare come cavie e poi
ucciderci, e mi sembrava più che serio.”
A
quelle parole, Cap si mise in ginocchio, ancora scosso da occasionali tremiti.
Si appoggiò alle spalle del lupo, fissandolo con un sorriso inquietante. “Ma
certo che era serio, hihi, chissà a quali terribili prove ti avrebbe
sottoposto, per un ‘servizio’ completo, eh stallone?”
Lestissimo,
l’animale si ritirò con un guaito offeso, le orecchie piatte e la coda fra le
gambe. Ultra rovinò a terra, senza smettere di sorridere. Finalmente, si mise
in piedi, incapace di mantenere un’espressione seria per oltre un secondo.
“Barone Ludwig Von...Shtupf, hehe. Ragazzi, mi avete reso un uomo
felice. Se solo lo avessi saputo prima, gli avrei risparmiato la base –se non
altro perché deve già soffrire abbastanza con un simile cognome, Shtupf,
hihihi.”
Steel
incrociò le braccia al petto, fissando solennemente Terry da dietro i suoi
occhiali neri. “Lo vedi, Terry? Lo diceva anche a me, la mamma: impara le
lingue, e capirai il mondo!”
Schizoid
Man puntò un indice al petto dell’uomo dal costume molto colorato. “Non puoi
cavartela così, Cap ultraspiritoso. Adesso ce lo dici, perché sarebbe tanto
divertente, questo cognome!”
Ultra
gli fece ‘no no’. “Te lo scordi...Ma se proprio ci tieni, vallo a chiedere a un
qualunque altro ebreo.”
Finalmente,
tutti tornarono a sedersi intorno al tavolo al centro della stanza privata di
Steel. Ai metaumani si unì il lupo, che con un atto di volontà assunse una
forma ibrida, bipede.
“Cerchiamo
di riprendere l’argomento per le redini, gente,” disse Terry. “Ridicolo o no il
nome del capo, questa gente fa sul serio!”
Ultra
annuì, finalmente lucido. “Hanno mezzi e determinazione...ma non sono come
quelli del Right o di altre precedenti organizzazioni antimutanti, che
non hanno esitato a uccidere civili per raggiungere l’obiettivo. Chip?”
Schizoid
lanciò un’occhiataccia a Ultra. “Chip è bello che addormentato e inoffensivo,
chiaro? Se proprio ci tieni, chiamami Dave!”
Ultra
fece un cenno di scusa. Fedele al suo nom-de-plume, Schizoid Man era un esempio
da manuale di doppia personalità. La personalità dominante, Chip Martin,
era stata involontariamente sedata e messa in un cantuccio dai paramilitari che
li avevano rapiti. “Ad ogni modo, confermo,” continuò ‘Dave’, o l’Altro’, come
era sempre stato noto, “queste pappemolli sono roba nuova sul mercato. Tanti
gadgets ma inesperti.”
“Comunque
sia,” disse Terry, guardando gli altri uno ad uno, “non possiamo restare qui un
giorno di più. La prossima volta, quei pazzi potrebbero decidere di uccidere
Steel per davvero, per arrivare a noi. Anche questo laboratorio deve sparire.”
“Non
ti disturbare troppo, testacalda,” disse Steel, i gomiti puntati sul tavolo.
“Meglio che sia l’intero palazzo, a sparire. Ufficialmente, è sulla lista delle
demolizioni, e non credevo certo che mi durasse per sempre.”
“Mi
dispiace, fratellone,” disse Terry, sinceramente mesto.
Una
scrollata di spalle. “Poteva andare peggio. In fondo, il tuo amico visopallido
mi ha salvato la buccia, ed è meglio di un calcio nei denti. E poi, avevo già
perso tutti i regolari, con quell’ultima entrata. E’ andata bene che la polizia
non sia stata coinvolta.”
“Gia..!”
Dave sembrò confortato da quell’osservazione. “Se fossero stati parte di un
qualche ente governativo, avrebbero avuto persino il diritto di farti mettere
dentro come fiancheggiatore in attività mutanti di stampo terroristico o roba
del genere, Steel.”
“Magnifico!”
fece il nero, con un non proprio vago accenno di sarcasmo, levando le mani al
cielo. “Così, se vengo attaccato di nuovo non potrò nemmeno chiedere aiuto alla
polizia, che sarebbe troppo lieta di avere una scusa per dare un’occhiata in
casa mia.”
Cap
dribblò quella discussione, rivolgendosi al giovane uomo-lupo. “Ehmm, e tu che
ci dici? Non è che sappiamo molto di te...”
L’ospite
annuì, e rispose in tono educato, in un inglese accentato di qualche lingua
nordica europea, “Io sono Hrimhari, Principe del Popolo-Lupo, e lei è Yllyni,
e veniamo da Asgard la Magnifica...” e qui, chinò mestamente il capo. “Anche se
temiamo che non sia più così, ormai.
“Yllyni
mi ha salvato da morte certa, quando le armate del dio egizio Seth hanno invaso
la nostra bella terra. Portavano la distruzione totale, e persino i più potenti
fra i nostri Dei nulla potettero. Io guidai il mio popolo alla pugna, ma
venimmo falciati come insetti impotenti. Persino il Valhalla ci sarebbe stato
negato, ché il mostro era diretto financo alla conquista di Hel.”
Di
tutti i presenti, solo Capitan Ultra sembrava stare capendoci qualcosa. Gli
altri erano troppo occupati a non fare tanto d’occhi...Poi, Ultra disse a
Hrimhari, “Principe...Io ho avuto l’onore di combattere insieme a Thor
contro un demone, e...” vide che alla menzione dell’Asgardiano del Tuono, il
giovane lupoide aveva drizzato le orecchie, gli occhi accesi da una nuova luce
“...E mi chiedevo, dato che Thor è un membro dei Vendicatori, se
potremmo cercare di contattarlo attraverso di loro. Voglio dire, quello è più
tosto di Superman, e...”
Ma
Hrimhari scosse la testa. Sulla sua testa, la Faerie fece altrettanto. “Se Thor
o Padre Odino fossero vivi, non mancherebbero di farcelo sapere. No, Asgard è
caduta. Non sento neppure i richiami del mio popolo...”
Il
triste momento di silenzio che seguì fu spezzato dallo stesso Hrimhari, che guardò
gli altri con rispetto. “Ma sto comportandomi senza gratitudine: senza il
vostro aiuto, io e Yllyni saremmo morti. E non vi è dubbio che i vostri nemici
sono anche i nostri.
“Perciò,
se vorrete accettare questo umile principe senza terra fra le vostre file,
combatterò con voi come farei per il mio popolo. Vi devo la vita, e Hrimhari di
Asgard non lo dimenticherà mai.”
Un
rapido scambio di occhiate, poi Schizoid Man allungò una mano a grattargli il
collo! “Splendido! Per me...Youch!!” Una scarica elettrica dalla faerie gliela
fece ritratte di scatto.
“Un
po’ di educazione con il mio principe, mortale!” L’indignazione di Yllyni
suonava comica, pronunciata con la sua vocina squillante.
Terry
sogghignò. “Lo volevi tanto, un cagnolino, Dave?”
Il
mutante, massaggiandosi la mano, disse, “Ne avevo uno, che assomigliava
moltissimo a Hrimhari. Si chiamava Lucky...” e non aggiunse altro, ma la sua
espressione divenne più ostile.
Fu
lo stesso Hrimhari, a ricambiare la carezza del mutante. “Non prendertela,
Dave: Yllyni non è sgarbata, ma solo molto protettiva. E anche se non sono un
cane, sento che il tuo affetto è sincero, e lo accetto volentieri.”
La
Faerie fece uno sbuffo, accendendosi d’indignazione. Terry disse, “Per me...Ma
devo ammettere che è un mezzo miracolo, vedere Dave così calmo senza l’ausilio
di una tonnellata di Prozac.” Poi, a Steel, “Ascolta, abbiamo tutti una
proposta di lavoro per la Talon Corporation, e forse riusciamo ad
infilarci anche te, fratellone...Che ne diresti di saltare sul treno? Non ci
sarebbe opportunità mi...”
Steel
scosse una mano, un sorriso ironico. “Un gangster come me? Nahh, già sarà un
casino per voi con quel matto mutante...E poi, fratellino, non devo essere io,
a rendere orgogliosa la mamma, ma tu. E in quanto a te, Cap...” e qui il
tono di Steel si fece minaccioso. “Se gli succede qualcosa, a Terry, me la
paghi, chiaro?”
Circa
un’ora dopo, fatta una chiamata dall’ufficio di Steel, una limousine di quelle
degne di un Presidente degli USA sfrecciava verso l’aeroporto JFK.
A
bordo: Terry, Dave Martin, Capitan Ultra/Griffin Gogol e Hrimhari nella sua
forma di lupo vicino a Dave. Tutti indossavano le tute bianche e verdi a
molecole instabili della Talon, gallonato e con il simbolo dell’aquila in
picchiata ad ali spiegate appoggiata al globo terracqueo. Hrimhari portava un
elegante collare con gli stessi colori e simbolo sulla medaglia. La Faerie, per
conto suo, era invisibile.
Con
il gruppo, stava Kristen Palmer, la segretaria particolare dell’uomo che
aveva permesso quel trasporto, e il futuro lavoro del quartetto. La donna, una
bionda da urlo che il doppiopetto e gli occhiali a strettissima montatura
sembravano rendere ancora più femminile, guardava il lupo d’argento con
un’espressione clinica non dissimile da quella di un medico di fronte a un caso
molto interessante. Se le dava fastidio vedere l’animale seduto su un sedile
coperto del più fine velluto, non lo dava a vedere, ma muoveva una penna
elettronica sul suo inseparabile notepad elettronico.
“Uhm,
ecco, mi dispiace di non avere avvertito di questa aggiunta...” tentò Griffin,
che come i suoi compagni si sentiva passato ai raggi X da quegli occhialetti.
Kristen gli rispose con una breve occhiata che lo mise a tacere. “Signor Gogol,
sono sicura che il nostro comune Principale” lo pronunciò come fosse un titolo
regale “saprà apprezzare questa specifica aggiunta di organico, soprattutto se
il lupo saprà dare un contributo attivo alle operazioni.”
Nessuno
volle commentare su quell’osservazione. Gli ospiti tornarono a concentrarsi
sullo schermo TV, che mostrava un servizio della CNN dall’Italia -Il gruppo di
supereroi internazionale ONU, il Worldwatch, aveva sgominato con
successo un’organizzazione mafiosa dedita al traffico di clandestini
dall’Albania, anche se permanevano le tensioni fra i due paesi per la questione
degli immigrati illegali...
“Speriamo
di non doverci ritrovare a gestire un simile casino, nello Zilnawa” disse
Terry. “Come potremmo prendercela con dei poveracci che hanno la sola colpa di
cercare un po’ di fortuna altrove?”
“Nu?”
fece Griffin. “Il mio popolo ne sa qualcosa, della ricerca di una terra...Anche
se non sarebbe giusto farne una scusa per trasformarsi da vittime in
oppressori.”
“Per
quanto mi riguarda,” fece Dave, grattando dietro un orecchio di Hrimhari, “la
miseria non è una scusa per l’accoglienza a go-go. Se non ci sono le strutture
per ospitare decentemente questa gente, sono solo le mafie che ne approfittano.
Ci sono clan che stanno cambiando nazionalità, con queste ‘nuove leve’.”
“Si
potrebbe cominciare con un po’ di deviazione di risorse,” fece Terry,
scaldandosi. “Invece di sprecare...”
“Signori,”
disse Kristen. Lo fece senza alzare la voce, ma fu ugualmente come avere
schioccato un colpo di frusta. Le diedero attenzione incondizionata. “Una volta
in volo, avrete tutte le spiegazioni possibili sulla situazione
economico-sociale dello Zilnawa e del vostro incarico. Nel frattempo, vi prego
di calmarvi. E un’altra cosa: non importa se il lupo si è ancora...liberato.
Abbiamo a bordo le strutture adatte anche per le sue necessità.”
Hrimhari
fece un curioso brontolio.
La
corsa proseguì su un minibus privato. Un tempo, si sarebbe potuti entrare con
la macchina, ma le nuove misure di sicurezza imponevano non solo un rigoroso
check-in, ma anche il cambio di veicolo, veicolo che doveva essere guidato da
personale militare. E non c’era bustarella che tenesse!
Per
questo, un sorpreso Terry chiese a Kristen, “E come diavolo ha fatto, a
farci passare?? Di noi, solo Griffin ha dei documenti.”
“E
li avete anche voi,” rispose Kristen, porgendo a tutti loro dei passaporti e
tessere elettroniche nuove di zecca. “Da oggi, siete cittadini dello Zilnawa a
tutti gli effetti, nonché membri delle locali Forze Speciali di Difesa
Nazionale. Il lupo riceverà il microchip identificativo ed ogni altra
certificazione una volta giunti a destinazione.”
L’autobus
si fermò davanti a un 747 modificato scintillante, con la bandiera dello
Zilnawa sulla timoniera –una ‘V’ nera in campo rosso, e tre stelle intorno alla
lettera. E sul dorso dell’aereo stava la modifica: una specie di Space
Shuttle, ma in scala più ridotta.
Scendendo,
Dave fece un fischio. “Un Air Force One, con tanto di scialuppa...Si
tratta bene, il capo!” Seguirono tutti Kristen sulla scaletta.
Giunti
a bordo –com’era prevedibile, gli interni erano una replica di quelli
dell’aereo del Presidente USA- la donna indicò la piattaforma che portava al
soffitto. “Noi andremo lì: raggiungeremo il Quartier Generale a bordo della
navetta.”
Ce
ne sarebbero state, di domande, ma tutti si concentrarono invece sulla figura
in avvicinamento del
“Console
Raawa!” disse Terry, già stendendo la mano, che il giovane politico nero
strinse calorosamente. “A nome del mio popolo, signor Sorenson...signori tutti,
grazie per essere qui. Vi chiedo scusa, ma ora ho da fare...Sono sicuro che
Alex sarà un anfitrione migliore di me.”
Raawa
si allontanò verso un terminale elettronico, dove un operatore stava indicando
qualcosa su una mappa. Il Console sembrava preoccupato da ciò che vedeva.
Il
gruppo salì sulla piattaforma.
Nessuno
fiatò dal momento del decollo, fino a quando, una volta che il 747 ebbe
raggiunto l’oceano Atlantico, il Capitano annunciò dall’altoparlante,
“Attenzione a tutto l’equipaggio e i passeggeri: tra cinque minuti, avverrà il
distacco dell’X-101. Allacciare le cinture, prego.”
I
passeggeri si affrettarono ad obbedire. Hrimhari fu fissato da Kristen a una
parete con una cinghia speciale. “La nostra base si trova in mezzo all’oceano?”
chiese Griffin.
Kristen
gli rivolse un’occhiata del tipo ‘basta-domande’, e Griffin obbedì.
Cinque
minuti dopo, il distacco avvenne senza scossoni, a mezzo di un repulsore
magnetico. La navetta si diresse in alto, verso un fitto banco di nuvole. I
passeggeri si scambiarono occhiate incuriosite, ma ancora nessuno commentò...
Fino
a quando non raggiunsero la base.
“Per
la miseria!” fece Terry. Dave e Griffin dovettero solo annuire. Persino
Hrimhari e Yllyni, che conoscevano la gloria delle guglie di Asgard, rimasero
ammutoliti.
“Signori,” disse Kristen, con allucinante
distacco, “vi presento lo StarGlider 1000, l’Air Force One dello
Zilnawa.
L’apparecchio
era una fortezza volante, nera, a dir poco colossale, di dimensioni da
fare del B-52 un nanerottolo, dotato di quattro propulsori a razzo sulla
fusoliera, e di ali a geometria variabile. Addirittura, la prua stessa
dell’apparecchio aveva le forme di un apparecchio autonomo.
“Fa
anche il caffè?” chiese Dave.
La
navetta si diresse verso una piattaforma scorrevole alla coda dell’aereo, e fu
inghiottita come Giona dalla balena.
Scendendo
dalla navetta, in un hangar le cui pareti erano tappezzate di mini-caccia
individuali dalle forme innovative, la donna proseguì nella spiegazione. “E’
l’unico esemplare esistente, funge da trasporto presidenziale e QG mobile della
FSDN. Può raggiungere Mach 8 e quota sub-orbitale. La propulsione è nucleare, i
sistemi di mantenimento ad energia solare, ed è dotato di quanto basta per la
produzione e il riciclaggio di cibo e acqua per dodici mesi.”
All’interno,
l’attività era intensa, ma ordinata, ognuno al proprio posto e nessuno
apparentemente curioso sui nuovi arrivati. Il gruppo si accomodò all’interno di
una specie di bolla trasparente su rotaia, che, una volta chiusasi il portello,
si avviò con un lieve ronzio.
“Deve
essere stato utile, un simile bestio, nella Guerra dei Mondi,” disse
Dave, Hrimhari seduto al suo fianco.
Kristen
non staccò lo sguardo dal notepad. “In realtà, l’SG1000 non è stato utilizzato
nel conflitto. Era in attesa di omologazione, al momento dell’invasione. Solo
con la fine della guerra, le pratiche burocratiche sono state accelerate.”
“Regolare,”
fece Terry, mentre il veloce ‘uovo’ raggiungeva la sua destinazione.
Il
gruppo scese. Kristen disse, indicando con la testa la porta davanti a loro, “Lui
vi aspetta. Raggiungeremo la nostra destinazione in 6 ore e 30 minuti.” E si
allontanò verso un’altra porta.
La
porta si aprì, e il quartetto si trovò di fronte a un salotto degno della Corte
di Re Sole, broccato di colori caldi, tendaggi e arazzi armoniosamente
disposti, e velluto dappertutto. Il soffitto, per contro, aveva un modernissimo
lampadario fatto di quarzi di varie lunghezze saldati fra loro, con una lampada
all’interno che sembrava una fiamma.
Alexander
Thran, nel suo gessato disegnatogli
addosso, sedeva dietro a una scrivania in stile antico ma corredata di ogni
strumento da ufficio dell’ultimissima generazione. Il volto dai tratti
orientali del CEO della Talon Corporation si distese in un sorriso.
“Benvenuti!” Si alzò in piedi, e tese la mano, che a turno i suoi ospiti si
affrettarono a stringere. “Sono così felice che abbiate deciso di accettare
questa offerta di lavoro! Sedetevi, prego. Useremo questo viaggio per discutere
ogni clausola vorrete apporre al contratto.”
I
quattro si accomodarono su un divano. Di fronte, avevano un tavolino con un
mini-buffet principesco. Ai piedi del tavolino, c’era una ciotola con il meglio
che un cuoco potesse offrire a un lupo.
“Dunque,”
fece Thran, contemplando l’animale, mentre questi si metteva a mangiare dopo
una annusata di controllo. “Non mi presentate questa stupenda creatura? C’è
qualcosa che dovrei imparare su di lui, signor Gogol...A proposito, al telefono
mi ha detto di essere stato designato come teamleader e rappresentante,
giusto?”
Griffin
annuì. Per lui, non c’era rappresentante di corporazione che non fosse un
serpente, nel cuore –quando un cuore c’era. Tuttavia, la presenza di Thran
era...imponente. Quello non era il tipo da pugnalarti alle spalle, ma un toro
che se facevi incavolare, ti incornava e poi ti schiacciava fino a ridurti a
una pappetta! “Sì, giusto. E il nostro nuovo compagno è, be’...E’ molto più di
quello che sembra appena avrà finito di strozzarsi, ecco.”
Al
sentire il suo nome, il lupo deglutì l’ultimo boccone, si leccò i baffi, e
disse, “Domando scusa per le mie maniere, lord Thran...Il mio nome è Hrimhari.”
Non disse il suo titolo, e nessuno osò aggiungerlo.
Thran
spalancò gli occhi. “Un lupo che parla l’inglese! Una meraviglia, in quest’era
delle Meraviglie...Ad ogni modo, Mr. Gogol, sono sicuro che la sua scelta di
includerlo nel gruppo sia più che giustificata...Ah, stiamo partendo.”
Griffin
disse, indicando la porta con un pollice. “Infatti, la sua, ah, segretaria, ha
detto che provvederà a...”
L’aereo
accelerava. “Kristen? E’ proprio vero: dietro un grande uomo c’è una grande
donna, ma credo che lei sia contemporaneamente tutt’e due. Non so come vivrei
senza di lei...Ma dovevamo parlare delle clausole, giusto?”
Griffin
stava andando nel pallone. Fu Terry a salvarlo dal trance. “Kristen ci ha detto
che siamo stati ‘assunti’ in questa FSDN...Ora, non che non ci piaccia un
lavoro fisso, ma non sarebbe stato il caso di chiedercelo, almeno? Non
sappiamo neanche in cosa consista questo lavoro! E perché noi?”
Alexander
non perse un atomo di compostezza. Si mise seduto su un divano di fronte al
loro, un bastone dal pomolo d’argento fra le gambe. “E’ molto semplice: lo
Zilnawa è la più recente delle neonate democrazie, nata perfino dopo la crisi
Bosniaca in Europa. Non occupa una posizione strategica speciale, ma si trova
nella zona più fertile e ricca di minerali di tutto il Sud Africa.
“I
bianchi che un tempo governavano il Sud Africa ora sperano di reinstaurarsi
nello Zilnawa. Se riuscissero, potrebbero riportare l’intera area in uno stato
di caos, dal quale loro trarrebbero il massimo profitto, a spese della libertà
e del mercato mondiale.
“Le
FSDN esistono per prevenire problemi come questo: devono contemporaneamente
proteggere lo Zilnawa e rimuovere le ‘minacce speciali’ che solo un gruppo di
paranormali può gestire...Ammetto, in tale senso, di avere scelto voi proprio
per due ragione: primo, siete pressoché sconosciuti, a parte Capitan Ultra, del
quale i media possono al massimo trasmettere l’immagine di una ‘recluta’ nel
mondo dei super-esseri, ma una recluta dalle buone intenzioni. E nessun media
potrà ricamare su di voi più di tanto. Secondo, la vostra eterogenicità
catturerà le simpatie dei media e quindi del pubblico. Altre domande?”
Griffin
disse, “La nostra libertà di azione. Cosa dovremo e non potremo fare? Perfino i
Vendicatori sono stati costretti a...”
Thran
fece un cenno secco con la mano. “Tranne lo stupro e il saccheggio, avrete totale
libertà di azione. Voi sarete i Campioni, i campioni di questo Stato e
della gente comune, dell’uomo della strada. Avete la mentalità giusta e
l’entusiasmo: se avessi voluto dei mercenari, avremmo contattato gli Eroi a
Pagamento o la Symkaria. Tuttavia, quando lo Zilnawa dovesse essere
impegnato in un’azione militare, voi dovrete scattare al comando del Presidente
o di chiunque lo rappresenti legalmente. E tutte le volte che decideste di
intraprendere delle ‘crociate’ personali, ricordate che in tali frangenti
rappresentate solo voi stessi. Quanto alla paga: 1 milione di Euro all’anno a
testa, e tutto spesato per quanto concerne iniziative ed operazioni
governative.” Tre fischi all’unisono salutarono l’ultimo annuncio.
“In...in
tutto qu-questo,” balbettò Griffin, che improvvisamente si vide proiettato alla
fascia-weekend-ai-Caraibi, “La, ah, Talon, che ruolo ha?”
Thran
si fece di colpo serio, l’uomo di affari. “Lo Zilnawa non sarebbe nato senza la
Talon, e questo è un fatto: anzi, le tensioni tribali minacciano ancora la
popolazione dentro e fuori i confini. Ci vorrà tempo, per ottenere un
consolidamento del regime democratico...Ma se anche lo Zilnawa è uno stato
‘privato’, non ho intenzione di interferire con la sua politica. Lo
Zilnawa mi è più utile come appoggio, che come marionetta.”
Dave.
“Le FSDN sono una tua creatura?”
“Una
forza privata, sì. Tuttavia, si tratta di forze registrate presso l’ONU e
approvate dal Consiglio di Sicurezza. Un uso...improprio ci costerebbe
l’appoggio della comunità internazionale; ecco perché la necessità della vostra
incondizionata obbedienza nei casi summenzionati.”
Thran
si fregò le mani, di colpo nuovamente l’ospite gioviale. “Altre domande? Bene,
in caso di dubbio, vi presenterò il contratto da firmare a fine viaggio.
Intanto, sarà meglio che incontriate le ultime due aggiunte al vostro gruppo.”
??
Ma
Thran si stava già dirigendo verso la porta.
“Naturalmente,
l’idea delle FSDN precede la vostra scelta.”
L’uovo
di cristallo stava percorrendo un binario a un livello diverso.
Thran
proseguì. “Si era pensato, inizialmente, a una struttura più...militare, con
membri specificamente addestrati ed armati. Ho dovuto fare molte pressioni sul
CdA, per rendere la struttura un po’ più...flessibile.”
L’uovo
si fermò, e scesero. Ad accoglierli, trovarono un uomo...quasi un ragazzo, ad
essere onesti, con indosso un’uniforme bianca e verde. I galloni, come spiegò
brevemente Thran, identificavano l’uomo come un Tecnico.
“Signore,”
disse il tecnico con un inchino, “siamo onorati di averla a bordo. Il Professor
Giapeto si scusa per non averla ricevuta personalmente, ma deve
supervisionare una batteria di esperimenti. Sarò io il vostro accompagnatore.”
“Un
italiano?” chiese distrattamente Griffin, mentre si avviavano. Il tecnico
indicò loro delle piastre su cui fermarsi, e si assicurò che il lupo sedesse
sulla sua. Poi, le piastre si mossero.
“Sì,”
rispose Thran. “Un paese davvero strano, l’Italia: anche adesso, può produrre
degli autentici geni, per poi lasciarli o marcire o prede di imprenditori senza
scrupoli come me.”
Qualcuno
nel gruppo tossicchiò discretamente. C’erano rumori di corridoio, voci da
tabloid, che la Talon avesse raggiunto la posizione di stella grazie al
saccheggio di risorse appartenute alla Roxxon e al Maggia...
Poi,
i pensieri furono messi da parte. Erano arrivati all’hangar centrale, una
specie di alveare dove uomini e droni lavoravano febbrilmente come formiche
intorno al gigante sdraiato sulla schiena...
E che
gigante! Un titano d’acciaio di 30 metri, un mostro così finemente elaborato da
sembrare vivo. Massiccio, elegante con le sue due piastre scarlatte pettorali
simili ad ali di drago spalancate, e le affilate pinne degli avambracci
terminanti in propulsori. La testa era dotata di un enorme paio di corna dorate
laterali ad ‘L’, la sommità del cranio aperta in due placche che ne
circondavano la cavità.
Thran
fremeva di orgoglio. “Mazinkaiser. Il culmine della tecnologia terrestre
in fatto di super-robot. Un arsenale mobile pilotabile da un uomo solo.”
“Gesù,”
fece Terry. “Con quello, avreste potuto demolire i Marziani in un batter
d’occhio. Scommetto che si prende Red Ronin e ne fa stuzzicadenti.”
Thran
sospirò. “Ahimè, i Marziani sono arrivati prima che Mazinkaiser fosse
dichiarato operativo...Ma, almeno, sarà un ottimo supporto per la pace dello
Zilnawa.” Un suono di passi alle loro spalle, e il gruppo si voltò. “Ah, ecco
il suo pilota e vostro teammate: Robert Takiguchi.”
Robert
era un ragazzo, praticamente appena arrivato ai 18 anni, un giapponese dai
tratti delicati e i capelli neri ribelli. Indossava una tuta imbottita che
riproduceva in modo stilizzato le sembianze del Mazinger. In un braccio, teneva
un casco. Robert fece un inchino. “Sono onorato di incontrarvi,” disse in un
inglese perfetto.
Accanto
al ragazzo, stava una figura umana che avrebbe potuto essere sia uomo che
donna, sotto il costume bianco nel perfetto stile del ninja. Di lui/lei si
vedevano solo gli occhi e le sopracciglia, e si poteva solo intuire che fosse
un orientale. Anche la figura si esibì in un breve inchino, ma non disse nulla.
“Il
Ninja Bianco,” disse Thran. “Specialista dei Servizi Segreti. Insieme,
tutti voi rappresentante i tre rami delle FSDN. Vi affido al Dottor Stone, io
ho da terminare alcuni affari.”
Allontanatosi
Thran, il gruppo riprese il tour. Terry chiese a Stone, “Chi ha progettato
Mazinkaiser? Non sembra neanche un prodotto terrestre...”
Stone
annuì. “Oh, lo è, anche se per la sua concezione abbiamo usato quanto rimase
degli Shogun Warriors, dopo che furono distrutti.”
“Mi
pare di ricordarli,” fece Griffin. “Non erano anche loro tre super robot, che
se la fecero contro un certo...Dottor Demonicus?”
Stone
disse, “Proprio loro: Raydeen, Danguard A e Combattler V...Purtroppo,
la storia ha provato che, presi individualmente, potevano essere un facile
bersaglio. Fu sufficiente seppellirli sotto la roccia, per distruggerli.
Mazinkaiser, invece, è un campione perfino in questa categoria: la lega in cui
è realizzato è seconda solo all’adamantio per resistenza. Ed ha molte
più armi a disposizione. Inoltre, con questa base mobile di appoggio ed
alloggiamento, nessun attacco a sorpresa può raggiungerlo, e può essere
riparato in un batter d’occhio.”
Dave
indicò Robert con un pollice. “Yea, e il moccioso qui riuscirebbe a pilotarlo?
Ha più l’aspetto di intendersi di Nintendo che di...”
Stone
redarguì il mutante con un’occhiata di disapprovazione. “Takiguchi ha molta più
esperienza ed elasticità mentale di quanto lei possa immaginare: durante
l’affare Godzilla, è stato l’unico a tentare di avvicinare il mostro per
comunicare, invece di uccidere. E’ arrivato a pilotare il Red Ronin, per
tale scopo. Senza contare che sono i suoi tracciati mentali, ad essere
inseriti nel Mazinger; nessun altro potrebbe pilotarlo.”
Griffin
avrebbe voluto mettersi le mani nei capelli. Decisamente, avrebbe dovuto fare
un discorsetto a Dave..!
“Prego,
proseguiamo,” disse Stone, rimettendosi la sua maschera di cordialità.
Nella
maggior parte del tempo del viaggio, fu un autentico sovraccarico di
informazioni! Visitarono tutto: i laboratori dove gli esperimenti venivano
fatti in RV con una precisione superiore a quella usata con cavie e oggetti
reali; il Centro Informazioni, un ‘orecchio’ che avrebbe fatto molto comodo
alla NSA americana. E poi, il Centro Elaborazione Dati, il vero cuore
informatico dell’SG1000. L’osservatorio spaziale, un occhio collegato a tutti i
centri di ricerca in Rete sulla Terra. Il ‘giardino’, in realtà una fila di
serbatoi idroponici, alcuni dei quali letteralmente fabbricavano la
carne con processi di clonazione, rimuovendo così la necessità di allevamenti.
Il Centro Armamenti, che fra le sue disponibilità comprendeva droni umanoidi da
combattimento...
Quando,
finalmente, furono introdotti alla loro residenza –una vasto monolocale che in
un solo volume comprendeva tutto quello che avrebbe avuto un appartamento a più
stanze- avevano più calli che piedi, e la testa era ridotta a un calderone
ribollente. Ninja e Takiguchi esclusi, che invece squadravano i loro compagni
con aria di compatimento.
Dave
si buttò su un letto che lo avvolse come una benedizione, ma riuscì a dire,
“Non ci godere troppo, moccioso. Scommetto che la tua prima volta non è stata
diversa.” Hrimhari si sdraiò pesantemente al suo fianco.
Griffin,
dal suo giaciglio, disse, “un peccato, non avere potuto incontrare il Prof.
Giapeto. Che tipo è, Bob?”
“Un
tipo tutto chiesa, te lo dico io,” fece Terry, sprofondato a faccia in giù nel
cuscino. Sembrava di guardar parlare un cadavere. “Dio del suo Olimpo
tecnocratico, inavvicinabile, burbero e con 60 anni per gamba...Be’, com’è che
siete tutti ammutoliti? E’ arrivato il babau?”
“Desideravo
solo potervi incontrare in privato, senza dovervi distrarre dal vostro primo
giro qui,” rispose la voce maschile dalla soglia.
I
quattro Campioni esausti saltarono sull’attenti con inaspettata energia.
Simone
Giapeto venne avanti, le mani giunte
dietro la schiena e un sorriso amichevole sulla faccia. Era un pezzo d’uomo
che, senza l’uniforme e i galloni, sarebbe stato meglio dietro il bancone di un
bar del vecchio West che dietro un computer. Il volto era mediterraneo,
pronunciato, abbronzato con due ampi occhi neri. “Comodi, signori. Anche se
Stone vi avrà certamente detto che qui a bordo io sono la massima autorità, non
è una ragione per inutili salamelecchi. Siete giustamente stanchi, e vi ruberò
poco tempo. Il tempo necessario per dettagliarvi della prima missione che vi
attende.”
Episodio
4 - Prima linea!
T:
ora. Una giungla africana, 30 Km a nordest dalla capitale dello Zilnawa.
Si
muovevano in silenzio, veloci, su un veicolo a repulsione di nuova concezione
–un gentile dono degli ‘sponsor’. Il manto erboso della giungla scorreva sotto
di loro, innocuo. Poche manovre erano sufficienti per evitare gli alberi e le
rocce più alte.
La
squadra a bordo, di sette elementi, era tranquilla. Fino a quel momento, le
nuove tecnologie stealth avevano protetto il veicolo dalle intrusioni dei
satelliti americani, europei e russi.
Il
commando alla guida si affidava interamente all’HUD direttamente collegato al
computer di bordo, senza dovere spostare lo sguardo dal panorama. “Nessun segno
di detenzione. Fase B fra sessanta secondi.”
Il
veicolo si fermò come previsto un minuto dopo, in un’area dalla vegetazione
così fitta da potersi perdere in un metro quadro di spazio. La squadra scese;
avrebbero potuto essere robot, per la sincronia con cui si muovevano, asessuati
nelle loro uniformi integrali, dalle proprietà camaleontiche che le rendevano
quasi perfettamente invisibili. Il loro equipaggiamento era racchiuso in
robusti zaini alla schiena.
Il
teamleader, sceso per ultimo, controllò il cronometro. Perfetto! Erano
addirittura in anticipo sulla tabella.
Come
ombre, i membri della Squadra Sincronizzata si mossero.
Poco
dopo, furono in vista del loro obiettivo.
Il
ponte era una delle nuove meraviglie dell’ingegneria moderna, una struttura
sospesa sulla giungla, acciaio e plastivetro, in cui i veicoli potevano
muoversi senza disturbare il mondo sottostante.
La
squadra sincronizzata si divise in due coppie, ognuna per un pilastro, il
settimo di copertura.
Un
attimo prima di arrivare a portata di campo degli scansori, unità di induzione
di immagine ‘trasformarono’ i Sincronizzati in neri in mimetica, con mitra a
tracolla e zainetti laceri.
Poche
cariche ben piazzate, e una nuova crisi internazionale sarebbe esplosa più in
fretta che a dire ‘tombola’. Nelle menti e nei cuori della Squadra non c’era
altro –persino la ricompensa che li attendeva era ben poca cosa, di fronte alla
prospettiva di riuscire nel lavoro assegnato. Riuscire perfettamente, come il
loro addestramento richiedeva, e come le apparecchiature di cui disponevano
concedevano.
Un
‘click’ metallico annunciò il piazzamento della carica. I ‘guerriglieri’ si
guardarono, annuirono e corsero via. Tra poco, sarebbero stati molto
ricchi.
T:
-60 minuti e 27 secondi, sui cieli del Sudafrica
Lo
StarGlider-1000 era letteralmente l’ultimo ritrovato in fatto di basi
mobili aeree. Dove, indubbiamente, la famosa elifortezza dello SHIELD
era una struttura era una città mobile, ma goffa, lenta, l’SG-1000 era un mezzo
veloce, e miracolo di compattezza.
Doveva
essere il meglio, in quanto non solo Air Force One dello Zilnawa, ma
anche quartier generale mobile delle Forze Speciali di Difesa Nazionale,
la prima organizzazione ‘a tutto campo’ di questa neonata democrazia.
Un’organizzazione
che trovava il suo fulcro nel team paranormale dei Campioni.
Simone
Giapeto venne avanti, le mani giunte
dietro la schiena e un sorriso amichevole sulla faccia. Era un pezzo d’uomo
che, senza l’uniforme e i galloni, sarebbe stato meglio dietro il bancone di un
bar del vecchio West che dietro un computer. Il volto era mediterraneo,
pronunciato, abbronzato con due ampi occhi neri. “Comodi, signori. Anche se
Stone vi avrà certamente detto che qui a bordo io sono la massima autorità, non
è una ragione per inutili salamelecchi. Siete giustamente stanchi, e vi ruberò
poco tempo. Il tempo necessario per dettagliarvi della prima missione che vi
attende.” Ignorò i salaci borbottii dai suoi ‘ospiti’, e si avvicinò al tavolo
centrale. Attivò una specie di scatolina al centro, e sulla superficie di
plastica apparve una tastiera da computer!
“Immagino che vi aspettaste un briefing in
qualche bel salone dedicato,” disse Giapeto, digitando sulla ‘tastiera’. “Ma,
poiché il resto del personale è già stato informato...Ecco. Osservate.”
L’intera
superficie della tavola, tastiera esclusa, si animò e divenne una mappa
tridimensionale a colori reali dell’area che l’SG stava sorvolando. La
città/stato di Zilnawa faceva la sua bella figura all’interno di una immensa
depressione naturale che arrivava a toccare la più vicina Pretoria.
“Lo
Zilnawa è nato al centro del Vredefort, il più ampio cratere da impatto
conosciuto sulla Terra. Sulla scia di quella distruzione, è rimasta una
impressionante quantità di preziose risorse minerarie, fra qui abbondante
iridio e nuove leghe metalliche naturali –leghe che fra parentesi sono state
applicate nella realizzazione del Mazinkaiser.
“Fortunatamente,
tali giacimenti sono sempre stati sottovalutati dai vari governi sudafricani.
Oro, uranio e altre risorse erano –e sono- già disponibili a costi più
accessibili.
“Come
saprete, la Talon Corporation ha creato la propria fortuna assorbendo le
tecnologie avanzate di aziende fallite per eccesso di pionierismo in un mercato
sordo al progresso senza profitto immediato. Fusione nucleare, antimateria,
energia solare, propulsione a idrogeno...La gente che ha lavorato su questi
sogni e che ha perso contro la realpolitik ha accettato con gioia di
saltare sul treno della Talon. Le risorse naturali del Vredefort e investimenti
oculati hanno fatto il resto. A tutt’oggi, lo Zilnawa è la Latveria del Sud
Africa.
“Naturalmente,
un simile sviluppo è stato possibile solo perché i nostri ‘vicini’ e ‘alleati’
hanno lasciato che noi scalassimo la vetta per primi.”
“E
adesso che le nuove risorse sono disponibili,” disse Schizoid Man, la
bocca piegata in un sorriso nel lato nero del volto, “è giunto il momento di
reclamare tutta la torta. Senza fare troppo rumore, naturalmente.”
Giapeto
annuì. “Non tutti. Abbiamo un gioco di alleanze che vi illustrerò meglio in
seguito. Comunque, è vero che le borse di tutto il mondo sono impazzite, nella
nuova corsa all’oro. La Talon è un consorzio, e stanno cercando di strapparne i
rami...Ma è questo, il nostro vero problema.” Giapeto puntò un dito
sulla mappa. Sensibili campi elettromagnetici interpretarono il comando,
trasformando la rappresentazione in una visione ravvicinata dell’area fra
Pretoria e lo Zilnawa. Puntini rossi brillavano in mezzo al verde della
giungla.
“Basi
militari. Pretoria, ufficialmente, è preoccupata dalle montanti ondate di disordini
nel Sudafrica fin dalla fine dell’Apartheid, e le fazioni di guerriglia
filoislamica sono solo la ciliegina sulla torta dei pretesti. Poiché lo Zilnawa
non ha mai espresso una chiara posizione nel quadro politico africano, Pretoria
intende tutelare la propria sicurezza. La comunità internazionale storce il
naso, ma le pressanti questioni mediorientali Israele/Palestina costringono a
guardare altrove, per ora.”
Il
leader del gruppo, Capitan Ultra, digrignò i denti. Lui stesso era
ebreo, e quell’assurdo conflitto era una ferita nella sua anima. Aveva potere
sufficiente a volare fin nel campo di battaglia, afferrare per la collottola
Sharon e i leader terroristici e metterli in galera...e non sarebbe servito a niente,
se i popoli stessi non avessero prima trovato il coraggio di cercare la pace,
rovesciare i loro incapaci ‘leader’...
Giapeto
stava parlando, e Ultra si scosse. “Chiedo scusa?”
“Stavo
dicendo,” disse Giapeto, “che l’attività nelle basi, in questi giorni, ha
subito un incremento. Stanno preparandosi a muoversi.
“Non
oseranno attaccare direttamente la città, ma useranno guerriglieri e terroristi
come scusa per arrivare agli impianti minerari, fabbricare prove, screditare in
un colpo solo lo Zilnawa e la Talon che ne ha appoggiato la nascita.”
“Stiamo
per entrare in guerra, insomma,” disse Terry Sorenson.
Giapeto
non perse una virgola della propria formalità. “Non ufficialmente. Se a
Pretoria sono furbi, ordineranno delle manovre di commandos, una ‘black op’.
Senza prove di ‘coinvolgimento’ dello Zilnawa con i terroristi, non possono
sparare neppure un colpo a salve. Combatteremo astuzia per astuzia. Se anche
usassero dei metaumani, con voi siamo coperti.”
“Limiti?”
chiese Ultra.
“Nessuno,
finquando vi scontrerete all’interno dei confini Zilnawani. In caso di
coinvolgimento di civili, occupatevi prima di questi ultimi senza indugio.”
Uno
dei Campioni emise un brontolio, e tutti si voltarono a guardarlo con curiosità
–era Hrimhari, il principe-lupo di Asgard. Era uno splendido esemplare,
nel pieno della forma e dal manto argenteo. Stava sdraiato per terra,
regalmente, le zampe anteriori incrociate. Parlò con una voce profonda e ricca
del suo accento nordeuropeo. “Tre dei mortali di Midgard qui presenti mi hanno
salvato da fine certa, e combatterò al loro fianco come fossero membri del mio
branco. Tuttavia, non finirò mai di sorprendermi di fronte alle energie che la
vostra gente sa profondere per l’accumulo di ricchezze materiali. Il
‘progresso’ dell’uomo non sta che avvelenando la terra da cui trae sostentamento.”
Giapeto
sorrise, per nulla a disagio di discutere di simili argomenti con una creatura
ritenuta dai più ‘inferiore’. “Più che una democrazia, lo Zilnawa è un esperimento,
Hrimhari.
“Noi
possiamo dimostrare che le nuove tecnologie sono a portata di mano, e a costi
rapidamente riammortizzabili. Mentre parliamo, stanno preparando il lancio
dell’ultimo componente del nuovo satellite a trasmissione energetica. L’energia
solare sarà convogliata in un laser e trasmessa ai ricettori a terra; questo, da
solo, proverà che il carbone e il petrolio sono obsoleti, e da tempo.
“Se
lo Zilnawa cadesse nelle mani sbagliate, la Terra perderebbe la sua ultima
speranza di frenare la distruzione dell’ecosistema. I paesi del terzo mondo
vogliono e hanno diritto allo sviluppo, ma non si può permettere che passino
per gli stessi stadi delle nazioni occidentali, o l’atmosfera sarà avvelenata
senza scampo e la desertificazione diventerà inarrestabile. Fra undici mesi,
quando inizierà il nuovo summit sullo sviluppo mondiale sponsorizzato dall’ONU,
dovremo essere in grado di provare che le nuove tecnologie sono applicabili a
tutti gli effetti. Domande? Capitano, lei non mi sembra ancora convinto.”
Fra
sé, Ultra si impose di praticare meglio la faccia da poker. Per quel che ne
sapeva, stava aiutando un gruppo di industriali senza scrupoli a fondare una
elite pericolosa per il mondo libero...Ma qual’era l’alternativa? Ripensò ad
Israele, all’Afghanistan...A quei territori che un tempo erano parte della
‘mezzaluna fertile’, la ‘terra del latte e miele’ della Bibbia. Posti
meravigliosi, degni del Giardino dell’Eden...fino a quando l’esplosione
demografica e la conseguente estensione di agricoltura e pascolo non avevano
causato la desertificazione di quelle terre!
No,
si sarebbe riservato almeno di vedere da vicino la vita nello Zilnawa. Dopo,
avrebbe deciso se tirarsi indietro o no.
“Solo
una,” disse alla fine. “Quando si comincia?”
T
–40m, 55s. Impianto di estrazione 23, 12Km a nord della capitale, Vredefort
Crater
Il
velivolo, simile ad uno space shuttle in miniatura, atterrò docilmente sulla
piattaforma. Un attimo dopo, sotto un sole impietoso, ne scesero cinque dei sei
Campioni.
Ad
accoglierli, trovarono il direttore dell’impianto in persona. Era questi un
nero brizzolato in maniche della più abbagliante camicia bianca mai vista,
intonata al suo largo, perfetto sorriso. “Sono Richard Zana. Felice di
incontrarvi, signori. Il signor Thran ci ha dettagliato sulle vostre
funzioni, ma spero proprio che non ci sia bisogno del vostro intervento. Di
qua, prego.”
Si
diressero all’ascensore, che consisteva di una struttura interamente in
plastivetro, con una panoramica sull’intero impianto. Durante la discesa, Zana
lanciò un’occhiata incuriosita al lupo e al minuscolo essere umano seduto sulla
sua testa. “Con tutto il rispetto...In che modo un animale può cavarsela in un
eventuale combattimento armato?”
“Può
cavarsela meglio di te, mortale,” disse la faerie, con la voce chiara di
una persona dalle normali dimensioni.
“Cosa
estraete qui?” chiese Terry, che per unanime consenso non avrebbe assunto la
sua modalità da combattimento in qualunque ambiente angusto se non necessario.
Era da molto tempo che non si trovava a guardare dal vivo un simile dispiego di
tecnologia. La presenza umana era letteralmente ridotta al minimo, di fatto gli
operai erano robot, delle più strane forme, ognuna specializzata nel
proprio campo. Sciamavano per l’impianto come laboriose formiche. “Non avete
problemi con i sindacati?”
Zana
era visibilmente orgoglioso. “Qui estraiamo iridio e Starlega. Questo
impianto è di fatto la linfa vitale dello Zilnawa e delle industrie di mezzo
mondo –come sapete, l’iridio è il più raro dei metalli, insieme al Vibranio.
La Starlega è ancora più rara, e quella che troviamo è conservata in un
deposito a prova di bomba a fusione pura. Prima di immetterla sul mercato, sarà
indispensabile analizzarla e scoprirne le potenzialità...”
“Il
Professor Giapeto ha detto che è già stata usata, per il Mazinkaiser,”
intervenne Ultra.
“Vero,
ma è stata usata una tale quantità di energia, da rendere quel robot, per quel
che ne so, il più costoso macchinario del mondo. Pochissimi potrebbero usarla,
mentre il nostro governo ha intenzione di renderla disponibile alle più ampie
fasce di mercato possibile.” L’ascensore arrivò a terra, e mentre uscivano, il
direttore proseguì. “Quanto ai sindacati, no, nessun problema. Vedete, la
ricchezza viene ridistribuita equamente fra tutta la popolazione, in un sistema
di welfare pubblico che segue il 100% dei bisogni, senza ingerenze da privati.
Di fatto, sono pochi specialisti a dovere lavorare, nello Zilnawa. I lavori
pesanti sono tutti svolti dalle macchine.”
“Mary
Shelley crepa d’invidia,” disse Schizoid Man.
Zana
fece un cenno di ‘lasciamo stare’. “Noi siamo più seguaci di Arthur Clarke che
di una paranoica di una cultura che dovrebbe essere morta e sepolta. Nello
Zilnawa, crediamo che il giusto buon senso possa prevenire qualunque ‘ribellione’.
Ogni robot è assolutamente e specificamente programmato per una sola serie di
funzioni. Le sole intelligenze artificiali veramente sviluppate sono presenti
nei laboratori di ricerca, non sul campo.”
Passando
vicino a una sentinella nera, armata con un fucile come mai si era visto sul
mercato ufficiale, Hrimhari non poté trattenersi da un’annusata volante. “Come
mai le guardie sono umane? Queste vostre meravigliose macchine potrebbero
impedire un inutile spreco di sangue.”
Zana
quasi inciampò sui suoi passi, gli occhi a palla. Quando Thran gli aveva detto
che il lupo era un esemplare...insolito, non aveva assolutamente accennato alla
parola. Ma lo stupore durò un istante, poi tornò il sorriso –per quanto
leggermente sbiadito. “Err, le variabili impazzite sono troppe, per quanto
concerne la sicurezza. Un robot può essere rubato e riprogrammato contro
di noi, la sua tecnologia copiata...senza contare che i danni a un robot
costano molto più da riparare –quando non si parla di sostituire l’intera
macchina- di quanto costi curare una guardia umana. Inoltre, la fedeltà di
questi uomini non è solo ideologica, ma basata su solidi guadagni e servizi
pubblici pagati. Un nemico dovrebbe rovinarsi a colpi di bustarelle solo per
uno dei nostri uomini o donne. Senza contare che le guardie non hanno
‘passepartout’ per i sistemi di sorveglianza. Abbiamo abbastanza ridondanze da
fregare qualunque tentativo di doppio gioco.”
Entrarono
nel palazzo della direzione, un cubo a tre piani tutto bianco. Dentro,
l’attività era a dir poco frenetica; piacevole caos umano, dopo il relativo
silenzio degli operai robot.
“Con
tutto il rispetto,” disse Zana, “nessuna macchina saprebbe ancora cavarsela nel
caos burocratico. E’ incredibile quante scartoffie possano sopravvivere
all’informatizzazione, non è vero? Per me, è la naturale ritorsione. Sistemi
così precisi richiedono un controllo umano sempre più accurato e documentabile
su carta. Riciclata, s’intende.”
Entrarono
nel suo ufficio, un luogo apparentemente spartano, quasi claustrofobico
nonostante il finestrone.
“Niente
piani alti e piante di ficus?” fece Schizoid Man. Si accomodarono su una enorme
poltrona in similpelle, Hrimhari seduto ai piedi del mobile.
“Dati
i vostri dispositivi di sicurezza,” chiese Terry, “dov’è che interverremmo,
noi?”
Zana
fece spallucce. “E’ un tirare a indovinare. I servizi segreti, nella loro
eterna paranoia, sono convinti che l’attacco avverrà qui, ma di più o non sanno
o non vogliono dire. Voi cosa sapete?” Ma ebbe la risposta appena vide le loro
espressioni sconsolate. “Ad ogni modo, quanto al lusso...” digitò un pulsante
della tastiera incisa nella scrivania.
L’intera
stanza si trasformò nello spaccato di una verdeggiante foresta! Persino odori e
temperatura erano perfettamente simulati, tanto che il lupo iniziò a guardarsi
intorno, e poi verso un tronco caduto dove uno scoiattolo era appena fuggito.
“Spero
la troviate un’applicazione pratica, per l’home entertainment,” disse Zana. “Ci
servirebbe, un po’ di pubblicità, per quando immetteremo sul mercato questi
dispositivi. La scelta di scenari è pressoché infinita.”
Una
vespa passò davanti al Ninja Bianco, che fino a quel momento se ne era
rimasto in disparte, presente come un fantasma più che una persona. Solo per
prova, il guerriero fece scattare due dita contro l’insetto, che fu distrutto
come fosse stato reale, fin nel minimo dettaglio.
Hrimhari,
apparentemente, perse interesse per quella simulazione degna della Stanza
del Pericolo. “Capitano,” disse, “siamo in pericolo. Lo sento.”
Zana
reagì istintivamente a quel tono che non ammetteva dubbi, e spense la
simulazione. “Ma è impossibile...Non è stato segnalato nemmeno...” In quel
momento, fu interrotto dal cicalino dell’intercom. “Direttore,” disse la voce
di un’impiegata, “abbiamo appena perso tutti i monitor e gli scansori del
Livello G1!”
“Le
ultime parole...,” disse Ultra, alzandosi in piedi, “vediamo subito.” Detto
fatto, attivò la sua ultra-visione, una ‘vista’ a neutrini, di fronte
alla quale anche il neutronio era semitrasparente.
“Guardi
in basso!” disse Zana, “Al primo piano sotterraneo.”
Ultra
obbedì. Un attimo, e, “E’ lì! E ha una specie di bomba! Me ne...” si guardò
intorno, costernato. “Ma dov’è finito il Ninja?” Le sue parole si persero
nell’allarme attivato da Zana.
Il
sicario, del guerrigliero o del sabotatore infiltrato, non aveva onestamente
nulla –ed era per questo che si era assicurato di potere lavorare in perfetta
privacy. Le solide porte antincendio erano sigillate alle pareti con resina
metallica. E senza scansori, le autorità Zilwanane avrebbero solo potuto
esaminare, come prova, quello che sarebbe rimasto del cadavere vestito da
guerrigliero che il mercenario si era portato dietro.
Il
mercenario, una figura vestita da un costume interamente bianco, con un
cappuccio e occhialoni anch’essi bianchi, stava ora programmando un ordigno
apparentemente troppo piccolo per i suoi propositi...Ma nel design futuristico
di quello strumento giaceva un cuore di materia superdensa. Una carica
più che sufficiente a ridurre in pappa le travi portanti del palazzo... “Eh?”
L’allarme!
Stavano suonando il segnale di evacuazione! Il mercenario sibilò una bestemmia,
e inserì l’ultimo comando. Entro un minuto... “YARRGH!”
Colpito!
L’avevano colpito alle spalle! Sotto la maschera, colui noto come il
Fantasma guardò con orrore la lama della katana uscire dal petto, il
metallo percorso da piccoli archi voltaici.
La
lama fu ritratta, e il Fantasma ricadde a terra. Su di lui, torreggiava le
figura del Ninja Bianco! “Un...professionista, dunque...Pff, per quello che ti
servirà...” Mancavano solo 30 secondi. Almeno, un risultato l’avrebbe
ottenuto...
“Servirà
a guadagnare tempo, per cominciare,” disse, dietro di lui, la voce
di
Capitan Ultra, che reggeva in mano l’ordigno. “Scusami la fretta, ma ci
presentiamo dopo, OK?” E, come era venuto, l’eroe fasò con la bomba attraverso
il soffitto.
Una
volta all’aperto, Ultra lanciò la bomba con forza, e contemporaneamente la investì
con un cono di energia Ultra dalla visiera per ridirigere l’esplosione verso
l’alto...E quasi fallì, avendo seriamente sottovalutato la potenza
dell’esplosione!
Il
Fantasma si alzò in piedi, sempre sotto la vigile lama della katana. Ancora
qualche minuto, per la riparazione completa... “Tu sei il Ninja Bianco, un
perdente che l’Uomo Ragno ha messo sotto al primo round. Eri scomparso:
credevo ti fossi ritirato.”
La
risposta giunse fredda, priva di emozioni. “Ho migliorato il mio addestramento
e le mie armi. Lavoro per lo Zilnawa, adesso.”
“Vuol
dire che sarà il tuo epitaffio,” disse il Fantasma, scomparendo dalla vista.
Prevedendo
quello che sarebbe successo, il Ninja saltò in aria. Un attimo dopo, il suo
corpo fu investito da una tremenda scarica di energia, e cadde, inerte.
Il
Fantasma, una pistola hi-tech in mano, tornò visibile...e sussultò.
“Maledizione!”
A
terra, ancora fumante per il colpo, giaceva un pezzo di legno!
Movimento!
Alle sue spalle! Il Fantasma sparò colpi in rapidissima sequenza; ironicamente,
se il suo avversario fosse stato Iron Man, sarebbe anche riuscito a
colpirlo...Ma il Ninja non aveva scherzato, dicendo di essere migliorato. Si
stava già muovendo, nel momento in cui il Fantasma premeva il grilletto, e ogni
colpo arrivava a segno con un attimo di ritardo!
Nel
correre, il Ninja ripose la katana dietro la schiena. Arrivato al muro,
semplicemente, vi proseguì la corsa come fosse stato un piano orizzontale! Un
rapido movimento del braccio, e una pioggia di shuriken volò verso il
Fantasma! Le temibili stelle appuntite di metallo erano sature di energia,
sufficienti a penetrare il corpo del Fantasma come proiettili. E lo
penetrarono, infatti...ma solo perché a quel punto il corpo del nemico era
intangibile!
“Peccato,
bianco, sarà per un’altra volta. Ci si vede!” E il Fantasma sparì attraverso il
pavimento.
In
mezzo a un capannello, Equinox aiutò Ultra a rimettersi in piedi. “Tutto bene,
Cap?”
L’eroe
si stava massaggiando la testa. “A parte il mal di testa e l’orgoglio,
sì...credo...Oy, volevano veramente darci dentro. Qualcuno sa cosa è successo
al Ninja?”
In
risposta, il Ninja stesso apparve dal nulla in un vibrare di energia, facendo
sobbalzare la folla. Subito, il guerriero fece un inchino marziale. “Il
Fantasma è fuggito. Domando perdono.”
“Il
chi?” domandò Schizoid Man.
“Un
mercenario specializzato in sabotaggi industriali. E’ particolarmente feroce
contro tutto ciò che riguarda le imprese Stark.”
“Faceva
meglio a continuare a prendersela con loro,” disse il mutante. “Adesso ci sono
abbastanza prove da affossare Pretoria davanti a qualunque...”
“Prove
del tutto insufficienti,” disse Zana, sconsolato. “Per quanto ne può sapere
qualunque corte internazionale, il Fantasma è solo l’ennesimo pazzo in costume
impegnato in qualche personale crociata. La sua bomba è distrutta,” e qui
lanciò una breve occhiataccia a Ultra. “Insomma, abbiamo solo perso tempo.”
In
quell’istante, suonò un cicalino nella cintura dei Campioni –nel collare, per
Hrimhari. La voce di Giapeto era allarmata. “Campioni, ci hanno preso in giro!
I dispositivi di sicurezza al Km 199 del Ponte del Dalai segnalano
attività di sabotaggio dei guerriglieri! Vogliono colpire il Presidente
K’Auna! Fate presto, vi trasmetto le coordinate!”
Ultra
disse, “Io vi precedo. Raggiungetemi con l’X-101,” e prese il volo. Un
assordante bang sonico e una fiammata di attrito atmosferico annunciarono
l’immediato raggiungimento della velocità di fuga.
A
bordo dell’SG-1000, il sesto Campione misurava la sala di controllo a falcate
da tigre in gabbia, lanciando occhiate nervose al maxischermo che occupava
un’intera parete. Su di esso, si vedeva la rampa di lancio di Cape Laika,
così chiamato in omaggio al primo animale lanciato nello spazio; l’RMSV Skywolf I stava entrando nell’ultima fase dei
preliminari al lancio. In distanza, una folla di gente si agitava come un unico
organismo –a Robert Takiguchi ricordavano un’ameba oscena, desiderosa di
inglobarsi la preda. Una finestra dello schermo mostrava l’ameba come composta
di uomini esaltati, urlanti, ipnotizzati dalla propria rabbia, mentre
brandivano striscioni e cartelli –solo che, insieme alle ben note diciture
razziste, facevano mostra di sé deliranti slogan anti-tecnologici...E, come
temuto, fra i manifestanti c’erano le familiari tuniche bianche col sole
infuocato dei Luciferi.
Simone
Giapeto sedeva al centro della stanza, circondato da una propria consolle. Levò
gli occhi dal suo lavoro giusto il tempo di rivolgersi al giovane giapponese.
“Robert, so che vorresti essere lì, a garantire la sicurezza personalmente, ma
non si tratta di un’operazione militare, e le Forze Speciali di Difesa
Nazionale non sono state invitate.”
Robert,
che indossava l’uniforme da pilota, in mano il suo casco, si piantò davanti
all’uomo che ora per lui era come un padre. “Direttore, i Campioni sono già
stati depistati per quanto riguardava i sabotaggi. Per quanto ne sappiamo, fra
quei ‘dimostranti’...”
Giapeto
lanciò un’occhiata severa al ragazzo, rimettendolo compos sui. “Quei
dimostranti sono sotto continuo monitoraggio, e nessuno di loro è un metaumano
o un mutante o un sicario hi-teche lo Skywolf I è protetto da abbastanza
misure di sicurezza, che quelli avrebbero bisogno di armi molto potenti per
fermarlo...Ma su una cosa hai ragione, ed è per questo che sei rimasto qui. Se
questa volta i nostri agenti non hanno preso un granchio colossale, la missione
avrà bisogno di noi molto presto.”
Il
condensato comunicato radiotrasmesso informò Ultra della tremenda realtà che si
stava prospettando. L’auto del Presidente dello Zilnawa era diretta verso la
capitale dopo un lungo tour di visite ai vari villaggi autoctoni sparsi fra la
nazione e Pretoria. L’idea era quella di assicurarsi proprio il supporto delle
popolazioni ancora ignorate dai ricchi ‘vicini’ africani –una politica poco ben
vista da Pretoria e dintorni, ma non certo ufficialmente contrastata.
La
morte del Presidente K’Auna, in quel momento a pochissimo dal KM 199 del ponte
di cristallo, avrebbe acceso una nuova polveriera! Ultra era una palla di
fuoco, concentrato su ogni centimetro quadrato dei pilastri, e bestemmiava
sordamente –fra tutti quei maledetti strumenti, come faceva a
distinguere una %£$@°!? di bomba?? Solo quella del Fantasma sembrava un cric
della navetta della Voyager!!
L’auto
del Presidente era ormai al Km 199! Ma perché diavolo non l’avevano almeno
fatta fermare?
Poi,
anche pensare, perse di importanza, quando gli ordigni detonarono! La
sezione danneggiata sussultò ma tenne, oscillando paurosamente. E per quanto il
ponte potesse essere una struttura flessibile, il potente trauma ne avrebbe
spezzato la coerenza in pochi istanti! C’era una sola cosa, da fare! E,
perversamente, Ultra si sentì proprio come Superman, mentre usava il suo stesso
corpo come pilastro portante!
Sentì
l’auto presidenziale passare sopra di lui, ma non per questo Ultra mollò la
presa. Attivò la visione Ultra, e scandagliò quanto possibile della giungla...Eccoli!
Ultra attivò la radio. “Sono su un hovercraft, direzione...” già! Nessuno gli
aveva ancora dato lezioni di goniometria. “Fa niente, ve lo indico con il
raggio Ultra. Prendeteli, gente, io resto qui ad aspettare le squadre di
riparazione.”
Finalmente,
vide l’X-101 sfrecciare nel cielo all’inseguimento. Conoscendo gli altri, era
sicuro che nessuno di loro si sarebbe perso quest’occasione di menare le mani
–però potevano almeno fargli le congratulazioni!!
Sullo
schermo, l’hovercraft si diresse verso l’imboccatura di una caverna, passandoci
a stento.
Automaticamente,
il sistema operativo a fuzzy logic del computer di bordo prevenne i
desideri dei suoi padroni e mostrò una mappa del sottosuolo in quell’area.
“Ci
mancava solo questa,” disse Equinox, “un network di caverne sotterranee!
Scommetto che è la residenza estiva dell’Uomo Talpa. Non li troveremo
più.”
“Li
troveremo,” disse Hrimhari. “Io sono il migliore esploratore e cacciatore di
tutte le foreste di Asgard, e quel labirinto è poca cosa.” Il suo tono non
ammetteva repliche, e la navetta fu diretta da Schizoid Man verso l’imbocco,
dove fu fatta atterrare.
“A
proposito,” disse l’uomo termodinamico al mutante, “dove hai imparato a
pilotare?”
Sorriso
enigmatico. “Un giorno te lo racconterò. Andiamo!”
All’imboccatura
della caverna, Schizoid Man si rivolse a Hrimhari. “Abbiamo poco tempo, giusto?
Vieni con me, forza!” e si tuffò senza esitare in quel pozzo oscuro, seguito a
ruota dal lupo...
...che
atterrò, nel cono di luce dall’esterno, al fianco del compagno, in piedi su una
mostruosa manifestazione che sembrava la versione diabolica di una manta, con
tanto di zanne e artigli! La creatura era, in realtà, puro ectoplasma mentale,
generato dalla mente del mutante.
“Tu
hai dei problemi, amico,” disse Equinox, entrando a sua volta, contemplando la
mostruosità.
“Da
che parte?” chiese Schizoid Man, ignorandolo.
In
un attimo, la forma del lupo assunse postura bipede. Hrimhari si concentrò,
diventando tutt’uno con l’ambiente che lo circondava...Finalmente puntò un dito
ad est. “Di là, ma sono molto veloci.”
“Davvero?”
disse Schizoid Man, e quasi fece volare via l’asgardiano, tanto veloce fu lo
scatto in avanti della ‘manta’! Equinox dovette darsi da fare per stargli
dietro. Tutti maniaci della Formula 1, oggi!!
Era
uno spettacolo impressionante! Era davvero un mondo a parte, là sotto, sembrava
di essere in un romanzo di Verne. La scia di plasma di Equinox si rifletteva su
poderose formazioni di quarzi e stalattiti come zanne di giganti dimenticati.
Dove la luce del plasma non arrivava, brillavano colonie di organismi
fotosfori. C’era di che restare intimiditi, di fronte alla maestà del luogo –e
all’ignoranza che i Terrestri avevano del proprio mondo!
“Beccato!”
disse Schizoid Man, alla vista dell’hovercraft nemico, diretto verso nessuna
direzione in particolare.
Hrimhari
strinse gli occhi, il pelo sulla schiena istintivamente teso. “Questo è il
momento critico: la preda è disperata, e proprio ora potrebbe voltarsi contro
il cacciatore. State attenti!”
Sembrava
proprio che a bordo lo avessero udito, perché, senza preavviso, l’intero
veicolo si trasformò in una palla di luce!
Equinox,
già messo sull’attenti, fu il primo a reagire, frapponendosi fra i suoi
compagni e l’esplosione, assorbendone l’onda termica! Purtroppo, lo spostamento
d’aria e i detriti letali come proiettili furono un’altra, e tutti ne furono
investiti! Schizoid Man perse la concentrazione, insieme alla conoscenza, e la
sua ‘manta’ si dissolse.
Tutti
precipitarono verso un abisso apparentemente senza fondo...
“Ricevuto,
Campione,” disse l’operatore in camice bianco. Poi, a Giapeto, “Direttore, non
abbiamo più contatti con Schizoid Man, Equinox e Hrimhari. Il Ninja Bianco
chiede il permesso di andare in esplorazione.”
“Negativo,” rispose Giapeto. “Digli di
attendere Capitan Ultra. Tra quando sarà lì la squadra di riparazione?”
“Venti
minuti, signore.”
Più
il tempo necessario a mettere su le impalcature provvisorie... pensò l’italiano, stringendo un pugno. Ma quella è
terra ignota, e il Ninja da solo rischia di andare al macello per niente!
Come... “Cosa succede?”
Era
l’allarme generale, come programmato proprio nel caso di...E infatti, eccole!
Sia sugli scansori che sul maxischermo.
Su
una finestra, proprio in quel momento, stava per decollare lo Skywolf I.
E sull’altra, una formazione di Sentinelle, che si dirigeva verso
l’RMSV!
L’informazione
era dunque corretta! “Robert, tocca a te!”
Episodio
5 - Arriva Mazinkaiser!
Robert, tocca a te!
Con
queste parole nella mente, il volto del soldato risoluto su nient’altro che la
propria missione, il giovane Robert
Takiguchi, vestito della propria, colorata uniforme di pilota, stava in
piedi nell’ascensore in plastivetro. Accanto alle pareti, scorrevano i numeri
dei livelli –3...2...1... Robert si tese.
0!
Il pavimento della cabina si aprì. Robert sollevò le braccia, e si lasciò
cadere
lungo
il tubo telescopico che, dal soffitto del colossale hangar, portava fino al super-robot che vi giaceva sulla
schiena. La macchina misurava 30 metri, un concentrato di tecnologia come non
si vedeva sulla Terra dai tempi degli Shogun
Warriors.
Il
tubo portò Robert nella cabina di pilotaggio, all’interno della calotta
cranica, che proprio sopra gli occhi si apriva in due placche a doppia punta.
Robert scivolò senza difficoltà sul sedile. Il tubo si ritirò.
Posò
le mani sul pannello di guida –di fatto, un touchpad
che sostituiva l’antiquato gioco di leve e cloche dei predecessori. Sofisticati
sensori registrarono l’impronta genetica e le onde cerebrali dal casco;
richiese un microsecondo. Le luci della cabina si accesero, la calotta si
chiuse con un sibilo idraulico.
Gli
occhi del gigante si accesero di giallo. Le sirene di allarme risuonarono a
titolo precauzionale, in quanto il personale era già stato allertato di
allontanarsi. Allo stesso tempo, ogni infrastruttura era già stata ritirata in
speciali alloggiamenti nelle pareti.
Il
portello posteriore dello StarGlider-1000,
Air Force One e Base Mobile Strategica delle FSDN, si aprì in due per il lungo,
estroflettendo una pista.
Robert
attese le luci di ‘GO’...ed eccole! Diede fiato ai polmoni, e
“MAZIINGA
FUORI!”
Oggi,
stava per compiersi il disastro, per la storia del progresso umano.
A Cape Laika, centro spaziale della
neonata democrazia tecnocratica dello Zilnawa, stava per essere lanciato lo Skywolf I, un RMSV (Reusable
Multi-Stadium Vehicle) che ospitava l’ultimo componente per una ministazione
automatizzata geosincrona. Una stazione il cui scopo era raccogliere l’energia
solare e reindirizzarla in forma di laser a una stazione a terra, che avrebbe
convertito la luce in energia. Se i costi di quel progetto fossero stati
ammortizzati secondo i piani prestabiliti, il mondo occidentale sarebbe stato testimone
di una rivoluzione, il primo passo verso il tramonto dell’era dei combustibili
fossili.
Un’ottima
ragione, per le forze conservatrici, che su tali combustibili avevano costruito
fortune, per impedire che quel passo fosse compiuto. E a tale scopo, una
squadra di Sentinelle era stata
inviata a Cape Laika.
Per
distruggere lo Skywolf I.
Dalla
‘stanza dei bottoni’ di C.L., il personale osservava con non poca trepidazione
i robot in avvicinamento. Erano modelli potenziati, inconfondibili, identici a
quelli usati per la difesa dell’Africa durante Guerra dei Mondi!
Jason Raga, Direttore di C.L., in maniche di camicia, contemplava,
tuttavia, l’imminente attacco per quello che era –una seccatura. Era un uomo
dedito alla precisione, un individuo maniacale nel rispettare la più
insignificante scadenza col massimo della precisione, e quelle lattine
ambulanti gli avrebbero rovinato il record! Il grande cronometro sulla parete
segnava –180 secondi al lancio. La finestra di lancio, su un indicatore
sottostante, regalava ancora ben 30 minuti.
Le
Sentinelle ruppero la formazione. Tre di loro si diressero senza indugio al
missile; le altre si sparpagliarono ed iniziarono a seminare distruzione su
Cape Laika.
Le
tre sentinelle mirarono allo Skywolf.
I loro occhi laser investirono l’apparecchio, ma l’energia fu deviata dalla
corazzatura antilaser.
In
sala controllo, l’entusiasmo fu intenso ma di breve durata. Tremende esplosioni
scossero il grande palazzo. Suonò l’allarme di evacuazione.
Do
riflesso, qualcuno iniziò a dirigersi verso l’uscita, ma fu ghiacciato dalla
voce tonante di Raga.
Il
Direttore era una maschera di determinazione. “Il primo che si azzarda a
lasciare il suo posto prima del lancio dello Skywolf lo seppellisco personalmente prima che lo facciano quelle
macchine. Chiaro?!”
Lo
conoscevano tutti, e nessuno fiatò, anche se non poche volte si levarono
sguardi pietosi al soffitto da cui cadeva polvere.
Lo
Skywolf stava per decollare.
Le
Sentinelle decisero di cambiare tattica. puntarono le mani...Prima che la testa
di una Sentinella venisse letteralmente sbriciolata, mentre due paia di mani
furono troncate, di netto, da una coppia di oggetti rotanti, velocissimi! I
robot emisero un grido di elettronica sorpresa. “Allarme! Allarme! Minaccia
sconosciuta classe IV! Scanalisi, scanalisi! Ripristinare nuovi parametri di
priorità! Minaccia avvistata! Classificare ed archiviare!”
Gli
oggetti rotanti tornarono a congiungersi con le braccia del loro proprietario,
che stava in piedi, agguerrito, sopra il centro spaziale, sospeso dai
propulsori alla schiena. I pugni a lame rotanti smisero di girare.
Robert
socchiuse gli occhi, l’espressione truce. “Archiviami questo, stronzo. Ra*”
“Che
cosa credi di combinare, Takiguchi?”
Lui
quasi si morse la lingua, ma non terminò il comando. Da una finestra nell’HUD,
lo guardava severamente il Direttore della base SG-1000, Simone Giapeto.
“Signore,
lo Skywolf...”
“Una
macchina si può ricostruire in tempi brevi, ma non potremo lanciare nulla se
Cape Laika venisse distrutto. Ferma le altre sentinelle, ora!”
Robert
perse un secondo, durante il quale fece saettare l’occhio sulla distruzione che
le altre Sentinelle stavano apportando. Se l’architettura non fosse stata
concepita per un simile evento, ci sarebbero state solo macerie, adesso...Ma il
lancio era automatizzato comunque, Salvando lo Sky*
Poi,
Robert si accorse di un dettaglio sul pannello di controllo. La trasmissione era in chiaro!
Nuova
speranza inondò i suoi pensieri.
Su
un maxischermo, in una stanza immersa nella penombra e nel fumo di molte
sigarette, un’assemblea di uomini e donne stava contemplando lo spettacolo del
Mazinkaiser che abbandonava il missile.
“Davvero,”
disse uno di loro, la voce arrochita non dal fumo ma dagli anni, “Il nostro
Dottor Giapeto è uno degli ultimi ottimisti. Quando avremo finito di sbranare
le imprese della Talon Corporation,
non resterà loro abbastanza denaro da mandare in orbita un palloncino.”
Un’altra
voce maschile, più giovane, puntò lo schermo. “Sono lieto che le azioni siano
la tua principale preoccupazione. Dovremmo invece preoccuparci di quel robot, o
tutti i nostri piani vanno a monte. Propongo di usare l’unità TS Overkill sul secondo obiettivo adesso, o
faremo solo un buco nell’acqua.”
Una
donna si fece sentire. “Non è una buona idea. Ci siamo esposti a sufficienza
con queste Sentinelle. Una volta schierato in campo l’Overkill, non potremo tornare sui nostri passi.”
“Per
quello che vale la tua prudenza! Quelle Sentinelle avrebbero dovuto fungere da diversivo, e di questo passo
resisteranno per pochi minuti al massimo. La seconda ondata non farà una fine
migliore!”
“Un
peccato, lo ammetto,” disse la donna. “Ma abbiamo comunque raggiunto un
obiettivo importante: ci vorranno comunque anni, per costruire un nuovo
componente, e nel frattempo, la stazione orbitale sarà stata distrutta.
Vinciamo comunque.”
L’apparecchio
stava decollando. Le sentinelle si lanciarono contro di esso...e si lasciarono
esplodere! L’RMSV si spezzò in due, e nonostante ciò sembrò volere un’ultima
volta tentare di sfidare il cielo...prima che il carburante fuori controllo
esplodesse a sua volta. Decine di migliaia di litri di idrogeno e ossigeno
supercompressi, che divennero un piccolo fuoco atomico! Quanto era rimasto
delle finestre di Cape Laika si trasformò in aguzzi torrenti di schegge.
Mazinkaiser
atterrò. Il gruppo propulsore si ritrasse nella schiena.
Il
robot diede una rapida occhiata all’olocausto, prima di puntare sulle
Sentinelle intente a cercare di demolire il poderoso palazzo principale della
ZSCA (Zilnawa Space Colonization Agency)
“Raggi Fotonici!” un’abbagliante coppia di laser dagli occhi fulminò
come lame altrettante Sentinelle, tranciandole di netto. I frammenti,
purtroppo, non si rivelarono tanto innocui, quando andarono a distruggere
l’intero parcheggio. Poi, i frammenti esplosero.
Il
Direttore contemplò l’oscena, fiammeggiante frittata metallica –con quello che costava un’auto a idrogeno!
Raga
si toccò il microfono dell’headphone. “Mazinkaiser, ti siamo riconoscenti e
tutto il resto...ma qui non siamo in un cartone animato! Cerca di portarti i
tuoi amichetti fuori di qui, sì?”
Robert
era perplesso. Sì, era sua intenzione distruggere ogni Sentinella...Ma queste
saltavano in aria con una potenza eccessiva per il tipo di attacco usato...Ma
era roba per le squadre DC (Damage Control).
Mazinkaiser
puntò le braccia ad altrettante Sentinelle intente contro i dormitori. “Turbosmasher
Punch!”
Di
nuovo gli avambracci ruotarono velocissimi, un secondo prima che questi si
staccassero come missili, roteando come due proiettili-tornado!
Una
Sentinella fu centrata allo stomaco, si irrigidì ed esplose, lasciando di sé i
soliti, pochi rottami. La seconda tentò di evitare il letale arto...solo per
scoprire che questi era dotato di un puntatore automatico. Fu colpita al
bacino, perdendo la metà inferiore del corpo...e fu sufficiente a farla
esplodere.
Altre
due Sentinelle tentarono l’attacco frontale, ora che Mazinkaiser era senza
braccia.
“Missili Perforanti!” l’interno delle braccia si mise a ruotare come il
caricatore di una mitragliatrice vecchio stile...con la differenza che i proiettili
che ne vennero espulsi erano missili ruotanti, dal corpo affilato come la loro
punta!
Le
Sentinelle furono penetrate come tanti puntaspilli. I missili esplosero,
aggiungendosi alla solita esplosione spontanea.
Gli
avambracci si ricollegarono al loro padrone.
Robert
non aveva più dubbi, e dovette sorridere di ammirazione –furbi, gli amici!
Dispositivi di autodistruzione per cancellare le prove! Chissà perché non gli
risparmiavano la fatica, allora? Delle 12 Sentinelle inviate, 9 erano fuori
gioco...Poi, capì!
“Già,
volete studiarmi, giusto? Imparare come giocano i grandi...” fece una smorfia
cattiva. “Allora, imparate questo: Missile
Gigante!”
Una
sezione del ventre di Mazinkaiser si aprì, rivelando il missile in questione,
che fu eruttato con tutta la forza dei suoi propulsori H/O. Un solo missile, ma
sarebbe bastato –visto che questo
missile possedeva una testata multipla, che rivelò poco dopo l’apertura della
calotta.
Le
Sentinelle superstiti non tentarono neppure di fuggire. Poterono solo
continuare a registrare e trasmettere, mentre, una dopo l’altra, venivano
infallibilmente colpite!
Robert
schioccò allegramente le dita. “Yatta!
Che ne dice, Dottore? Se questo lattine sono il massimo che possono offrire…”
Di
nuovo, il mediterraneo Direttore della BMS lo interruppe seccamente. “I trionfi
a dopo, Robert. In questo momento, una seconda squadra di Sentinelle è stata
teletrasportata presso la Centrale di
Ricezione.”
Non
se lo fece dire due volte. “Pronti al combattimento!”
Mazinkaiser
fece un breve tratto di corsa, piegò le gambe e saltò. Il gruppo propulsore
sulla schiena si allargò, e lo lanciò a tutta velocità verso il nuovo
obiettivo.
Il
Direttore Raga si scosse la polvere dagli abiti e dai capelli. Tutt’intorno a
lui, nel centro di controllo, era il caos –il personale era stordito, tanti
fantasmi impolverati e doloranti, battuti dal vento caldo dalle finestre rotte.
Il pavimento cosparso di calcinacci e schegge di vetro, lampade che pendevano
dal soffitto in posizione precaria…eppure, le apparecchiature informatizzate
avevano resistito. Il generatore di
emergenza era entrato in funzione efficacemente, i case antipolvere e antishock
dell’hardware di nuova generazione avevano superato la prova.
Raga
sorrise, vedendo la sua armata tornare ai propri posti, mentre la fiducia
riguadagnava il terreno perso. La battaglia fra le macchine era stata intensa,
ma breve, e avevano ancora tempo.
Una
vera fortuna, avere dalla loro un’organizzazione ricca come la Talon –la NASA o
l’ESA non avrebbero mai potuto permettersi un ‘trucco’ del genere…
Un
cerchio di luci di segnalazione nel piazzale di lancio si accese in rapida
sequenza. Poi, la sezione delimitata dal luminoso perimetro prese ad abbassarsi. Quando l’enorme depressione
circolare che si formò fu abbastanza profonda, quello che era il portello della
piattaforma iniziò ad inclinarsi, sempre di più, in un rumoroso concerto di
giganteschi ingranaggi e pulegge idrauliche.
“Sequenza
finale di lancio iniziata,” disse un altoparlante. “Tutto il personale si tenga
a distanza di sicurezza. 10 secondi al lancio. 9 – 8 – 7 – 6 – 5…” volute di
vapore si levavano dal cratere, insieme alla luce ed al ruggito delle fiamme
dei propulsori “…2 – 1 – LANCIO!”
In
un boato assordante, musica per i suoi costruttori e per i tecnici della sala
controllo, lo Skywolf II partì dalla
piattaforma-bunker a mo’ di ICBM!
Molte
mascelle pendule seguirono la partenza, e la promessa di disastro che essa
portava alle loro infime speranze.
L’anziano
suonava come fosse stato sull’orlo di un colpo apoplettico. “Un altro…I figli
di troia ne avevano un altro, ci hanno fatto credere…”
“Non
possiamo intercettarlo? Distruggerlo in volo?” fece qualcuno, che balbettava
come un ragazzino smarrito.
Il
giovane arrogante di prima afferrò un bicchiere di scotch. Sul maxischermo, lo StarGlider stava mettendosi in rotta per
seguire e proteggere l’apparecchio “La loro Base Mobile può raggiungere quota
suborbitale, e i suoi armamenti sono in grado di coprire lo Skywolf a distanza. Possiamo solo
sperare di distruggere la loro Centrale di Ricezione, così che quella maledetta
stazione diventi solo un mucchio di costosa ferraglia orbitale.”
Le
implicazioni erano chiare. Che TS Overkill
fosse o no in grado di distruggere Mazinkaiser, era un tentativo che andava
fatto! E non avrebbero avuto altre chance, non con il costo in energia che
avrebbe richiesto quel particolare teletrasporto!
Poi
le venne in mente –sì, potevano addirittura prendere 3 piccioni con una fava,
se avessero giocato bene le carte! La donna si preparò ad esporre il neonato
piano ai suoi colleghi…
Propulso
oltre Mach 5, Mazinkaiser raggiunse La Centrale di Ricezione, denominata Sun Mountain, in pochi minuti.
L’attacco
era, ovviamente, in corso –ma era appena iniziato, e i danni alle
infrastrutture erano quasi inesistenti. Sun Mountain meritava il suo nome. Era
una enorme struttura artificiale, una massiccia piramide tronca, bianca e
riccamente decorata da fiammeggianti fregi dorati, la cui cima era l’’occhio’
destinato a raccogliere l’energia solare dalla stazione orbitale.
Un
occhio protetto da una enorme cupola geodetica, cupola contro cui metà delle
sentinelle si accanivano inutilmente –le pareti erano state trattate, come lo Skywolf, contro attacchi laser, e i
missili la scalfivano appena.
Robert
sorrise. “La ricreazione è finita, lattine. Raggi
Fotonici!”
Due
Sentinelle furono abbattute sul posto.
Altre
cinque si lanciarono verso Mazinkaiser, mentre le altre dedicarono ogni iota di
energia contro un unico punto della Sun Mountain.
“Volete
scherzare, vero? Rust Tornado!”
Un
breve lampo di luce, e dalle griglie del copribocca partirono tre mostruosi
vortici d’aria! Come uno solo, colpirono le Sentinelle, sbatacchiandole come
giocattoli, strappando loro gli arti; in aggiunta, gli agenti corrosivi
all’interno dei vortici polverizzarono in pochi secondi quanto rimase dei robot
nemici.
Gli
ultimi robot cambiarono tattica. Si posarono tutti insieme sulla cupola,
disponendosi in piedi l’uno agganciato all’altro come le facce di una colonna.
Robert
era perplesso…Ma durò poco –qualunque piano le lattine avessero nei chip,
stavano per*
MOVIMENTO!
Dietro di lui –ma come..? “Huuf!”
Un
poderoso pugno colpì il super-robot alla schiena! Mazinkaiser andò a sbattere
contro la parete della Mountain. Non fosse stato ‘patinato’ di starlega, avrebbe ricevuto dei danni
seri. Si voltò –ma cosa poteva
colpirlo con tanta forz… “Occavoli!”
Anche
i cattivi avevano deciso di giocare duro, e avevano teleportato il loro
colosso: una Sentinella, certo, ma un modello composito, grande quanto il Mazinkaiser. Un modello che assemblava
in sé 3 diverse Sentinelle. Robert la riconobbe subito, visto che aveva fatto,
tempo prima, una pubblica apparizione a New York, solo per essere travolta da
un Uomo Ragno dotato per un breve
periodo del potere di Capitan Universo.
La Tri-Sentinella, era scesa in campo.
Insospettabilmente
veloci, un paio delle 4 braccia del nuovo nemico afferrarono Mazinkaiser per le
gambe. “Soggetto immobilizzato. Inizio procedura di disassemblaggio.” Altre due
per le braccia. E iniziarono a tirare. Le rimanenti braccia tempestarono la
schiena della preda con colpi di repulsore, ai quali si unirono raggi di
energia sparati dagli occhi della testa tricefala.
“YAARGH!”
una ritorsione dell’essere cerebralmente collegati alla sua macchina, era che
Robert doveva poterla avvertire come fosse il proprio corpo. Il che implicava
il dolore, per evitare di
sovraccaricare ogni eventuale parte danneggiata.
Solo
che così stavano sovraccaricando lui!
Di questo passo, entro sera Robert si sarebbe ritrovato con più lividi di un
lottatore del WWF [la World Wrestling Federation, cosa pensavate?]!
Robert
serrò i denti. Tutto questo era ridicolo! Lui era stato addestrato per
situazioni ben peggiori –diamine, senza neanche
un addestramento, aveva pilotato il Red
Ronin contro Godzilla!
“Soggetto
dotato di resistenza superiore ai parametri di archivio,” disse una testa
laterale di Overkill. La faccia opposta aggiunse, “Incrementare attacco a
massima potenza.”
“Turbosmasher Punch!” nonostante il violento distacco, le mani della
TriSentinella tennero la presa. Ma il super robot nemico fu per un attimo
sbilanciato, distratto. E, comunque, in quell’attimo, Mazinkaiser era libero! Cadendo, portò le braccia
tronche all’indietro. “Missili Perforanti!”
Il
torace di Overkill fu trasformato in un puntaspilli. La TriSentinella urlò,
quando i proiettili piantati nel corpo esplosero. Barcollò, e lasciò la presa.
I
pugni a razzo, liberi, volarono in avanti per un breve tratto, compirono un
arco, e, roteanti e velocissimi,
travolsero
le braccia di Overkill, staccandone la metà!
I
pugni si riagganciarono a Mazinkaiser. Solennemente, il robot sollevò le
braccia, come a flettere i muscoli…E in quel momento, si udì una voce venire
dalla Mountain. Una voce umana! “Uno splendido combattimento. Riconosciamo di
averti sottovalutato, robot.”
Mazinkaiser
abbassò il braccio e voltò la testa.
A
parlare, era stato l’ologramma che
troneggiava come un gigantesco spirito malvagio sopra le Sentinelle.
L’ologramma rappresentava un uomo –caucasico, i capelli biondi tagliati a
spazzola, cortissimi ma lunghi in nuca, dove si trasformavano in un codino
annodato fino alla schiena come uno scudiscio. Il volto sembrava tagliato con
l’accetta, con due occhi grigio metallico, naso Patrizio e la fronte alta. La
figura indossava una specie di misto fra un abito civile di lusso, con tanto di
colletto e maniche a sbuffo, e uniforme militare kaki. La sua voce era priva di
ogni accento, arrogante, di un uomo abituato a farsi obbedire con le buone o le
cattive. “E’ giunto il momento di porre fine alle sciarade, robot. Hai un
nome?”
“Mazinkaiser,
delle FSDN dello Zilnawa. E tu chi sei?”
L’ologramma
annuì. “Sono il Barone Maximillian von
Staar, al servizio dello Stato. E
sono il tuo prossimo padrone.”
“Non
avete ancora trovato niente?” fece Giapeto, in piedi davanti al maxischermo.
Un
gruppo di tecnici lavorava febbrilmente ai terminali. “Ancora niente di niente:
quest’uomo sembra spuntare dal nulla. Ma non abbiamo ancora coperto il…”
Giapeto
scosse la testa. Del resto, non si aspettava dei miracoli: se i superiori di
questo ‘Barone’ erano previdenti come con le Sentinelle rubate, di Staar
dovevano avere cancellato ogni minima traccia da ogni database anagrafico
mondiale. E poi, che razza di organizzazione era, questo ‘Stato’? L’Impero Segreto, forse? Di sicuro,
dovevano avere soldi e connessioni ad altissimo livello… “Che c’è?” chiese un
po’ bruscamente al tecnico che lo stava chiamando.
“Direttore,
comunicazione dal Ponte del Dalai.”
Giapeto
ascoltò il resoconto, e si preparò a lanciare l’ordine.
“Vedi
queste Sentinelle? Separatamente, non sono alla tua altezza, certo…Ma, insieme,
i loro accumulatori hanno sufficientemente massa da generare un’esplosione atomica.”
Mazinkaiser,
che si stava per lanciare contro l’immobile TriSentinella, si fermò di colpo.
“Esplosione atomica??”
Staar
annuì. “Tutto o niente, Mazinkaiser. Questo è il mio motto: la tua potenza è un
ostacolo troppo grande, e non possiamo permetterci di perdere. Siamo pronti a
un gesto estremo, se necessario.”
Robert
serrò i denti, poi. “Dottore, sta dicendo la verità? Quelle Sentinelle…?”
“Non
lo possiamo confermare, sono troppo bene schermate. Ma non è un bluff che
possiamo chiamare, adesso.”
“Arrenditi
e consegnati allo Stato, Mazinkaiser. Se lo farai, risparmieremo la vostra
installazione. Altrimenti…be’, credo che neppure tu possa resistere al fuoco
atomico, non a questa distanza.” Staar rise.
“Cedere
Mazinkaiser è fuori discussione, Robert: con un solo esemplare, possono fare
molti più danni di intere armate di Sentinelle messe insieme. Preparati a
combattere.”
“…”
Robert non era abituato a che fare con uno scienziato dalla lingua biforcuta
come quella di un politico –doveva essere un tratto tutto italiano! Era chiaro
che il Direttore aveva qualcosa in mente, ma quella sua maledetta abitudine di
ingannare prima l’amico per confondere le idee al nem*
Successe
talmente in fretta, che il giovane pilota fece un sobbalzo sulla poltrona! A 11
Km/s, la velocità di fuga, una specie di cometa
bianca andò a sfondare fra le Sentinelle in piedi.
“Scusami
il ritardo, amico!” disse Capitan Ultra,
già volgendosi contro le Sentinelle superstiti. “E stai tranquillo. Se insieme
erano una bomba, adesso sono ferraglia!” La visiera del suo casco lanciò
scariche di Energia Ultra, e demolì uno ad uno i robot, che terminarono l’opera
con l’autodistruzione.
Giusto
il tempo di verificare che nessuna radioattività fosse fuoriuscita dalle
Sentinelle, poi il comando, “Fire Blaster!”
Le
ali pettorali si accesero, così come la ‘Z’ barrata nel gioiello al centro di
esse. Il petto eruttò una vampa infernale, un torrente di energia termica.
La
Super-Sentinella non ebbe scampo: la sua corazza giunse al calor bianco in
pochi secondi, poi iniziò a fondere come neve al sole…
Alla
fine, rimase solo un mucchietto di metallo fuso informe.
In
piedi davanti a uno schermo, Staar seguì la fine della super-arma con un ghigno
adombrato. “Goditi la tua vittoria, oggi, Mazinkaiser: un giorno, sarai mio. E so già come…”
“Ci
hai fatto correre un bel rischio, Cap. Va bene che alla fine era un bluff, ma…”
Capitan
Ultra stava sospeso davanti alla cabina di pilotaggio, rigorosamente coperta
dalla calotta a specchio monodirezionale. “Una cosa che si tende ad ignorare,
amico mio, è che una bomba nucleare è uno degli oggetti più delicati che tu
possa immaginare. Se un paio di componenti non funzionano, puoi avere un gran
botto, ma niente superboom. Distrutte due Sentinelle, era cosa fatta...Ma
occupiamoci di cose più importanti, ora!”
Mazinkaiser
annuì. “Lo so. Sono in grado di penetrare la crosta, se si rivelasse abbastanza
sottile. Se quelle caverne sotterranee[i]
facessero parte di un qualche regno sotterraneo abitato, ti sarò utile contro
eventuali cani da guardia. Pronti al combattimento!”
Mazinkaiser
spiccò il volo...lasciandosi dietro un Capitan Ultra alquanto annerito e
rintronato! Spero che non lo f-f-faccia s-s-sempre!
Episodio
6 - Tutte le strade portano sempre…
Lo
odiava, quando succedeva. Ogni volta, doveva ripassare tutto, come uno di quei
poveretti che soffrivano di amnesie ricorrenti...Già, come li invidiava,
quelli.
(faceva
male)
Loro
dovevano solo preoccuparsi di annotarsi gli eventi delle ultime ore, magari
erano assistiti da infermiere specializzate.
Lui
no.
(Dio,
doveva essersi rotto qualcosa!)
Lui
soffriva di personalità multipla –niente trucchi, siore e siori, un
corpo, due menti! Uno, lui, schivo e timido, e l’altro, pronto alla
violenza come lui alla pace.
E,
proprio come un interruttore, quando una delle personalità prendeva il
sopravvento, l’altra andava a nanna. Il solo modo per scoprire cosa l’altra
metà avesse fatto, era di attendere il risveglio.
(Stava
rabbrividendo. Aveva la febbre? Era malato?)
Forse,
questa volta, non era il caso che sapesse cosa fosse successo, al suo
corpo.
Chip
Martin aprì gli occhi, realizzando di
trovarsi in una stanza.
O
in un sogno a occhi aperti? Non che sarebbe stata la prima volta...ma mai con
un simile scenario!
Il
materasso su cui giaceva era posato su un letto di marmo a una piazza.
L’azzurro dominava nella stanza, con qualche aggiunta decorativa di verde e
pietre preziose. Drappeggi rossi coprivano l’unica finestra.
Nonostante
la fame che si fece sentire non appena si mise seduto, Chip si alzò su gambe
ancora malferme, ignorando la coppa di frutta, uva e mele decisamente
invitanti, che giaceva sul tavolino vicino.
Su
una panca, giacevano il suo costume metà ocra e metà nero e il medaglione: la
roba che indossava quando era l’altro la personalità dominante. In quel
momento, Chip stava indossando una genuina toga bianca e rossa, tenuta ferma
alla spalla. Ma le domande che gli affollavano la testa avrebbero aspettato.
Doveva scoprire una sola cosa, per ora.
Si
avvicinò alla finestra. Esitò, la mano ferma a un centimetro dal drappeggio.
Tirò un respiro, e diede uno strattone secco.
Dove
diavolo era finito?
Il
giovane mutante faceva fatica a digerire quello che stava vedendo: una città
romana, o almeno quello che le sue scarse conoscenze di storia indicavano
come tale.
Innanzi
tutto, non era tutta di marmo bianco, come credeva, ma ricca di vivaci colori.
I più curati e sfavillanti, naturalmente, erano quelli dei palazzi e dei
templi, mentre le case, alte al massimo due piani, erano perlopiù grigie o
ocra.
L’intera
pianta si snodava lungo una immensa conca, sotto la severa volta di una caverna.
Da quella volta pendevano stalattiti di tali dimensioni, che non si credeva
possibile potessero restare attaccate. Colonie di fotofori tappezzavano
letteralmente pareti e stalattiti, garantendo un’illuminazione permanente, per
quanto crepuscolare e fredda.
Quattro
strade, intersecate a croce, attraversavano la città, ognuna partendo da un
grande tempio –e ogni tempio era diverso dall’altro, nei colori e nello
stile...
Ma
quello che faceva più paura era il silenzio: quel posto era grande
quando Manhattan, ed era praticamente vuoto. Chip era sicuro di potere
sentire l’eco del proprio respiro...
Chip
smise di guardare. Era sovraccarico, sull’orlo di un’altra crisi –e se
succedeva, l’Altro avrebbe ripreso il controllo!
“Non
si sente bene, signore? Desidera che chiami il medico?”
Lui
sobbalzò, neanche fosse stato morto da un serpente.
Ma
non era un serpente, bensì una donna, quella che lo guardava con occhi
sinceramente preoccupati dall’ingresso. Una donna nera, delicata, i capelli
lunghi raccolti in un’elegante crocchia fasciata d’oro.
“Dove...Dove
sono..?” faceva lui.
Un
inchino. “Sei a Roma, la Capitale dell’Impero di Caesaria. Sarai
felice di sapere che i tuoi compagni si sono già ripresi, e che uno di loro è
venuto a trovarti.”
“Compagni..?”
fece lui, mentre la donna si faceva da parte. “Oh, no...”
Quello
che entrò, di umano aveva la postura, ma finiva lì. E lui non sarebbe mai
stato amico di un simile essere –oh, non di un lupo mannaro! La
creatura era nuda, coperta di pelliccia grigia, il muso e il resto dei tratti
sufficientemente ‘evoluti’ da potervi leggere espressioni umane.
E
in quel momento, la creatura era visibilmente incuriosita, diffidente. Poi, la
creatura...parlò! “Persino il tuo odore è diverso, Dave. Invero...”
“’Dave’?”
lo interruppe bruscamente Chip. “Si chiama Dave? Ed è tuo...amico..? Aspetta,
l’ultima cosa che ricordo con la pelliccia è un lupo, ed eri tu? Oddio..” Si
mise le mani alle tempie.
Il
mannaro si avvicinò. “Sono Hrimhari di Asgard. E il resto dei nostri
compagni d’arme, i Campioni...”
“Stammi lontano!! Io non so in cosa mi avete
coinvolto, cosa siano questi ‘Campioni’, e non ne voglio sapere. Fatemi
solo uscire da qui!”
Hrimhari
non insistette, anche se non poté fare a meno, istintivamente, di levare il
pelo sul collo –non era estraneo a un simile fenomeno. Ricordava bene la
mortale Danielle Moonstar, in cui per diverso tempo aveva vissuto lo
spirito di una Valchiria, fino a quando questa non aveva preso il
controllo[ii].
Ma
questo Chip Martin era manifestamente –almeno, ai suoi raffinati sensi di lupo-
ostile...Ma forse, era solo la paura che ottundeva il suo raziocinio.
Non sarebbe stato giusto criticarlo per questo.
La
donna si fece avanti discretamente. “L’Augusto vi sta aspettando.”
Hrimhari
e Chip la seguirono mestamente. “Ci capisci qualcosa, di questa storia?” chiese
Chip.
“Il
‘Popolo’, come ci chiamiamo noi lupi, ricorda bene la città che chiamavate Roma,
e questo posto ne riflette la magnificenza...Ma hai bisogno di stare così
distante. Non hai da temere alcunché, da me.”
“Uhm,
è che non mi piacciono i...cani, e...-eep!”
Hrimhari
si era fermato di colpo proprio davanti a lui, un ringhio di avvertimento.
“Sono un Principe, mortale. Neppure il sommo Odino mi ha mai
chiamato ‘cane’, sono stato chiaro?”
Chip
fece ‘sì-sì’, e tacque, mentre la schiava li conduceva alla loro
destinazione...
Sotto
il cielo stellato, nel mezzo della giungla vergine, si ergeva la titanica
figura di Mazinger Alfa.
Il
Light Falcon, il veicolo solitamente agganciato all’interno della
calotta cranica del colosso guerriero, stava ora ai suoi piedi.
E
accanto al Falcon, su un ginocchio accanto a un’apertura naturale nel
suolo, stava il pilota, Robert Takiguchi. Il giovane stava comunicando
attraverso l’unità subcutanea alla gola. “Li hai trovati, Capitano?”
Accanto
a lui, il silente Ninja Bianco scrutava la foresta per quelle eventuali
minacce che dovessero sfuggire ai sensori del super-robot.
All’interno
di un abisso che sembrava assorbire come una spugna la luce emanata dalla
visiera del suo costume, Capitan Ultra disse, “Neanche una traccia. E
dire che sto usando la Visione Ultra. Sono scomparsi!”
Anziché
Robert, gli rispose un’altra voce –quella del loro capo, il Professor Simone
Giapeto. “Non disperare: vuol dire che stiamo affrontando la cosa dalla
prospettiva sbagliata.”
“Prego?”
A
bordo dello StarGlider-1000, Giapeto stava controllando sul maxischermo
una serie di immagini dell’area interessata, immagini che andavano dalle mappe
storiche più antiche a moderne proiezioni satellitari. Apparentemente, non
c’era nulla che non andasse –sì, la caverna era stata debitamente inserita, ma
non era stata classificata rilevante, neppure ai fini del Progetto Exodus...
“La VU si basa sull’uso dei neutrini. Non c’è letteralmente nulla che tu
non possa scovare, grazie ad essa. Cosa vedi, invece, adesso?”
Cap
lanciò un’altra occhiata verso il fondo dell’abisso. “Non vedo...nulla...”
“Esatto.
Qualcosa sta interferendo con la VU. Tenteremo un altro approccio:
Robert, lancia un drone verso il fondo dell’abisso.”
Pochi
istanti dopo, un miniapparecchio volante simile a una telecamera, debitamente programmato,
fece il suo ingresso nella caverna, impavidamente diretto verso l’obiettivo.
Due paia di occhi lo seguirono speranzosi, mentre l’oscurità assorbiva le sue
luci di posizione...
“E’
scomparso da ogni scansore. Nessun segnale di ritorno,” Ultra sentì dire
Robert. “Trasmetto il punto esatto...Ecco, a 930 metri. Ultra, che mi dici?”
“Dico
che mi butto!” disse il Capitano. “E’ ridicolo che con tutto il potere che ho
io non*” fu fermato di colpo dall’imperioso Giapeto.
“Se
vuoi renderti utile, adesso, inizia a lanciare scariche del tuo potere contro
la ‘barriera’, per saggiarne la resistenza. Robert, lancia altri droni, ma
questa volta cerca di determinare gradatamente il perimetro di questo
ostacolo.”
Alla
fine del corridoio, si trovarono davanti a un palazzo, che per maestosità e
sfarzo avrebbe fatto l’invidia di ogni corte passata! Chip lo riconobbe subito
come uno dei Grandi Templi.
Enormi
leoni di bronzo sedevano a guardia del portone d’ingresso, bracieri ardenti
nelle loro fauci spalancate. Altorilievi finemente cesellati di figure umane
–‘Divinità romane’, come le aveva classificate un interessato Hrimhari-
decoravano le pareti.
Davanti
al portone, stava il terzo ‘ospite’ del misterioso Augusto. Era un nero, un
giovane dalla testa calva, ma non era vestito da schiavo. Indossava la stessa
toga di Chip, che su di lui esaltava la pelle scura. “Grazie a Dio stai bene,”
disse Terrance Sorenson andando verso l’amico.
“Se
si può dire così...” fece Chip. “Tu sai niente di...oh, lascia perdere...”
Terry
annuì. Normalmente, sarebbe stato contento della rinnovata stabilità
dell’amico, ma non poteva capitare in un momento peggiore. Mentre tutti e tre
seguivano la donna, arrivando a quella che immaginò la sala delle udienze, si
chiese se non avesse a che fare con il fatto che anche lui stesso
aveva...
Un
potente squillo di tromba dai valletti nella sala annunciò l’arrivo
dell’anfitrione.
A
questo punto, vederlo non fu certo una sorpresa in sé. In fondo, l’’Augusto’
non faceva che rappresentare il folklore locale. Indossava un’armatura
interamente d’oro, con mantello e pennacchio a spazzola scarlatti. E se per
Terry e Chip quella poteva essere un’armatura da centurione o che altro
perfettamente normale,
per
Hrimhari era il primo indizio che c’era qualcosa di ancora più strano in ballo:
innanzitutto, l’Augusto portava una maschera anch’essa di metallo
dorato, e le saette che si dipanavano dal disegno pettorale non erano in
concordanza con quello che sapeva lui degli antichi mortali di Midgard..!
“Benvenuti
nel mio Regno, stranieri. Sono Gaius Tiberius Augustus Agrippa.
L’Augusto Imperatore di Caesaria.”
L’essere
si mise seduto su una poltrona in marmo. “Siete impotenti per mio preciso
volere. Io vi ho curato, ma non sarò altrettanto generoso, se doveste comunque
decidere di attentare alla mia persona.
“Già
in passato ho avuto a che fare con super-esseri venuti dall’esterno del mio
dominio[iii]. Li
sottovalutai, ed è un errore che non intendo ripetere.”
“Mi
hai cancellato i poteri..?” Chip aveva una strana luce di adorazione negli
occhi. “Mi hai liberato dell’Altro. Sono...”
“La
tua gratitudine non sarà sprecata, mortale,” disse l’Imperatore. “Ma ora,
altri, più urgenti affari ci attendono. Osservate.” Un suo cenno,
e
fra lui e i suoi ‘ospiti’ apparve una sfera, che rappresentava l’incredibile network
sotterraneo. Caesaria stava proprio al centro di uno ‘snodo’.
“Nonostante
questo ed altri dei miei quattro grandi templi vigilino su Caesaria, forze a me
ostili stanno sistematicamente minacciando il mio dominio. Avrete di certo
notato l’assenza di attività, in città: il nemico agisce su una base regolare,
e regolarmente sono costretto a un severo coprifuoco.” L’Imperatore sospirò.
“Gli Dei mi hanno affidato il loro potere, ma esso non è stato sufficiente che
a chiudermi a riccio, mentre la gloria di Roma deve essere libera di
splendere ovunque. Disperavo, e gli Dei mi hanno mandato voi.”
Nessuno
osò dirgli che ben diversamente stavano le cose: che loro stavano inseguendo un
gruppo di terroristi in quelle caverne, quando il loro veicolo era
esploso a distanza ravvicinata[iv].
Erano stati fortunati ad uscirne vivi!
Quanto
a Hrimhari, tacque pietosamente sulle proprie origini: i rapporti fra le
popolazioni nord-europee e Roma non erano stati decisamente dei migliori...
“Immagino
che non ci sia un contratto o roba del genere,” disse Terry, avanzando.
“Perciò, che ne dici di –Nyargh!-“ crollò a terra, colpito da qualcosa
di invisibile, ma che gli aveva fatto male. Restò in piedi, a stento,
reggendosi lo stomaco in preda alla nausea.
“Per
prima cosa, negro, impara il rispetto, o quando andrai in battaglia,
sarà senza la tua volontà, mi sono spiegato? Non so perché gli Dei mi abbiano
mandato un essere della tua razza inferiore, ma non osare sfidare il loro
favore!”
“In
battaglia..?” chiese Chip, di nuovo ansioso. “Io...come farò a combattere? Non
ho il potere per...”
“Lo
riavrai, naturalmente. Quando sarà il momento.”
“NO!
Tu non puoi capire! L’Altro non deve ripossedere il mio corpo!”si gettò
in ginocchio, si piegò fino a toccare il freddo pavimento con la fronte. “Mio
signore, per favore, farò quello che vuoi, ma non mi rimandare lì, nel buio.
Non di nuovo, non ora...” singhiozzava.
La
maschera di metallo era pressoché inespressiva –pure, quando parlò, essa sembrò
riflettere la contrarietà della voce del suo proprietario. “Il tuo terrore è
genuino, lo sento. E il tuo odio, nero, è altrettanto evidente...Possibile che
mi sia sbagliato? Che non siate voi i campioni che salveranno il Regno Eterno?”
L’Imperatore
si alzò in piedi. “E’ ora che vi ritiriate nelle vostre camere. Rifletterò sul
vostro ruolo e domani prenderò una decisione.” Si allontanò in uno svolazzare
di mantello e di rimbombi metallici.
Due
legionari, soldati grossi come armadi, neri come il ferro battuto e altrettanto
forti, si pararono davanti al trio, i loro volti più impassibili della maschera
dell’Imperatore.
Terry
aiutò Chip a mettersi in piedi. Qualunque battuta gli stesse venendo in mente
sull’utilità di Dave quando era lui ad essere incazzato, la dimenticò appena
vide il volto di Chip. Il ragazzo era prossimo alla catalessi, senza dubbio
–che cosa strana! Dave, come Schizoid Man, era una creatura adattabile,
paziente nell’attendere il momento giusto e capace di influenzare
subliminalmente Chip per raggiungere il proprio scopo. Chip, invece...Be’ era
quasi incredibile, che fosse rimasto lui, il dominante in tutti quegli
anni! Era una cosa che meritava approfondimento...
Il
gruppo si fece scortare dalle guardie verso il proprio destino.
C’era
voluto il suo tempo, ma alla fine la mappa era pronta.
“Ma
che diavolo è?” fece Robert.
L’olo-mappa
mostrava l’interno della caverna sotterranea, e il disco nero che
occupava quello che, in una mappa precedente, era il pavimento.
In
una terza proiezione olografica, Giapeto si stava strofinando pensosamente il
mento. “La cosa più simile a questo fenomeno è stato inserito nel database dei Vendicatori
dal loro membro Iron Man tempo fa. Una ‘bolla’ di questa natura era
stata eretta da una comunità di paranormali che veneravano i Fantastici
Quattro. La bolla non era impenetrabile, ma al suo interno il tempo
scorreva a una velocità considerevolmente maggiore[v].”
“E
allora?” fece Ultra “Torneremo con la barba più lunga, tutto qui.”
“Non
se ne parla nemmeno. Se quel fenomeno e quello registrato nei database sono
uguali, i vostri compagni là dentro sono già sicuramente morti per vecchiaia.
Parliamo di un rapporto di 1 minuto a 1 settimana! E se non sono ancora usciti
avendo, dal loro punto di vista, interi anni, allora dobbiamo darli per
dispersi.”
Il
Ninja Bianco socchiuse gli occhi. Robert si morse il labbro. Ultra sgranò gli
occhi. “Disp...” scosse la testa. “No, capo, non se ne parla neppure.”
“Capitano...”
“Niente
‘ma’! L’ha detto lei stesso: c’è una similitudine fra i due fenomeni, e
solo nella forma esteriore! Se ci fosse anche la minima possibilità,
allora è mio dovere andare lì dentro e recuperarli, punt*”
Non
si era minimamente accorto del Ninja, che era scivolato come un’ombra alle sue
spalle...e lo aveva colpito al collo con due dita! Una semplice secca
pressione, e un uomo virtualmente invulnerabile andò a terra come un sacco di
patate!
“Buon
lavoro, Ninja,” disse Giapeto, “Tornate alla base. Lanceremo un’operazione solo
con dati certi alla mano.”
Il
robusto scienziato spense la comunicazione, scuotendo la testa. Si sentiva un
traditore, ma il peggio era, che Ultra aveva ragione...in un certo
senso.
Se
ci fosse stata la minima possibilità che i due fenomeni fossero identici, non
solo avrebbero perso anche tre membri-chiave del gruppo, ma lo Zilnawa
sarebbe rimasto senza difese!
E
Progetto Exodus aveva la priorità su tutto!
Il
silenzio della città era assordante.
Il
trio era stato lasciato a sé stesso, nella grande strada che si dipanava dal
tempio dell’Imperatore.
Hrimhari
osservava i quattro templi con attenzione, ma non con i soli occhi –potevano
avergli tolto il potere di cambiare forma, ma percepire la presenza della
magia, o meglio della forza vitale al Popolo nota come Pr’ana, usata
per forgiare gli incantesimi, era nella sua natura dalla notte dei tempi come
gli altri cinque sensi.
E
i templi concentravano in sé una spaventosa quantità di potere! Erano come
delle spugne, e quello che prendevano veniva usato per alimentare la falsa
stabilità geologica...
Ed
era sbagliato! Una simile concentrazione di potere non poteva non andare
a discapito dello strano ecosistema che fremeva sotto la superficie!
“Comincio
a comprendere la natura della ‘minaccia’ di cui parla l’Imperatore,” disse il
Principe Lupo. “E potrebbe tornare a nostro vantaggio.”
“Buon
per voi,” disse Chip, guardando verso la volta rocciosa. “Per quanto mi
riguarda, morire, a questo punto, non farebbe molta differenza: tanto, muoio
tutte le volte che ‘Dave’ prende il mio posto. Quanto a lungo è stato, questa
volta, hm? E cosa sono questi ‘Campioni’?”
Con
calma, Terry glielo spiegò, senza omettere il minimo dettaglio. Alla fine del
resoconto, Chip fischiò, sarcastico. “Oh, sono stato arruolato in un branco di
supereroi? E nessuno ha pensato di chiedermi un parere, giusto? Cosa
importa, se tutto quello che voglio è un po’ di pace, lontano da tutta
questa supergente, eh?! E dire che è stato proprio quel pazzo dell’Uomo
Ragno a mettermi nei guai, e tu lo sai, Terry! Lo sai che*”
Un
grido dall’alto lo raggelò a metà parola –era un verso orrendo, qualcosa che
ne’ uomo ne’ animale avrebbe potuto lanciare!
E
non era il solo!
Finalmente,
videro la ‘minaccia’ a Roma: mostri, creature di un bianco malato, le
cui braccia erano enormi membrane alari. La loro testa era cieca, con lunghe
antenne flessibili che spuntavano da dove avrebbero dovuto esserci gli occhi.
Le bocche erano caverne spalancate e ribollenti. Le gambe, come il resto del
corpo, erano coperte di minacciose placche affilate.
Volavano
in cerchio, in uno stormo circolare e fitto, ognuno di essi grande la metà di
un uomo. E il loro grido era qualcosa che ti penetrava nei nervi e nella mente,
stimolando l’istinto a cercare rifugio il più in fretta possibile. Erano i
babau e gli Aliens, non maligni ma pura forza distruttiva della natura!
Le
antenne si agitavano come fruste, puntate verso il basso. Verso le loro prede!
“Ecco,
Chip: spiegalo a loro, il tuo punto di vista,” fece Terry.
Mentre
si buttavano, in formazione sparsa, Hrimhari le vide attraversare la barriera
come non esistesse neppure –e in un istante capì che la ragione era che i
mostri non erano generati da qualche rito magico, ma erano creature naturali,
immuni al potere dell’Imperatore! “A TERRA!”
Non
ebbero bisogno di farselo ridire. Si buttarono appena in tempo per evitare di
essere ingolfati da quelle bocche allucinanti. In compenso, non poterono
evitare di essere colpiti dalle lame ossee sulle gambe! Terry e Chip rotolarono
fuori dalla strada, lasciandosi dietro una scia di sangue.
Serrando
i denti per il dolore, Hrimhari si rimise in piedi. Il suo fattore rigenerante
naturale stava già mettendosi in azione –maledizione, avrebbe dovuto mangiare
quantità maggiori della carne che gli avevano offerto. Senza sufficienti
proteine, rischiava di morire solo a furia di guarirsi!
Ma
adesso era compito suo fare qualcosa –i suoi amici non potevano fare
nulla.
Un
mostro fece una curva a L e gli venne addosso a rotta di collo. Adesso!
Hrimhari
saltò,
ed
atterrò dritto sulla schiena della creatura, agilmente evitando le placche
sulla schiena. Un paio di antenne si torsero verso di lui, agitandosi come
fruste...e cariche di abbagliante energia!
Intanto,
la creatura stava riguadagnando il ‘cielo’, urlando. Inaspettatamente, il resto
dello stormo le venne dietro.
Hrimhari
aveva pensato di usare le antenne a mo’ di redini, ma era chiaro che erano
anche armi offensive...Fece del suo meglio per schivarle, allo stesso tempo
restando saldamente avvinghiato alla schiena molle con gli artigli dei piedi.
Le
orecchie gli fliccarono. Rumore! Come di una fornace a pieno regime..!
Non
si guardò neppure indietro, ma si chinò a quattro zampe, appena in tempo per
evitare due raffiche di plasma che lo avrebbero altrimenti colpito alla
schiena.
Sorrise.
Andava bene! Se si fossero comportati come squali, avrebbero ucciso il loro
compagno pur di arrivare alla preda –erano gregari, predatori, ma non assassini
spietati, per questo lo stavano seguendo tutti, per salvar*
Un’antenna
gli frustò il muso. Lui guaì di riflesso, ma scoprì di non essersi fatto
niente!
Ma
certo! Le antenne erano simili a quelle dei predatori degli abissi marini, esche
luminose per attrarre le prede!
“Mi
dispiace, creatura,” disse il Principe Lupo, afferrando saldamente le antenne.
La
creatura urlò, subito risposta dallo stormo. Si agitava, cercando di scuotersi
il fastidioso passeggero di dosso, ma un poco alla volta comprendeva che il
solo modo per ridurre il propri fastidio era di seguire la tensione sulle
antenne. E finalmente, Hrimhari seppe dove dirigerla. “Tenete duro, amici
miei,”
Sotto
la sua maschera metallica, l’Imperatore sorrise. “Dei, perdonatemi per avere
dubitato del nobile lupo, la cui specie diede forza ai fondatori della Città
Eterna. E se è stato capace di rischiare la vita per i suoi inetti compagni,
sarà mio compito forgiarli perché il Vostro dono non vada sprecato.”
Fece
un cenno.
In
quell’istante, Hrimhari scomparve.
Lo
stormo emise un collettivo grido, e si ritirò in fretta verso le viscere
cavernose da cui erano venuti.
In
basso, Terry e Chip, seduti contro la parete di una casa, indeboliti dalla
perdita di sangue, avvertirono come un’ondata di tepore alla schiena, insieme
come a un pizzicore, mentre le ferite si rimarginavano.
“Lo
dicevo...che andava male...” fece il mutante, prima di svenire.
Episodio
7 - Il valore di un’amicizia
Cosa
poteva fare?
La
minuscola figura si muoveva lungo un corridoio di tenebre a malapena illuminate
da organismi fotofori. Alla sua terribile stanchezza, si aggiungeva la sinistra
disperazione istintiva di ritrovarsi al buio, lontana dalla luce del sole e dal
profumo dell’aria fresca.
Lei
non apparteneva a quel mondo di tenebre sotterranee, quell’oscurità l’avrebbe
uccisa presto!
Lei
era Yllyni, ed era una Faerie, una fatina. E stava volando a
memoria, in quell’incubo di caverne sotterranee.
Nonostante
le dimensioni, circa una mano umana di altezza, era una creaturina potente...Ma
aveva bisogno della luce del Sole, per esercitare al meglio il suo potere. E la
maggior parte dell’energia conservata nel suo corpo era stata quasi interamente
usata per impedire la morte dei suoi amici da una caduta altrimenti fatale[vi].
Le
era venuto naturale, di orientarsi in cerca della luce del Sole, la luce che
poteva venire solo dalla stessa apertura da cui erano giunti in queste
tenebre...Ma Yllyni era debole, e i fotofori l’ingannavano crudelmente,
costringendola a perdere tempo...
Ma
doveva farcela, avvertire gli altri. Ed aveva così sonno. Ormai, persino i
fotofori sembravano abbastanza caldi e vivificanti...
Roma: Capitale d’Italia.
Roma: Centro della più potente Chiesa Monoteista del mondo.
Roma: Metropoli ostile, ipertrofica, soffocante, brillante di gloria riflessa
dal suo glorioso, lontano passato.
Roma: Nome che ancora desta meraviglia, fra i pellegrini ed i turisti
affamati di cultura. Politicamente, si suggerisce il velo pietoso.
In
una stringata sintesi, questa è la città che ancora si fregia dell’appellativo
di ‘Eterna’. Ha subito guerre, invasioni, epidemie, saccheggi...ma l’uomo della
strada potrà contare sulla sua presenza, faro di perseveranza, nei secoli a
venire.
Ma
cosa potrebbe pensare, l’uomo della strada, se sapesse che al mondo c’è un’altra Roma?
Non
la capitale di una nazione, ma di un Impero.
Il
Centro di un potere che non deriva dalla fede, ma da una terribile scienza aliena.
Una
metropoli meno grande, ma splendente di monumenti marmorei nei colori
immaginati oltre 2.000 anni prima.
Un
nome che desta meraviglia e timore fra i forestieri che vedono in essa un
importante punto di riferimento per scambi culturali e commerciali. Abbastanza
importante, politicamente, da giustificare una guerra per il dominio dei
territori circostanti.
Una
guerra segreta, combattuta nelle
viscere della terra dove Roma e i suoi nemici giacevano...
“Credevo
che ci avrebbero come minimo dato in pasto ai leoni o che...Invece, ci stanno
trattando da principi. Io dico che ‘sto Augusto
è ciclotimico.”
Si
trovavano su un ampio terrazzo, circondati da una serra di piante tropicali,
con una vista diretta sulla nuova Città Eterna, la Capitale dell’Impero di Caesaria. La città occupava una specie
di immensa conca naturale, sovrastata dalle ‘colline’ che erano i quattro Grandi Templi.
Oltre
alle piante, un nutrito gruppo di schiave
dalla pelle bruna e toga bianca si occupavano con ogni premura dei bisogni dei
tre speciali ‘ospiti’ dell’Impero.
Gli
‘ospiti’ stavano sdraiati sul ventre su soffici strati di cuscini su lettini
marmorei. L’autore di quell’apparentemente irriverente commento era un ragazzo
di pelle appena più chiara di quella delle schiave, ed era calvo come una palla
da biliardo. Terry Sorenson allungò
una mano verso dei panetti al miele, e inghiottì con un’espressione di delizia.
“Ma fin quando serve questa roba, quasi gli perdono di averci quasi fatto
ammazzare.”
Una
schiava pettinava i capelli castani di Chip
Martin, che lanciava occhiate di fuoco all’amico. Quello che gli bruciava
di più era di sentirsi come abbandonato
–per la prima volta nella sua vita, aveva l’opportunità di vivere una vita
senza l’opprimente presenza nell’ombra di Dave,
l’altra metà della sua personalità. In qualche modo, l’Imperatore era riuscito a rimuovere i suoi poteri mutanti, e con
essi Dave.
In
realtà, l’Imperatore voleva solo assicurarsi di non avere problemi con i suoi prigionieri, mentre presentava loro
l’opportunità di combattere per lui o morire per sua mano!
Se
avessero accettato, avrebbe ridato loro i poteri. E Chip sarebbe tornato ad
essere Schizoid Man. E non doveva
succedere! Mai più!
Per
qualche folle ragione di fede, l’Imperatore era convinto che loro tre fossero
giunti dalla Superficie per essere i suoi
campioni contro un rivale nel dominio del sottosuolo[vii].
Per provarlo, in un atto di logica perversa, li aveva mandati senza i loro poteri
contro dei ‘rappresentanti’ della fauna locale.
Ne
erano usciti vivi solo grazie alla prontezza di Hrimhari, il Principe-Lupo di Asgard
–che in quel momento, si stava godendo i massaggi alla schiena delle ancelle.
Aveva un’espressione beata, scodinzolava e ogni tanto, appena lo tastavano su
un punto sensibile, si metteva a grugnire e agitare la gamba sinistra.
Discutere
di piani di fuga era fuori discussione. Erano guardati giorno e notte, ed erano
certi che ogni loro frammento di conversazione fosse riferito all’Imperatore…
In
altre parole, bisognava pazientare, subire e attendere il momento giusto, per
darsela a gambe.
Sotto
di loro, la città di Roma vibrava di attività, tutto il contrario della città
fantasma che avevano trovato al loro arrivo. La gente si accalcava a grappoli
nei mercati, camminava per le strade, facendosi disciplinatamente da parte al
passaggio di carrozze tirate da cavalli o da soldati in armatura.
E
quasi tutti si stavano dirigendo verso uno dei Grandi Templi.
Tutto
questo vedeva Hrimhari, grazie alla sua vista, che già normalmente ben più
acuta di quella umana, era ulteriormente potenziata dalla sua natura magica.
Così
come vedeva che i Romani erano esattamente gli uomini e donne mediterranei,
bassi e lontani dal modello caucasico moderno. L’Imperatore doveva avere poteri
ben più terribili di quanto avesse immaginato, per potere ricostruire non solo
una città, ma anche quel ceppo razziale vecchio di migliaia di anni!
Le
sue considerazioni furono interrotte da un suono ritmico, metallico.
Il
suono dei passi dell’Imperatore, Gaius
Tiberius Augustus Agrippa, vestito della sua armatura dorata e
l’immancabile maschera metallica, decorato da un ampio mantello scarlatto e il
pennacchio pure rosso sull’elmo. Era accompagnato da un uomo che sembrava avere
molto in comune con un orco, con le sue sopracciglia cespugliose, la stazza da
montagna umana, le vene sporgenti sui muscoli e un cipiglio di occhi d’acciaio.
Puzzava di stalle di qualcos’altro che era meglio non identificare.
“Avete
riposato abbastanza,” disse l’Imperatore, freddo come il metallo che indossava.
“Siete nutriti e guariti dalle vostre ferite per mia munifica concessione. E
ora, Sorenson e Martin, voi due andrete incontro al vostro nuovo destino. E il
lanista Carius sarà la vostra guida.
“Quanto
a te, nobile Hrimhari, messaggero della volontà divina,” e qui il suo tono si
era improvvisamente riscaldato di rispetto, “Avrai l’onore di fare parte delle
mie legioni per la conquista del dominio del mio nemico.”
Hrimhari
si alzò dal lettino, ed eseguì un perfetto inchino. “Sarà il mio dovere ed il
mio onore, Augusto.”
Terry
e Chip rimasero al loro posto. Terry sfoggiò il suo migliore sorriso
sarcastico, e disse, “E noi, Ciccio?
Con ‘sto lanicoso che ci dovremo fare? AllenamUNGH!” terminò la frase
piegandosi in due ed accasciandosi sul pavimento. Si reggeva le tempie pulsanti
dal dolore, sudore freddo imperlargli la fronte.
Dall’alto
del suo potere, l’Imperatore poteva permettersi di non mostrare ira. La sua
voce era piena di disprezzo, come un padrone con un cane da bastonare senza
rimorso. “Un tempo, avevo l’abitudine di
rendere muti i Nigra come te. Non
forzare la mia clemenza. Sei uno schiavo, e tale rimarrai…fino a quando non
avrai conquistato la tua libertà nell’unico modo da me concesso. Nell’arena.”
A
quel punto, l’Imperatore sembrò accorgersi del tremante Chip, che non osava
fiatare. “Ho visto i martiri Cristiani mostrare più coraggio di te, giovane. Ma
visto che il lupo garantisce per te, avrai la stessa opportunità del tuo amico.
Lanista, provvedi a che siano pronti per i Giochi. Seguimi, Hrimhari.”
I
due giovani videro l’Imperatore e l’Asgardiano allontanarsi, un attimo prima
che la figura di Carius si parasse loro davanti. L’omone emise un grugnito, e
fece loro cenno di seguirlo. Chip appariva rassegnato al suo destino, mentre
Terry si chiedeva se il suo peloso amico non fosse caduto sotto una qualche
influenza mentale. docile com’era diventato…Sicuramente, non avrebbe deciso di
sacrificare loro due per salvarsi la vita. Vero..?
“Ammetto
di essere curioso, Augusto,” disse Hrimhari, mentre procedevano lungo un
corridoio corredato di busti degli illustri predecessori dell’Imperatore.
“Possiedi un potere di per sé divino. Perché hai invocato gli Dei, per venire
aiutato nella tua impresa?”
Continuando
a guardare davanti a sé, l’Imperatore disse, “Per un certo periodo, io stesso
ho creduto di possedere un potere di origine divina…Ma non era così.
“Acquisii
il mio potere sottraendolo, insieme alla sua vita, a una creatura venuta dalle
stelle lontane. Ma, come Icaro che pagò con la vita la sua presunzione di
raggiungere il Sole, io pagai la presunzione di gestire il potere con la mia
sanità mentale.
“Nella
mia convinzione di ricostruire la gloria di Roma, creai poco più di un macabro
simulacro, abitato da selvaggi muti che osai definire ‘Cittadini’. Peggio
ancora, ero così vanaglorioso da credermi invincibile –e una straniera, una donna, riuscì a sconfiggermi con
irrisoria facilità.
“Ma
da allora sono maturato, ho studiato le gesta dei miei predecessori, e ne ho
messo a frutto la saggezza. Il legionario ignorante che ero un tempo non è più.
E quando avrò annientato lo stolto che mi si oppone, Roma diventerà il nuovo
centro del mondo sotterraneo.
“E
quando il mio regno sarà effettivamente invincibile, mi muoverò alla conquista
della superficie. La Gloria di Roma tornerà a splendere legittimamente sotto il
Sole che la vide nascere.”
“Stai
scherzando, vero? No, non stai scherzando.”
Sotto
lo sguardo implacabile del lanista, Chip e Terry si misero le mezze armature da
gladiatore; di fatto, per quanto pittoresche, quelle tenute erano fatte solo
per colpire l’occhio. Bastava colpire le gambe scoperte nel punto giusto e zac,
servito e dissanguato!
Erano
stati degradati al rango di agnelli sacrificali, e lo sapevano. Fra loro due,
Chip era il solo ad avere studiato a sufficienza da sapere quanto sanguinari
fossero i giochi romani, la forma più estrema di catarsi collettiva.
Quando
ebbero finito di vestirsi, almeno non sembravano dei manichini, anche se si
sentivano comparse a un remake di Spartacus. La loro vita li aveva
aiutati a mantenere un certo tono muscolare. Chip era armato con un tridente e
una rete, Terry con spada e scudo.
Il
lanista indicò la porta ad arco. I due vi si avviarono.
Quando
l’ebbero attraversata, si trovarono in un’arena. Il fondo non era coperto di
sabbia o paglia, ma di scivolosa e acuminata ghiaia che ti scricchiolava sotto
gli stivali. Cadere qui, significava andare incontro a una serie di brutte
ferite!
Non
che al pubblico sarebbe interessato. La tensione nelle tribune era alle stelle,
le urla della folla eccitata fuse in un unico, rabbioso coro.
Hrimhari
sedeva accanto al folle Imperatore, cercando di ignorare la sensazione di
venire sommerso da quell’ondata di pura emozione.
Doveva
concentrarsi, approfittare di quei momenti in cui Augusto era concentrato sulla
sua audience per cercare di comprendere la verità –perché un
essere così potente aveva bisogno anche di un solo estraneo, per combattere
contro un nemico che richiedeva un esercito?
Perché
un essere di tale potenza non era in grado di eliminare una minima minaccia
come quegli ‘mostri’ volanti che Hrimhari, armato del solo proprio corpo, era
riuscito a gestire?
Se
l’Imperatore aveva pensato di avere bisogno di Chip e Terry, perché
sacrificarli, adesso..?
Lo
stadio sembrò improvvisamente esplodere, quando altre porte ad arco si
aprirono, e nuovi gladiatori ne usci... –no, non gladiatori. Non quelle due cose
ruggenti!
Chiamarli
‘mostri’ sarebbe stato un bel complimento! Creature dalla pelle di pietra, i
musi irti di zanne, gli artigli di diamante, erano provviste all’altezza
dell’addome di quattro braccia snodate simili a quelle di un ragno, terminanti
in punte acuminate.
Le
creature erano visibilmente prive di occhi, ma non sembravano avere problemi
nel tenere sott’occhio le loro prede con una determinazione inequivocabile!
“Mammina,”
fece Terry, lanciando una rapida occhiata alla spada, che sarebbe potuta
benissimo essere uno stuzzicadenti! “Chip, stammi accanto e fai esattamente
quello che ti dico...” Ma, accanto a lui, Chip scuoteva la testa, ancora
incapace di accettare la realtà della situazione, il volto rigato dalle
lacrime. Mormorava qualcosa a sé stesso, e Terry fu sicuro di sentire almeno
una volta il nome di Dave –Dio, Dave, se puoi, vieni fuori di lì subito!
Pensò Terry, mentre le creature avanzavano, a testa bassa, sicure di sé,
assaporando il pasto imminente...
La folla urlò ancora più forte.
Improvvisamente, Hrimhari capì il perché di quella farsa!
Lui doveva fare uno sforzo fisico per non essere travolto dall’empatia degli
spettatori, mentre accanto a lui l’Imperatore, in piedi, le braccia distese ad
abbracciare i suoi sudditi, era come un vuoto vivente, un buco nero che di quelle
emozioni violente si stava nutrendo!
Come ogni lupo, Hrimhari era altresì capace di
vedere l’aura del Pr’Ana, il ‘Mana’. E quella dell’Imperatore stava
diventando sempre più luminosa ad ogni secondo..!
I mostri spalancarono la bocca e saltarono!
All’unisono, ognuno contro un bersaglio.
Terry riuscì, all’ultimo secondo, a spingere via
Chip e a saltare di lato a sua volta. Un braccio snodato quasi gli troncò un
braccio.
Terry agì per pura disperazione, e piantò la spada
nel cranio della creatura...almeno, ci provò,
perché la lama si spezzò come vetro sulla carne di
pietra!
I mostri si prepararono a sferrare il colpo di
grazia.
L’Imperatore poteva anche sembrare indifeso e a
tiro dei suoi artigli, ma poteva benissimo trovarsi nel più lontano dei Nove
Mondi! Hrimhari non poteva neppure passare alla sua ‘forma estrema’, e senza di
essa non poteva penetrare l’armatura. Era impotente!
Come ebbe solo pensato quelle parole, successero
due cose allo stesso tempo!
“Arrivo, mamma,” disse Terry, mentre il braccio
snodato calava su di lui –almeno, non avrebbe dato a quel mostro decerebrato la
soddisfazione di tremare di paura...
Un raggio di luce abbagliante, da dietro il mostro,
falciò quel braccio come uno stelo d’erba! Con la coda dell’occhio, il giovane
afroamericano vide Chip salvato dal proprio fato, mentre un altro raggio
inceneriva il corpo del suo mostro dal bacino in giù!
“Tutto bene, laggiù?” fece Capitan Ultra, dalla sua posizione a
mezz’aria! “E scusate il ritardo!”
L’istante successivo, più veloce dell’occhio, Ultra
si gettò addosso al mostro ‘dimezzato’, e afferrò uno dei suoi bracci
articolati. Potenziato dalla propria ultra-forza, lanciò il mostro contro il
suo simile,
mandandoli entrambi a sbattere contro la fiancata
dell’arena! All’impatto, le creature finirono in inerti briciole di ghiaia.
L’ira della folla cessò di essere come una candela
improvvisamente privata dell’ossigeno. Fra gli spalti, fu tutta un’esclamazione
di sorpresa mista a borbottii confusi. L’animale-folla era stato abbattuto.
Tuttavia, non fu quel brusco cambio di umore
collettivo, a sorprendere l’Imperatore...
...Quanto la curva lama di una Katana che gli spuntava dal
cuore! “Questo...è...assurdo...” borbottava l’Imperatore, che non poteva vedere
il Ninja
Bianco in
modalità ‘invisibile’!
Hrimhari ne approfittò per attaccare! Saltò addosso
all’Imperatore, e la maschera metallica. Tirò con forza...e non successe nulla!
In compenso, l’atto fu sufficiente a scuotere
l’Imperatore dal suo trance! Afferrò Hrimhari per la gola come se pesasse
niente. “Miserabile animale! Ma credevi veramente che qualcuno potesse ripetere
questo ridicolo espediente con me?!”
Hrimhari sferrò un calcio, assicurandosi di colpire
con gli artigli l’addome dell’essere, solo per vedere nient’altro che qualche
scintilla lasciata dal contatto! E intanto, già cominciava a vedere le prime
‘stelle’...se non fosse stato per la sua forza, sarebbe già morto..!
Un sibilo, e la lama energizzata della Katana
tranciò di netto il braccio corazzato all’altezza del gomito!
Hrimhari cadde a terra, tossendo, mentre il Ninja
Bianco proseguiva l’attacco, con un fendente orizzontale all’altezza della
gola!
L’Imperatore puntò il braccio amputato, parte di
un’armatura vuota, e un getto di energia colpì in pieno il mutante
orientale!
“Patetico,” fece l’essere, ignorando il braccio
caduto. Un atto di volontà, e un braccio nuovo apparve al proprio posto!
Solo a quel punto, l’Imperatore si accorse di stare
guardando non al cadavere annerito del nemico...ma a un pezzo di
legno!
Subito dopo, un potente getto di energia Ultra lo
investì in pieno!
Prima che potesse rialzarsi, una mano colorata
afferrò la sua armatura per il collo, piegando il metallo come tessuto. Ultra
lo gettò nell’arena, dove l’impatto con la ghiaia generò una scia di scintille.
Ultra lo seguì al volo.
La folla era nuovamente in delirio, invocando
ripetutamente il nome dell’Imperatore con toni esaltati!
Lo stesso Augusto sembrò rianimarsi di fronte a
quella manifestazione. L’armatura brillò, e tornò come nuova. Un paio di gesti,
e l’essere si liberò dell’elmo e del mantello. “La loro devozione mi rinforza,
come vedi. Fra poco, mi implorerai di risparmiarti, come il tuo debole amico ha
già inutilmente fatto.”
“Perché non ci lasci andare e basta, invece?”
chiese Ultra. “Qualunque piano tu avessi in mente per i miei amici è fallito,
non costringermi a usare le maniere forti!”
In risposta, l’Imperatore tese una mano verso
l’eroe...e non successe niente!
Ultra chinò la testa di lato, incuriosito.
Ripetizione del gesto, con sfarfallio della mano.
Nisba.
“..?”
Doppio braccio teso, pugni contratti! Nix.
Ultra sbadigliò.
“Non è possibile! Il mio potere supremo non mi ha mai deluso!”
“C’è una prima volta per tutto, lingottino!” e
detto ciò, Ultra gli appioppò un gancio da demolire un muro! Di fatto,
l’Imperatore volò fino all’altro lato dell’arena!
Assordato da una folla isterica, Ultra fu raggiunto
da Chip e Terry. “Ma come diavolo hai fatto?” chiese Terry, quasi urlando per
farsi sentire. “A noi ha spento i poteri come lampadine!”
Ultra annuì. “Allora, lo costringerò a
riaccenderli. Lasciate questo gioco a papà, bambini!” Detto fatto, si gettò a
tutta velocità contro il nemico, il pugno già pronto...
Capitan Ultra non coprì la metà della distanza, che
si manifestò il familiare bagliore dorato. Subito dopo, una specie di barriera arrestò bruscamente il suo
volo! Una barriera che all’impatto non si infranse, ma si avvolse tutt’intorno a lui,
come...un...ameba!
Fregato!
L’Imperatore si avvicinò. “La farsa è durata
abbastanza, terrestre! Ora, guarda!” Fece un cenno.
Il suolo accanto a Chip e Terry sembrò prendere
vita, mentre assumeva la familiare forma dei mostri di pietra.
L’alieno fissò Ultra. “Se sei abbastanza potente da
resistere al mio effetto nullificatore, lo sarai abbastanza per quello che ho
in mente per te. Ora, giurami fedeltà incondizionata o ucciderò i tuoi inutili
compagni adesso!”
Hrimhari seguì lo scontro non solo con gli occhi,
ma anche con le sue raffinatissime orecchie, non perdendosi una parola del
vanaglorioso Imperatore...E, finalmente, l’atteso, preziosissimo indizio
arrivò!
Aveva una mezza idea, ma doveva chiedere
conferma...Il mezzolupo si rivolse al Ninja, che si limitava ad osservare, al
solito impassibile. “Presto. Sai come ha fatto Ultra, ad avere i suoi poteri?”
“Gli sono stati donati da una razza aliena.”
Telegrafico. Sufficiente!
Hrimhari saltò nell’arena, finalmente conscio di
non avere mai perso
i suoi poteri!
Come provò la sua trasformazione nella ‘forma
estrema’ –200 Kg di pura furia e muscoli densi come il ferro, zanne e artigli
capaci di spezzare gli incantesimi oltre che l’acciaio!
Ringhiando, Hrimhari atterrò esattamente dietro ai
due mostri di pietra. Quelli si voltarono, preparandosi a contrattaccare...
Non furono abbastanza veloci! Per loro, bastò un
singolo colpo inferto come una sciabolata, e si disintegrarono...
...Per riformarsi l’istante successivo.
Non c’era timore, nel cuore del Principe, ma solo
furia primordiale –era giunto su Midgard, la Terra, sfuggito per un soffio all’eccidio
portato dal maledetto Seth e le
sue orde[viii].
Asgard la Magnifica era perduta; persino il legame mistico con la sua terra era
stato troncato. Qualunque cosa fosse successa, non aveva modo di conoscerne il
fato, che doveva essere stato terribile! E da quel giorno, Hrimhari non aveva
ancora avuto modo di sfogare la terribile ira che bruciava in lui.
Fino
ad ora. E i mostri di pietra cadevano altrettanto velocemente di quanto si
formassero.
Il
che tendeva a generare un ovvio problema. L’Imperatore aveva ancora abbastanza
energie per mantenere il suo ‘esercito’ a pieni effettivi.
Hrimhari
stava invece esaurendo le forze, per quella modalità concepita per un uso a
breve termine!
Era
solo una sua impressione, o l’alieno d’oro sembrava stare vacillando?
Ultra
guardò verso gli spalti. Oi, la folla era meno entusiasta. Di fatto,
l’intera prima fila era semisprofondata in uno stato di letargia!
L’eroe
ebreo guardò verso l’Imperatore. A questo punto, o la va o la spacca...
La
visiera azzurra si illuminò, prima di emettere energia Ultra a piena potenza!
La ‘bolla’ teneva, come c’era da immaginare, ma si deformava.
L’Imperatore,
com’era altrettanto prevedibile, si distrasse per contenere l’inaspettata
eruzione di energia. Col solo risultato di spingere Ultra a ingranare la 5°.
Tale potenza raggiunse la sua emissione, che l’intera testa sembrò andare a
fuoco!
Il
bello era che Ultra non aveva mai dato fondo alle sue riserve –era sempre stato
sicuro, e temeva, di potere distruggere una città, con tutto quel potere
scatenato. Una riprova di ciò fu che di colpo ogni singolo spettatore cadde in
stato apatico o privo di sensi, la sua mente prosciugata fino al collasso.
“No...Non
così vicino...” mormorò l’Imperatore, un attimo prima di venire colpito da un
potente colpo di energia!
La
‘bolla’ era stata infranta così repentinamente, che Ultra non poté impedire che
il colpo investisse l’alieno, di fatto facendo a pezzi il suo corpo!
Cosa
l’eroe si fosse a quel punto aspettato, rimase deluso. Sì, vide i mostri di
pietra sbriciolarsi, ma niente di più.
Il
silenzio tornò padrone, e Roma era ancora in piedi –a proposito dei quali,
Ultra vide che solo pochi frammenti di armatura erano rimasti a terra a
testimonianza del suo nemico...E l’eroe si sentì intristito da quei miseri
resti.
Era
giunto perché Yllyni lo aveva avvertito, e lui si era precipitato, ritrovando i
suoi amici grazie ai posizionatori dei comunicatori subcutanei. Si era
precipitato in quella lotta per salvare i suoi amici, non per sterminare
chicchessia...Non senza una ragione. Una molto valida. E persino la pazzia
non...
“NO!”
Voltò
la testa di scatto, a quel grido carico di angoscia, di paura...
E
fece in tempo a vedere Chip inginocchiato a terra, in preda ai tremori,
stringersi come in preda a un terribile dolore. “No...Non di nuovo, non voglio
andare via...Ti prego...” e subito, si rispose con la voce aggressiva e
determinata di Dave, “Ma taci, bamboccio viziato! Dipendesse da te, saremmo
morti e sepolti. E io, alla buccia, ci tengo.”
Quando
smise di tremare, il giovane si alzò in piedi, e il suo corpo era per metà
coperto di nero/blu, l’impronta di Schizoid Man. “Qualcosa da ridire, caffè?”
fece a Terry. “Scusami tanto, se sono stato ‘spento’ contro la mia volontà!”
Terry,
ora nuovamente Equinox, l’Uomo
Termodinamico, fece spallucce.
“Oh, niente, pensavo solo alla cavalleria e robe del genere, di quelle che...”
“Non è colpa sua,” disse Hrimhari. “Tardivamente,
ho compreso che il potere dell’Imperatore agisce sulle mutazioni, che siano avvenute per
eredità o per accidente. Il mio potere venne concesso da Odino in persona, come quello
del Capitano fu dono di una razza di gente delle stelle lontane. L’Imperatore
mi ingannò per farmi credere di essere debole, ma solo finquando la sua
persuasione occludeva il mio spirito. Allo stesso modo, il potere di Dave era
stato negato dalla preponderanza di Chip imposta dall’Imperatore.”
Tre paia di occhi fissarono il mezzolupo con sommo
stupore. “Un momento solo,” disse Schizoid Man, “Vuoi dire che il mio potere
non è di origine...”
“Qualunque cosa voglia dire,” intervenne Cap, “ne
discuteremo dopo essere usciti da questa specie di parco a tema...Oh, quasi
dimenticavo, Principe: Yllyni sta bene, solo...”
Hrimhari annuì. “Questo lo sapevo già, amico mio.
Speravo infatti che ce la facesse, quando si è allontanata per cercare te e il
Ninja.”
Al nome, Cap si fece cupo –già, il Ninja e
Robert...Doveva fare quattro chiacchiere, con quei due furboni, sulla fretta di
lasciare un compagno nei gua*”
Nessuno andrà
via di qui!
La voce rimbombò per l’intera caverna. La voce
dell’Imperatore!
Veniva da ovunque, come se un immenso fantasma aleggiasse sopra Roma. Nessuno lascerà il mio Impero, senza il mio
permesso! E voi non andrete via, senza avere portato a termine il compito che
ho per voi, terrestri!
Episodio
8 - Fra incudine e martello
Prendete
un gruppo improbabile, composto di:
-
Un ebreo, forse non molto ortodosso, ma
dotato di un grande potere e privo della necessaria esperienza per gestirlo
appieno.
-
Un mutante dalla duplice personalità,
giovane, intossicato da farmaci sperimentali fin dalla prima infanzia.
-
Un altro mutante,
un dichiarato mercenario abituato a
fare i lavori ‘sporchi’, e poco socievole.
-
Un altro giovane
mutato, risultato di un bizzarro incidente di laboratorio, dall’infanzia a dir
poco difficile e nel cui curriculum spiccano furto con scasso e diversi
istituti psichiatrici.
-
Un lupo mutaforma, un Principe fra la sua
gente, una creatura benedetta dal grande Odino
in persona e spinto dai più nobili ideali del suo mondo, Asgard.
Ora,
considerate che questa formazione, definita dei Campioni, 1) ha ben poca esperienza come gruppo e 2) si trova
adesso a gestire una situazione che spaventerebbe persino professionisti come i
Fantastici 4, che a loro tempo quasi
furono sconfitti dall’entità che ora questi neofiti stavano affrontando...
“Nessuno lascerà il mio
Impero, senza il mio permesso! E voi non andrete via, senza avere portato a
termine il compito che ho per voi, terrestri!”
La
rabbiosa voce risuonava ovunque, con una intensità da rendere sordi, nella
immensa caverna naturale che ospitava la favolosa città di Roma, capitale di un nuovo Impero sotterraneo. La voce discorporata
di colui che si autoproclamava l'Imperatore…
“’Terrestri’?”
fece Equinox, l’Uomo Termodinamico.
“Ciccio è diventato un megalomane, o è solo una mia impressione?”
“Potrebbe
esserci un’altra risposta,” disse Hrimhari,
rivolgendosi al resto del gruppo, tenendo le orecchie di lupo appiattite sul
cranio per non essere assordato. “Ho avuto modo di notare che l’aura di Augustus, durante il nostro scontro con
lui, era…instabile, come se al suo posto, ogni tanto, apparisse qualcun altro.
Invero, solo una volta ho assistito a qualcosa di simile, ed è stato quando Danielle Moonstar è stata posseduta da
una Valchiria e da un demone[ix].”
Schizoid Man si fece avanti, gonfiando il petto, poi si rivolse
all’aria, “OK, grand’uomo. Dicci cosa vuoi e facciamola finita! E vedi di non
fare il furbo: se c’è uno qui che se ne intende di personalità multiple, sono
io!”
In
risposta, tutti e cinque i super-esseri caddero in ginocchio, le mani premute
contro le tempie, i volti contratti dall’agonia!
Un
momento dopo, la pressione cerebrale cessò. Le orecchie di Hrimhari fliccarono
in direzione di un nuovo suono: passi, passi di piedi calzati di sandalo sulla
ghiaia dell’arena.
Gli
spettatori, che fino a pochi minuti prima avevano esaltato e nutrito
l’Imperatore col proprio tifo e le proprie emozioni, erano ancora inconsci,
immersi in uno stato semicomatoso, svuotati di quasi ogni energia. Era come se
un bioterrorista fosse riuscito a spargere i propri semi di morte, era uno
spettacolo agghiacciante.
Eppure,
uno di quegli spettatori era cosciente, e avanzava con passo fermo e sicuro.
Giunto davanti al gruppo, rivolse loro uno sguardo lucido e intenso. “Come
potete vedere, terrestri, non sono del tutto indifeso, nonostante le
limitazioni del mio corrente stato.
“Il
mio nome non ha importanza, in quanto per i membri della mia specie, gli Zeloti, si tratta di inutili formalità.”
“Complimenti,”
fece Equinox, massaggiandosi una tempia. “E chi sarebbero questi ‘Zeloti’?
Sembra una marca di auto.”
L’uomo,
che non si poteva certo definire imponente –era robusto, forte, ma basso come
un suo connazionale della vecchia, vera Roma- fece una smorfia. “Porta
rispetto, terrestre, o potrei decidere di non lasciarvi vivere, una volta
terminato il vostro compito.”
“E
di cosa si tratterebbe?” chiese Capitan
Ultra, avvicinandosigli.
L’uomo annuì. “Seguitemi.”
Tutti
gli indicatori erano sul verde. La ricarica delle batterie solari era completa,
quella delle nucleari al 99.3%. Il carburante nelle Armi a Propulsione oltre la
metà. Il Gruppo a Propulsione Fotonica avrebbe potuto portarlo ancora in
Europa. Il numero dei missili disponibili sufficiente a buttare giù la Kennedy.
A
un movimento della fronte, il visore si sollevò. Robert Takiguchi guardò dalla cabina del Light Falcon verso il buco nel terreno, 30 metri in basso.
Attraverso
quella finestra naturale, stava una trappola che aveva già inghiottito cinque
dei suoi compagni d’arme. E lui se ne stava lì a guardare –no, non a guardare,
ma ad obbedire agli ordini!
E
gli ordini erano di impedire che un’arma unica come il super-robot Mazinkaiser finisse nelle mani
sbagliate, quando il suo compito era di vigilare non solo sullo Zilnawa, ma
anche sulla riuscita del Progetto Exodus…
Sulla
spalla sinistra di Robert, stava seduta una creaturina saltata fuori dritta da
una fiaba: una faerie, una fatina,
una minuscola donna alta 15 centimetri, dalle ali di libellula e
permanentemente avvolta da una delicata spolverata di scintille.
Yllyni era stata la prima a riemergere da quel buco, più di 24 ore fa. La sua
presenza era stata prova sufficiente per escludere che la ‘barriera oscura’ in
fondo alla caverna naturale dietro al foro fosse una distorsione
spaziotemporale.
Il
problema era che anche Capitan Ultra e il Ninja
Bianco (quest’ultimo ‘amichevolmente’ persuaso), una volta infilatisi in
quel budello, non ne erano ancora tornati. E Ultra era un pezzo da 90, anche se
un dilettante.
Mazinkaiser
poteva essere armato come un fortezza ambulante, ma se fosse rimasto
intrappolato a sua volta…
Robert
strinse i denti. Tante domande, tanti ‘se’…In fondo, lui era stato addestrato
per correre rischi, Cristo! L’intero gruppo
era destinato ad azioni pericolose, non a passeggiate!
Robert
scambiò una breve occhiata con Yllyni. Lei da sola non ce l’avrebbe fatta,
questo era chiaro. Solo il giungere alla superficie l’aveva quasi uccisa…
Il giovane pilota Giapponese non avrebbe mai voluto
deludere il Professor Giapeto, l’uomo
che aveva dato un nuovo, vero scopo alla sua vita, questo era certo…
Di
tutt’altro avviso era la figura maschile intenta allo schermo che inquadrava il
super-robot.
L’uomo
era l’incarnazione della perfezione militare, un esemplare degno del sogno
Ariano, con il volto squadrato dai capelli biondi a spazzola e lunghi
posteriormente in un codino simile a uno scudiscio, occhi grigio metallico e
naso patrizio. La sua uniforme era un misto di stile civile da pirata e kaki
militare.
Maximillian
Von Staar, in piedi al centro della
sala comando, era pensoso. Una finestra dello schermo mostrava quello che,
ufficialmente, si trovava sotto i piedi del Mazinkaiser. E a parte una vasta
caverna sotterranea, priva di minerali e inutilizzabile come base sotterranea,
non c’era proprio nulla che potesse spingere quei paranormali a un simile
comportamento...
Von
Staar sorrise, un sorriso sinistro con le sole labbra. Comunque fosse, era
almeno un’ottima occasione per sbarazzarsi di quasi tutto il resto di quei
‘Campioni’..! “Armamenti. Se le Sentinelle Hyrgan e Devaston sono
pronte, attivatele. Bersaglio, Mazinkaiser.”
Von Staar credeva nell’efficacia di una strategia
semplice. In questo caso, tenere impegnato Mazinkaiser, mentre il gruppo veniva
decapitato.
Ancora
una volta, si ritrovarono nella sala dei ricevimenti dell’Imperatore. Le
guardie e l’intero personale si erano mostrati deferenti nei confronti del
‘cittadino Romano’ come se avesse indosso la sua ormai distrutta armatura
dorata.
Il
gruppo procedette fino in fondo alla sala, dove un’intera parete era occupata
da una carta del globo assolutamente perfetta in ogni dettaglio.
L’Imperatore
toccò un quadrato cristallino sotto la mappa. Un cursore puntiforme scorse fino
alla zona Sudafricana dove si trovavano in quel momento. “Qui. Non molto
distante, fra queste maledette caverne, è sepolta l’astronave con la quale giunsi su questo maledetto pianeta centinaia
di rivoluzioni fa.
“Era
una missione semplice: verificare l’idoneità di questo mondo alla
colonizzazione. Il primo incontro con dei locali della più potente ‘civiltà’”
quasi la sputò, quella parola, “si era risolto con la loro eliminazione…Eppure,
nonostante il mio potere, i miei superiori mezzi, il mio corpo ospite fu
facilmente ucciso da una lama del più vile acciaio.
“Come
previsto in una simile situazione, usai la tecnologia dell’elmo che conteneva
la mia essenza per spingere quel selvaggio a divenire il mio nuovo
ospite…Purtroppo, fu un errore: quel terrestre era uno dei vostri mutanti, e la sua volontà era tale da
riuscire a sopraffare la mia. I sistemi di sicurezza dell’elmo causarono una
stasi, che perlomeno impedì all’idiota di fare ulteriori danni. Il computer di
bordo portò il mio veicolo al sicuro, in attesa del mio risveglio.
“Ma
ancora una volta, la sorte mi fu sfavorevole. Quest’area geografica era popolata da una specie ominide
geneticamente deviante, ed essi ebbero ragione delle difese esterne della nave.
La nave, avendo ancora il dovere di difendermi, nonostante la mia condizione,
svegliò il mio ospite, e gli insegnò il modo di usare i poteri acquisiti, e i
devianti furono messi in fuga.
“Da
quel momento, il terrestre utilizzò il mio
potere per ricostruire la ‘gloria’ di Roma, per fare rivivere il suo ridicolo
sogno. Persino la sua prima discorporazione non fu sufficiente a vincere la sua
volontà. Quando la nave recuperò l’elmo, ero ancora prigioniero…Fino ad oggi. E
la mia gratitudine non è poca cosa, terrestri.”
L’uomo
si voltò di nuovo verso la mappa. “La nave non è molto distante da qui. I
soldati che l’’Imperatore’ ha mandato per recuperarla sono stati regolarmente
annientati. Ho faticato non poco per convincerlo subliminalmente a non esporsi
personalmente, spingendo sulle sue paranoie di una possibile invasione.
“Se
voi riuscirete dove lui ha fallito, vi indicherò il modo per uscire di qui, in
pace, liberi di portare via questi inutili primitivi con voi. E non sentirete
più parlare di me o del mio popolo.” E su questo, era assolutamente sincero!
Attraverso la nave, aveva imparato abbastanza sui super-esseri di questo
pianeta da evitare un qualunque confronto diretto…Questa gente era stata capace
di respingere due esseri come Galactus
e la Fenice. L’intero pianeta Terra
avrebbe dovuto essere perfettamente isolato, non conquistato, e non avrebbe
certo raccomandato gli Zeloti per un simile incarico, nel suo rapporto!
I cinque si scambiarono una rapida occhiata. Alla
fine, l’idea aveva funzionato –il pollo si era sbottonato, e sapevano cosa
fare. Avrebbero naturalmente potuto andarsene dal momento in cui era chiaro che
la strana ‘barriera’ nera che nascondeva Roma non era un ostacolo invalicabile.
Di aiutare quell’alieno non avrebbe potuto importar loro di meno, ma di salvare
quelle migliaia di innocenti era un altro paio di maniche. E, una volta giunti
a bordo della nave, avrebbero potuto, con un po’ di fortuna, contattare
Robert...
“Hai
deciso?” fece Yllyni, che finalmente aveva recuperato tutte le sue forze.
“Perché se non ci vai tu, la sotto, ci andrò io.”
Robert
scosse mestamente la testa. Alla fine, non poteva. Le conseguenze
potevano essere tali da risultare in ben più di un gruppo di paranormali
perduto, molto di più..!
La
Faerie emise un trillo secco, le sue luci corporee intensificate fino
all’abbaglio. Fece per uscire dalla cabina di guida...un attimo prima che la
cabina stessa venisse scossa come sotto un terremoto! Allo stesso tempo, il
suono di un’esplosione rimbombò assordante.
Robert
reagì meccanicamente. Abbassò la visiera, e diede vita a Mazinkaiser,
che
era sotto l’attacco di due Supersentinelle volanti! Due modelli corazzati in
modo elaborato, che solo vagamente ricordavano le macchine antimutanti prodotte
in serie. Persino i loro volti erano più morbidi, ‘umani’.
Uno,
disegnato come una femmina, lanciò da un’unità sulla schiena una serie di
missili rotanti contro l’apertura della caverna. In sequenza, le armi
trasformarono quella che era un’apertura sufficiente per un’utilitaria in un
varco adeguato al robot nemico.
Prima
che la SS Hyrgan entrasse nell’apertura verso cui era diretta, Mazinkaiser levò
il braccio destro. “Turbos...Ehi!” Si trovò
bloccato da un viluppo di catene!
Un
attimo dopo, violente scariche elettriche saettarono lungo le catene. La SS
Devaston tirò a sé il robot delle FSDN Zilnawane. Spalancò una bocca irta di
zanne, e ne espulse un soffio di plasma.
La
testa di Mazinkaiser ne fu avvolta, e la cabina del Light Falcon sarebbe stata
distrutta sull’istante, non fosse stato per la corazzatura in Starlega.
L’urlo di dolore che emise non era, apparentemente, giustificato,
non
fosse, però, che Robert era legato psichicamente alla macchina, avvertendo
ondate di dolore ad ogni colpo come fosse stato il suo corpo ad essere
attaccato! Una misura purtroppo indispensabile per impedire che il pilota
spingesse il Mazinkaiser oltre i limiti causati da un danno serio. O che
potesse causare danni a forza di spingere.
Per
conto suo, Yllyni, non costretta dagli stessi vincoli, non perse tempo e uscì
dalla cabina fasando attraverso la calotta.
Una
volta fuori, considerò le sue opzioni. Ci mise poco –il suo Principe veniva
prima, naturalmente. Che quell’arrogante guerriero Midgardiano se la cavasse da
solo!
Si
trasformò in un raggio di luce, e si gettò dietro alla Hyrgan.
Robert
serrò i denti –decisamente non aveva voglia di verificare i limiti di
resistenza della Starlega, no!
Si
concentrò, i muscoli contrarsi di riflesso nei movimenti che doveva solo
immaginare...
Mazinkaiser
afferrò le catene...E diede un violento strattone! Devaston, che decisamente non
si aspettava un simile sviluppo, fu trascinato in avanti come un giocattolo! Il
suo flusso di plasma andò completamente fuori traiettoria.
“Fire Blaster!” Le piastre pettorali
scarlatte brillarono per un attimo di luce bianca, mentre le microunità cristalline
che le coprivano convogliavano l’energia delle batterie pettorali. Un attimo
dopo, un unico fascio scarlatto
investì in pieno Devaston. Il robot, vedendo il
brillare pettorale, si era già preparato, e quando il fascio laser/termico
colpì, a soffrirne fu la metà inferiore del corpo, che fu consumata come
una palla di neve all’inferno, trasformandosi quasi istantaneamente in una
poltiglia rovente.
Spinta da potenti razzi alla schiena, la parte
superiore della SS spalancò il petto e ne espulse una raffica di missili!
Mazinkaiser cercò di
evitarli, ma si trovò di nuovo bloccato dalle catene, dalle quali non si era
ancora liberato! E fu colpito in pieno.
Hyrgan, come prevedibile, era ferma davanti alla
barriera nera. E per quanto i suoi sensori si sforzassero su ogni frequenza
conosciuta, non ne riceveva che un’immagine di nulla.
La Supersentinella non era strutturata per
considerare la luce una minaccia, non se la luce in questione era su una
frequenza innocua. Di conseguenza, quando la sfera luminosa fasò all’interno
della sua schiena, non scattò nessun allarme.
Finalmente, giunse il
comando, e Hyrgan scattò in avanti.
Capitan Ultra ringraziò mentalmente i localizzatori
inseriti nei costumi (e nella cute di Hrimhari), o non avrebbe mai potuto
trovare i suoi compagni in quel labirinto sotterraneo!
Il gruppo volava per l’immenso network sotterraneo,
orientandosi alla luce dei fotofori naturali e seguendo la strada realizzata
dall’Imperatore. Hrimhari e Schizoid Man stavano in piedi su una ‘manta’ di
energia psichica generata dal mutante. Ultra ed Equinox volavano autonomamente,
fianco a fianco. Sulla strada, a intervalli regolari, come un’illusione,
appariva la figura del Ninja Bianco in corsa.
La strada si snodava come un’oasi serpentina su un
fondo irregolare irto di stalattiti. Le stesse stalagmiti che pendevano dal
soffitto costituivano un ostacolo non insignificante, soprattutto visto che
molte di esse andavano a fondersi con le stalattiti in solidissime colonne...
Improvvisamente, la strada si interruppe, tagliata
da un’invisibile mannaia. Solo i resti del cantiere restavano a muta
testimonianza della vanità degli sforzi Romani.
Il gruppo si fermò su quel confine. “Io dico che
siamo vicini,” disse Equinox. “Voglio dire, abbiamo fatto almeno 10 chilometri,
e non c’è altra ragione perché si interrompa proprio qui, right?”
“E credo anche di sapere chi sia il
responsabile,” disse Hrimhari, annusando prima il pavimento e poi l’aria.
Istintivamente, la sua criniera si era leggermente sollevata. “Questo è lo
stesso odore delle creature che ci hanno attaccato la prima volta che siamo
giunti a Roma[x].
Ed è presente ovunque; il loro nido è invero vicino.”
“Che bello,” fece Schizoid Man. “Capitano tutte a
noi. Perché diavolo poi dovrebbero dei mostri volanti nidificare vicino a
un’astronave aliena...”
“Lo scopriremo presto,” disse Cap, attivando
l’Ultravisione. Adesso, dietro un angolo, vedeva come un faro le emissioni
radioattive della nave –e capì che c’era qualcosa che non andava. Fosse dipeso
da lui, si sarebbe assicurato di avere il sistema di alimentazione, il
serbatoio o qualunque altra cavolo di cosa ci volesse su un vascello alieno,
ben schermato, non a perdere energia in quel modo.
“Cap..?”
Non badò neppure a Equinox, continuando a osservare
la ‘perdita’, e di come i fotofori sembrassero...assorbire...Ma certo! I
microrganismi erano stati mutati da quelle radiazioni! Ecco perché erano
così potenti in confronto ai loro ‘fratelli’ più in alto!
“Cap?”
“Cosa?” sbuffò Ultra, spegnendo l’Ultravisione. Era
sempre un’esperienza, vedere nel microscopico, e gli ci voleva un attimo, prima
di tornare alla visione normale... “Oy.”
Il cielo sotterraneo era letteralmente pieno
dei mostri volanti albini, dai corpi coperti di placche affilate, e le
bocche/caverne ribollenti di plasma, grandi a sufficienza da inghiottire un
uomo intero.
Poi, il cielo si riempì delle loro grida, mentre la
formazione che veniva dal nido si disponeva in cerchio per l’attacco.
“Proprio quello che pensavo
anch’io,” disse Equinox.
Gli occhi di Devaston brillarono, e raggi crionici
andarono a colpire il braccio di Mazinkaiser, teso a proteggere la cabina di
comando. Il metallo fu coperto da un solido strato cristallino.
Subito Devaston spalancò la bocca. Il plasma
colpì il braccio congelato, vaporizzando il ghiaccio
e sottoponendo la Starlega a uno stress termico che, se fosse stato marcato da
parametri ben più estremi, avrebbe anche potuto funzionare...Invece,
Mazinkaiser puntò il braccio in questione, e “Turbosmasher Punch!”, lo fece partire. Irto di
lame, come un missile rotante, l’arma andò a colpire la spalla destra, da cui
partiva una parte delle catene, disintegrandola.
Mazinkaiser annuì. “Ora si fa sul serio! Preparati!”
Il gruppo propulsore spuntò sulla schiena, e Mazinkaiser decollò.
Devaston fece un’espressione terrorizzata, e se la
diede a gambe –almeno, ci provò. Dietro di lui, Mazinkaiser disse, “Fire Blaster”
La
supersentinella fu investita dall’onda termolaser, e a quel punto entrò in
funzione il programma automatico di autodistruzione. Una sfera di fuoco, e del
robot nemico restarono pochi frammenti che non sarebbero stati di utilità
alcuna a rintracciare i costruttori.
Robert
schioccò le dita. “Beccati questo, rottame! Ed ora...”
Mazinkaiser puntò verso la caverna. A questo punto,
aveva la scusa perfetta: se il nemico si fosse impadronito di qualcosa di utile
a danneggiare Progetto Exodus, era dovere di Mazinkaiser fermarlo!
Sperò solo di essere in tempo...
Dove
cavolo era, la cavalleria, quando serviva?
Ultra
era fortunato, lui era abbastanza veloce da evitare facilmente gli attacchi di
quelle creature, e il costume era abbastanza resistente per le loro lame –non
il mantello, già ridotto a uno straccetto.
Almeno,
a lui bastava una scarica ottica a sistemarli. I loro attacchi erano
prevedibili, visto che miravano, alla fine, a inghiottire la preda, diventando
perfetti bersagli.
Purtroppo,
Ultra era anche stanco. Era già da oltre 1 giorno che non dormiva, e
iniziava a sentirlo –o meglio, se ne accorse quando una bolla di plasma lo
colpì in pieno alla schiena! L’eroe si trovò sbattuto contro la parete,
lasciandovi la sagoma.
La
sola fortuna di Equinox, che stava scontando la sua mancanza di allenamento
nell’elemento aereo, era dovuta alla sua durissima pelle di ghiaccio e la
capacità di assorbire il calore dei colpi di plasma, o sarebbe già morto.
Questi mostri erano saette viventi, dotate di un’agilità che era il sogno
bagnato di un ingegnere aeronautico.
E
le creature, per giunta, erano gregarie. Come squali, attaccavano per
sfinire, dandosi il cambio, in attesa del colpo di grazia...*
L’idea
gli venne subitanea, azzardata e geniale proprio come piaceva a lui.
Equinox
si mise immobile, limitandosi a farsi propellere dal proprio plasma. Una
dozzina di creature affamate si buttarono su di lui, affamate, agitando le
antenne-radar per essere sicure di non trovare ulteriori ostacoli...
“NO!”
fece Ultra, vedendo l’orrendo banchetto in procinto di compiersi...
...un
momento prima che l’intero stormo si trasformasse in una palla di fuoco!
Equinox emerse dall’olocausto un attimo dopo.
A
terra, il Ninja Bianco era l’unico a non sudare sette camicie. Gli squali
volanti attaccavano, e lui fingeva e colpiva con la katana. La lama vibrante
affettava arti ed ali con facilità irrisoria,
con
grande irritazione di Schizoid Man e Hrimhari, che stavano rapidamente
consumando le forze. Il mutante materializzava tentacoli e mostriciattoli di
energia psichica dalle bocche fameliche, ma era come contenere una marea
montante.
Il
Principe-lupo poteva solo evitare di farsi affettare. Inutile sprecare energie
per la sua forma estrema: non poteva neppure afferrare quelle cose senza
rischiare l’amputazione. Avrebbe voluto replicare il trucco della ‘cavalcata’[xi], ma
da come evitavano di volare basso per consentirglielo, era chiaro che erano
abbastanza intelligenti da scambiarsi le informazioni... “Yip!”
Una
bolla di plasma gli esplose ad un passo, strinandogli la pelliccia.
Istintivamente, si fermò, in tempo solo per vedere l’enorme bocca spalancata
davanti a lui, fornace promettente una morte orrenda...
La
creatura si ritirò all’ultimo istante con un grido. Le orecchie lupine
percepirono un tono diverso, non aggressivo, ma simile a quello usato dallo
squalo che lui aveva usato come cavalcatura...
Paura!
Una
serie di sibili, suoni assordanti e brevi, si sovrappose a quelli del carnaio.
Un attimo dopo, varie esplosioni scossero la caverna! Poi, giunse il suono come
di un razzo, uno grosso!
Hyrgan
fece il suo ingresso, usando ogni componente del suo arsenale per liberarsi di
ogni bersaglio mobile. Purtroppo, la sua programmazione non aveva contemplato
la possibilità di una presenza massiccia di quelli che i suoi parametri
consideravano super-esseri non meno pericolosi dei Campioni. E, con i contatti
con i suoi padroni tagliati, il robot agì alla cieca, per giunta disturbato
dalle radiazioni emesse dalle bocche degli squali volanti.
Hrimhari
vide una luce staccarsi dalla schiena della macchina, per dirigersi verso di
lui. “Yllyni!”
La
Faerie si posò sulla sua testa, e gli abbracciò un orecchio con trasporto.
“Miosignoreseivivo! O come sono
felice, sono...”
Ma l’Asgardiano si stava già dirigendo verso Ultra
e Equinox, appena atterrati. “Bisogna soccorrerli!” disse, trafelato, e
indicando chiaramente lo stormo.
Fu ricambiato da più di un’occhiata sgranata.
“Prego?” fecero 4 bocche all’unisono.
“Sono abbastanza intelligenti da scambiarsi
informazioni, lo so. Se li aiutiamo adesso, potrebbero decidere di non
considerarci più una minaccia per il loro nido!”
4 paia di occhi guardarono verso il colosso
corazzato. “L’idea è carina,” fece Ultra, “Ma ho paura che abbiamo di fronte un
grosso problema da risolvere,
prima. Che dici?”
La risposta non venne ne’ da Hrimhari ne’ da un
altro componente del gruppo...o meglio, dall’ultimo che si aspettavano di
vedere laggiù. “Raggi
Fotonici!”
Una coppia di strisce abbaglianti colpirono in
pieno l’unità propulsiva di Hyrgan! Queste esplosero, e il robot precipitò
Per il gruppo a terra, la prima preoccupazione fu
impedire di essere investiti da getti di carburante infiammato e schegge
letali. Preoccupazione risolta al volo da Equinox ed uno scudo gelido.
Mazinkaiser atterrò ed afferrò la SS per le gambe.
“Ehh...” La fece girare come un peso olimpico un paio di volte, e “Ooopp!” la
scagliò via come per una gara dell’olimpiade robotica.
La macchina non aveva finito di atterrare, che “Missile Gigante!”
Mazinkaiser la centrò con uno dei suoi ordigni ventrali. Il meccanismo di
autodistruzione fece il resto, accendendo un nuovo sole sotterraneo.
Gli squali volanti, saggiamente, si tenevano a
rispettosa distanza. Le loro lunghe antenne alternavano movimento e
lampeggiamenti secondo uno schema preciso. “Stanno valutando la situazione,”
disse Hrimhari, ammirato. “Si scambiano informazioni...”
Lo stormo si ritirò, sparendo dietro l’angolo.
Capitan Ultra decollò verso la testa di
Mazinkaiser. Arrivato all’altezza della cabina, incrociò le braccia e disse,
“Se ne avessi il tempo, mesuggah d’un ragazzo, ti farei passare un brutto quarto
d’ora. Ma visto che ci hai salvato la buccia, il minimo che puoi fare, adesso,”
e con un pollice indicò la direzione, “è andare a dare un’occhiata là dietro.
Pensi di riuscirci?”
In risposta, Mazinkaiser iniziò a camminare verso
l’angolo. Inutile chiedere spiegazioni, a questo punto... “Cosa dovrei
trovarci, fraparentesi?” si limitò a chiedere, voltando la testa nel frattempo.
“Un’astronave aliena o qualcosa del genere. Fai
attenzione, ho rilevato una perdita di radiazioni.”
Mazinkaiser svoltò l’angolo, e sussultò. “Uh, Cap?
Quando hai menzionato un’astronave, intendevi dire un modello funzionante, vero?”
Robert si sincerò che i registratori di bordo
funzionassero.
Lo spettacolo era notevole: centinaia di Squali Volanti erano ammassati
intorno a quello che ormai era un relitto. Era chiaro che le parti mancanti del
lucido metallo erano state sbranate, lasciando scoperto il sole artificiale che era il
‘motore’ della nave. E intorno a quel cuore di energia, giacevano strati di uova dai riflessi metallici.
Robert descrisse lo spettacolo nei minimi dettagli
ai suoi compagni, ottenendone qualche sorda imprecazione in risposta...
“Per questo attaccavano Roma,” disse l’Asgardiano.
“E’ da lì che venivano gli invasori della loro tana.”
“Va bene, ma adesso che facciamo?” chiese Equinox.
“Quel pazzo alieno non accetterà che la sua nave sia diventata un nido per gli
squali.
“Su questo hai ragione, terrestre,” giunse la voce
dello Zelota. “Dunque, si direbbe che sono intrappolato su questo mondo, fino a
quando non avrò trovato un modo alternativo per lasciarlo.
“Avete adempiuto alla
vostra parte dell’accordo e tanto mi basta. Ora sparite, e che le nostre strade
non si incontrino un’altra volta.”
Tutt’intorno al gruppo, le
pareti della caverna si dissolsero...
I Campioni riapparvero nel bel mezzo della giungla.
“Bel trucchetto,” disse Schizoid Man. “Torna
comodo, se arriva un ispettore del Fisco.”
Hrimhari si avvicinò a Ultra. “Cosa ne sarà dei
mortali prigionieri là sotto? Dovremmo...” ma Cap lo interruppe con un cenno
stanco. “Principe, con tutto il rispetto, non sappiamo neppure ‘dove’ sia Roma,
laggiù. Senza localizzatori, potremmo impiegarci mesi prima di ritrovarla, ed
abbiamo problemi più urgenti di cui occuparci, adesso.”
“Non potrei essere più d’accordo,” disse Robert, la
calotta corazzata sollevata, strizzando gli occhi e guardando in tutte le
direzioni nella vana cerca di un punto di riferimento familiare. E anche il
radar concordava, purtroppo, coni suoi timori.
Ovunque fossero, erano decisamente lontani da casa.
Episodio
9 - Errare umanum est, perseverare…
Immaginate
una splendida mattinata assolata africana. La temperatura è ancora gradevole,
per quanto umida. I grandi predatori si preparano ad un sano turno di riposo
dopo una notte passata a cacciare con alterne fortune. Gli uccelli hanno da
poco iniziato a demarcare i propri territori con armoniosi avvertimenti. Un
elefante barrisce in distanza.
“COME
AVETE FATTO A FINIRE LI’, PEZZI DI IDIOTI?!?!”
Echeggia
per chilometri. Gli elefanti tacciono. Gli uccelli scappano a razzo. Molti
predatori rispondono con un ruggito di sfida a quell’intrusione vocale.
E
quello è il minore, dei problemi che i destinatari di quella sfuriata
dovranno oggi sopportare...
La
voce apparteneva a Simone Giapeto, Direttore delle Forze Speciali di
Difesa Nazionale dello Stato tecnocratico dello Zilnawa. Forze di cui il
super-gruppo dei Campioni era parte integrante. L’uomo, un esemplare
mediterraneo che sarebbe stato decisamente meglio nella parte di un burbero
oste in qualche saloon del 17° secolo, sembrava ora volere esplodere attraverso
lo schermo nella cabina di comando del Mazinkaiser. “Lo sapete dove
siete, adesso? Ti è venuto in mente di usare il GPS installato appositamente
per situazioni del genere?”
Robert
Takiguchi si schiarì la gola. In
effetti, lì per lì, appena riemersi dal regno sotterraneo del folle Imperatore,
non ci aveva pensato per niente...E quando si era deciso, gli era venuto quasi
un accidente. Purtroppo, a quel punto non poteva evitare di contattare la base.
Giapeto
sospirò come un toro di fronte a un torero tonto. “Lasciamo stare: il punto è
che ora siete in Kenya, per giunta in un’area particolarmente delicata.
Spediscimi immediatamente il rapporto delle ultime ore, e approfittatene per
lasciare quel posto adesso, prima che a qualcuno all’ONU venga un
coccolone. Quei burocrati scaldasedie sono capaci di sospendere tutti i
contratti dello Zilnawa se solo si immaginassero una nostra ingerenza
militare nei loro affari interni. E se discuti, ti mando a pilotare i carrelli
di servizio.”
Robert
deglutì. Era sicuro che il capo avrebbe mantenuto la parola. Attivò il
comunicatore. “Sentito il boss, gente? Leviamo le tende, e...”
La
cabina fu scossa da una potente esplosione!
30
metri più in basso, ai piedi del super-robot, Hrimhari stava annusando
l’aria. Le orecchie lupine gli fliccavano in varie direzioni. “Sono vicini. Da
quella parte.”
“Chi..?”
Il teamleader, Capitan Ultra, seguì la direzione indicata dalla mano
impellicciata di argento. L’eroe attivò l’ultra-visione, e bisbigliò un
“Oh-oh.”
Un
momento dopo, due missili volarono dal fitto della foresta verso la
testa del Mazinkaiser!
Ultra
reagì d’istinto. Dalla visiera del suo casco partì una scarica di energia, che
distrusse uno dei missili. L’altro, purtroppo, arrivò a bersaglio. In compenso,
all’indistruttibile strato di Starlega che copriva la macchina, non fece
neppure un graffio.
“MaccheCristo..?!”
fece Equinox, l’Uomo Termodinamico, parandosi istintivamente gli occhi.
“SAM,”
disse Schizoid Man, guardando verso la vegetazione da cui il colpo era
partito. “Unità portatili, roba costosa. Non capisco, solo un esercito regolare
potrebbe permetterselo...”
A
quel punto, l’Asgardiano principe-lupo, che stava al suo fianco, si acquattò e
ringhiò, il pelo dritto.
I
proiettili arrivarono come una tempesta, da tutte le direzioni!
Fu
lo schizofrenico mutante a salvare la situazione: alla velocità del pensiero,
eresse una cupola di energia psichica su cui i proiettili rimbalzarono senza danno.
Robert
analizzò la situazione sugli scansori collegati direttamente al suo HUD. Annuì:
gli attaccanti erano un gruppo sparso di appena una dozzina di uomini. In
compenso, le armi che avevano addosso erano roba seria. Erano distanti, ma
usavano mitragliatori di grosso calibro!
Sorrise.
E, sopratutto, erano guerriglieri! Nessun diplomatico avrebbe versato lacrime
all’ONU per loro...Col cavolo che lui l’avrebbe fatta passare liscia a dei tizi
che avrebbero ucciso degli altri esseri umani senza pensarci su due volte! “Raggi
Fotonici!”
Dagli
occhi romboidali del Mazinkaiser partì una coppia di laser. Il robot li usò
come una falce per spianare il terreno fra il gruppo ed i guerriglieri.
Capitan
Ultra scattò per coprire le spalle della formazione, o meglio, l’angolo morto
che la testa del Mazinkaiser non poteva raggiungere. Giapeto li avrebbe uccisi.
Meglio andarsene con stile, a questo punto!
L’eroe
si infilò a razzo nella vegetazione proprio mentre una nuova raffica di missili
terra-aria partiva all’indirizzo del robot. Cambiò rotta quel tanto che bastava
per arrivare addosso al lanciarazzi. Come aveva immaginato, si trattava di
un’unità Stinger, manovrata da un giovane che se avrà avuto sì e no 20 anni.
Ultra diede un sonoro pugno al lanciarazzi, facendolo volare via dalla spalla
del giovane –e slogando la spalla in questione! Il ragazzo emise un urlo di
dolore.
Ultra
si fermò di colpo -ma che diavolo si era messo in testa di fare?! Si chinò sul
ragazzo in ginocchio, che gli lanciava occhiate di fuoco: questo non era un
qualche supercriminale, ma solo...
Che
stesse male sul serio o fingesse, il ragazzo fu assai lesto nell’estrarre una Browning
con l’altro braccio. Con un solo gesto, l’aveva puntata alla faccia di Ultra, e
sparò!
La
reazione del super-essere fu altrettanto lesta...sfortunatamente per il suo
aspirante assassino. Una raffica partì dalla visiera, e investì il proiettile
appena uscito e l’arma...e la mano che la reggeva. In un attimo, il
guerrigliero stava fissando con orrore un moncherino annerito!
Diversi
mitragliatori furono puntati su Cap.
<BASTA!>
Un
comando mentale! Una ‘voce’ che in quella sola parola aveva espresso la
quintessenza del comando. Irresistibile. La scena fu come congelata, ogni
istinto guerriero temporaneamente soppresso. Una ‘voce’ che tutti seppero
venire
da
Hrimhari. “Non siamo giunti qui con intenzioni ostili. Per favore, mortali,
cessate questa follia.”
Gli
altri Campioni videro che, effettivamente, i guerriglieri erano tutti suppergiù
sui vent’anni. Solo i più ‘gallonati’ di loro, tre in tutto, erano anziani poco
più che trentenni. Cap ebbe come un malore dentro: giovani, come i kamikaze
pronti a buttarsi in mezzo alla folla con una cintura-bomba addosso, lo stesso
fanatismo negli occhi...Dio, come avrebbe voluto prenderli a schiaffoni tutti!!
Uno
degli ‘anziani’ si fece avanti. Era pieno di muscoli, non un filo di grasso.
Per farlo arrivare a quella condizione, le razioni dei più giovani dovevano
essere state depredate, almeno a giudicare dallo stato emaciato dei ragazzi. I
suoi occhi erano già venati di rughe, e i capelli brizzolati. Doveva avere
pagato duramente, la sua posizione. Infatti, le maniche arrotolate
dell’uniforme mostravano braccia coperte da una ragnatela di cicatrici. “Vi ho
visti in televisione: avete sventato un attentato al programma spaziale dello
Zilnawa. Siete i Campioni.” La sua voce trasudava diffidenza. “E cosa ci
fareste qui, se siete venuti in ‘pace’?” Sulle sue labbra, la parola suonava
come un offesa.
Schizoid
Man si tese, ma Hrimhari lo trattenne gentilmente per un polso. “Ti basti
sapere che non siamo qui di nostra volontà, e che desideriamo solo di
andarcene...Ma poiché la nostra ingerenza ha causato dei feriti fra i tuoi guerrieri,
permettici di aiutarti almeno a portarli al sicuro.”
Robert
si batté il palmo sulla fronte. Ma chi gliel’ha fatto fare, a Thran, di
accettare quel buonista alieno nel team?!
L’uomo
considerò l’offerta. La faccenda era strana, anzi, diciamo pure assurda. Questi
protettori delle ricche ‘democrazie’ occidentali sembravano sinceramente
confusi...E visto che, evidentemente, un telepate militava fra le loro fila,
non aveva senso giocare ai segreti. “Il nostro accampamento dista una dozzina
di chilometri a nord...Ma non potete raggiungerlo con quel...coso,” indicò
Mazinkaiser. “Anzi, è ancora troppo vicino. È praticamente un faro per le forze
del Governo.”
“Se il vostro accampamento è protetto da quelle
colline,” disse Robert, “mi basterà dispormi lungo un fianco. Un dispositivo-stealth
mi mimetizzerà fra le rocce. Allora, vogliamo perdere altro tempo?”
A
bordo della colossale fortezza volante conosciuta come StarGlider-1000...
“E
questo è quanto. Crede che dovremmo far loro tenere d’occhio questo ‘Zelota’?”
Dallo
schermo, Alexander Thran, fondatore della Talon Corporation, la
multinazionale che di fatto aveva creato lo Zilnawa, scosse la testa. “No.
Possiamo classificarlo al massimo come minaccia ai Campioni, ma non può avere
alcun rapporto con Progetto Exodus. Di fatto, le pedine hanno appena
iniziato a muoversi...Ma la ringrazio per la segnalazione, Professor Giapeto.
“Per
ora, sposti l’SG1000 sul teatro Kenyota. Parlerò io con il Presidente Moi. E si
limiti a un provvedimento simbolico per i Campioni. Per colmo di fortuna,
l’indesiderata presenza dei nostri eroi può avere un risvolto positivo.”
Inutile sottolineare ‘per chi’, naturalmente.
Giapeto annuì all’uomo dai tratti orientali-caucasici.
Certe volte, gli ricordava un gatto pronto sul topo. Era inquietante!
La
fitta vegetazione che correva intorno alle colline era venata da un fiume di un
colore limaccioso. Sulla sua riva, un gruppo di donne vestite in colorati abiti
tribali era intento a lavare panni o delle stoviglie.
La
loro quieta attività fu turbata da una serie di urla –era una delle sentinelle,
che eccitata stava indicando verso la giungla. L’accampamento si trovava in
un’area in pendenza, e si poteva vedere bene il gigante d’acciaio avanzare come
se la giungla fosse poco più di un prato!
Pochi
istanti dopo, arrivarono i mostri!
Cap
fu per un momento sorpreso dalla sorpresa, no, il terrore degli
accampati, alcuni dei quali stavano decisamente scappando nelle grotte...Prima
di ricordare che da queste parti, una cosa come la TV doveva essere più
elitaria di un aereo privato!
Atterrò
in una rosa di fucili puntati. Un attimo dopo, arrivò la ‘manta’ di energia
psichica di Schizoid Man, che oltre a Hrimhari portava il leader dei
guerriglieri. Equinox atterrò come una divinità, nella sua colonna di plasma.
Per
ultimo, arrivò Mazinkaiser, che portava i giovani soldati nelle sue mani. Gli
occhi dei ragazzi erano grandi come piattini. Uno di loro lanciò addirittura un
grido di trionfo, come se avesse personalmente domato il titano meccanico!
Il
leader abbaiò una serie di comandi. Terrorizzati o no, la risposta dei suoi
uomini fu lesta e disciplinata: da una grotta di quello strano formicaio
scavato nella collina emerse una coppia di soldati con la fascia bianca e la
croce rossa al braccio. Portavano una barella e una borsa di attrezzi medici.
Subito
i medici si occuparono del ragazzo ferito, che ormai era svenuto. Lavorarono in
fretta, con precisione, senza sprecare nulla della loro scarna dotazione.
Gli
eroi erano impressionati: nonostante le precarie condizioni di vita, quella
gente dava l’impressione di potere rendere il 110%. In pochi minuti, il
paziente era già diretto verso le grotte.
Una
serie di ‘click’ li riportò alla realtà. Erano ancora tutti sotto tiro dei
soldati.
Passarono
alcuni minuti carichi di tensione, ma nessuno mosse più di una palpebra.
Finalmente,
il leader disse qualcosa in una lingua incomprensibile, e le armi, seppure
esitantemente, si abbassarono.
L’uomo
si voltò verso Capitan Ultra, e tornò all’inglese; adesso, il volto aveva perso
due gradi di burberità. “Avete mantenuto la parola, e ve ne sono grato. Il mio
nome è Sadu, e sono un po’ il...padre di questa gente. Il vostro gigante
può portarsi dove desidera, adesso.”
Robert
non sapeva se ammirarlo o consigliargli uno psichiatra. Era a dir poco
surreale: se fossero stati dei nemici, i Campioni avrebbero potuto sterminare
quella gente in un batter d’occhio. Quell’uomo doveva possedere una fiducia
incrollabile, fanatica, tanto in sé quanto nei suoi uomini.
Ad
ogni modo, il giovane pilota guidò il robot verso il fianco della montagna.
Posizionato il robot, attivò il dispositivo.
Dall’esterno,
tutti videro il grigio metallo cambiare colore, assumere ogni singola sfumatura
e venatura della roccia che lo circondava, incluse le macchie di vegetazione.
Ancora pochi istanti, e a tutti gli effetti, Mazinkaiser era scomparso.
La
sola prova della sua esistenza fu l’improvviso suono di razzi all’altezza della
testa. Un attimo dopo, la forma di un minivelivolo, l’elegante modulo di
comando Light Falcon, atterrò in una piccola macchia di vegetazione, con
la quale si mimetizzò prontamente.
Dopo
che con un salto Robert fu fra i comuni mortali, Sadu disse al gruppo, “Ed ora,
vogliate per favore gradire la nostra ospitalità, Campioni.”
L’atmosfera
generale era rilassata. La gente era tornata fuori dai rifugi, chiacchiere
eccitate in lingua nativa riempivano l’aria.
Mentre
si incamminavano verso la più grande delle grotte, Schizoid Man, che stava in
coda insieme a Hrimhari, disse al lupo antropomorfo, molto sottovoce, “Non ci
avevi detto di essere un telepate.”
La
risposta fu sullo stesso tono. “Tel-empate renderebbe meglio l’idea. Sono emozioni,
quelle che uso a questo livello. Ogni lupo conosce questo talento. E le sto
usando per convincere Sadu a non pensare al nostro amico assente. Quindi taci,
per favore. Mi distrai.”
Il
mutante lo fece, non senza fare una faccia offesa –almeno, in tutta quella
storia il suo alter-ego, Chip Martin, continuava a starsene quieto in
qualche angolo remoto della sua mente, e a lui andava benissimo!
Il
paragone con un formicaio non faceva una piega. Dentro, era come trovarsi in
una cittadella! Era chiaro che le terrazze, le ‘case’ scavate nella nuda
roccia, i ponti, esistevano da molto prima dei guerriglieri. Giochi di specchi
provvedevano ad amplificare con grande efficacia la luce proveniente
dall’esterno. La ‘cittadella’ si estendeva per almeno cinque livelli, tutti
razionalmente occupati. L’aria era stantia dalla numerosa presenza umana e di
alcuni animali da cortile, ma era un prezzo minimo vista la sicurezza offerta
da un posto che nessun satellite avrebbe potuto rilevare.
“L’uomo
bianco tende a dimenticare che l’Africa è stata la culla di tutte le civiltà,”
disse Sadu, compiaciuto della meraviglia ‘da turisti’ dei nostri. “I cosiddetti
‘selvaggi’ sapevano sfruttare le risorse naturali in modi che i vostri moderni
ingegneri non saprebbero neppure sfruttare. Ma venite, prego.”
La
casa di Sadu non era certo migliore o più elegante delle altre. Il solo segno
del rango dell’uomo era solo il suo eccellente stato fisico. Quando il gruppo
entrò, furono accolti da una specie di fantasma in scuro, del quale si vedevano
solo gli occhi dall’espressione rassegnata, sfuggente.
“Musulmano?”
chiese al volo Cap, simulando un tono distratto.
Sadu
annuì. “Allah ci dà la forza di vivere e combattere. Ma prego, sedetevi.”
Improvvisamente, nei suoi occhi passò un’ombra di disapprovazione. “Il vostro
animale, per favore, deve restare fuori da questo tetto.”
Schizoid
Man fu sul punto di dire qualcosa, ma una gomitata al volo di Equinox lo fermò.
Hrimhari,
da parte sua, fu ben lieto di accondiscendere: se nessuno badava a lui, era più
libero di concentrarsi in quel luogo che per i suoi sensi ed abitudini era una
prigione claustrofobica. Passò alla forma quadrupede. Sadu non ne sembrò
impressionato, se si voleva escludere un lieve inarcar di sopracciglio.
L’Asgardiano
si mise fuori della soglia, e si sedette, sotto lo sguardo curioso sopratutto
dei ragazzi e dei bambini. Qualcuno mormorò, forse una preghiera a fior di
labbra.
Sapeva
che per ragioni di fede, i cani erano considerati animali ‘impuri’;
aggiungetelo al fatto che da quelle parti era già molto se vedevano uno
sciacallo, e lui doveva essere un evento ambulante.
Sospirò.
Sperò che nessuno tentasse di accarezzarlo!
L’aroma
dalla stanza attigua annunciò la preparazione in corso di un caffè. Sedevano
tutti su cuscini, su uno spesso tappeto privo di polvere.
“Ammetto
di essere curioso su di voi, Campioni,” disse Sadu. “Lavorate per una potenza
capitalistica, ma i vostri cuori non sembrano essere ostruiti dalla stessa
cecità dei vostri padroni.”
Capitan
Ultra si schiarì la gola. “Con tutto il rispetto, Sadu, sta sbagliando tutto su
di noi. Non dico che lavorare di fatto per una multinazionale sia il sogno
della nostra vita, ma lo Zilnawa è per ora l’unica nazione che sembra capace di
mantenere una promessa di ricchezza ai paesi del Terzo Mondo. Potremmo
sbagliarci, ma il beneficio del dubbio non può essere negato a priori...”
“Piuttosto,
chi siete esattamente?” intervenne Schizoid Man. “Il Kenya è una nazione
fondamentalmente tranquilla, e voi siete armati per una guerra. Vi abbiamo
visto con della roba di lusso, che dubito abbiate comprato rompendo i
maialini.” Era un approccio assolutamente privo di ogni tatto diplomatico, ma
il giovane Martin aveva imparato una cosa, dal suo mai abbastanza dannato
padre: a volte, un attacco allo stomaco produceva risultati migliori...se non
ti preoccupavi troppo, poi, di finire sulla lista nera del suo interlocutore.
Sorprendentemente,
il volto del capotribù si distese in un sorriso. “Ironicamente, mio irruento
amico –sei Americano, vero?- devi ringraziare i tuoi connazionali al governo,
per questo...dono.
“Il
maledetto Presidente Moi è stato finanziato a suon di dollari ed armi dagli
Stati Uniti. Le forze armate hanno fatto uso sapiente di tali armi per
‘pacificare’ la resistenza in Kenya, per comprare i politici più deboli, per
asservire il meraviglioso crogiolo di culture al modello ameboide
cristiano/capitalistico.”
Ci
fu un rapido scambio di occhiate. Decisamente, quell’uomo non parlava come un
povero villico. Il fanatismo straripava da ogni sua sillaba, e combinato con
una buona educazione, formava un’alchemia pericolosa!
La
moglie di Sadu venne dalla cucina, reggendo un vassoio con delle tazzine in
legno. Posò il vassoio su un tavolino al fianco di Sadu, e tornò nel locale
discreta com’era venuta, come non ne fosse mai uscita.
Cap
aggrottò la fronte –difettoso o no, il modello occidentale, persino quello
Ebreo cui lui apparteneva, trattavano meglio le donne!
Sadu
allungò le mani verso il tavolino. Da un cassetto, estrasse una specie di libro
rilegato. “Le armi ed i mezzi di cui disponiamo sono stati sottratti a un
magazzino governativo, al costo di molte vite.” Aprì quello che si rivelò
essere un album fotografico. La sua voce conteneva una nota di tristezza,
adesso. “Ma, almeno, il sacrificio dei nostri giovani servirà ad impedire che
in futuro si ripeta...questo.”
Sadu
passò l’album a Capitan Ultra, che impallidì visibilmente. L’eroe lo passò
subito ad Equinox, che per poco non trasformò la sua pelle di ghiaccio in una
vampata. Robert sibilò una bestemmia in giapponese. Schizoid Man ebbe un
fuggente pensiero che, in fondo, persino un ‘mostro’ come Morbius era meno di
un dilettante, di fronte alle atrocità di cui potevano macchiarsi uomini senza
alcun superpotere...
L’album
era una collezione a colori di orrori indicibili! Fosse comuni, colme di
uomini, donne e bambini, anziani...I più fortunati erano cadaveri integri,
morti ‘solo’ per un colpo alla nuca. Altri avevano gli occhi spalancati, consci
della loro mutilazione, prima del pietoso oblio. Altri portavano segni
di...stupro? E con cosa, per lasciare simili cicatrici?
Improvvisamente,
l’aroma del caffè sembrava quello di acido per batterie. La bile era trattenuta
a stento.
Altre
foto mostravano file di prigionieri praticamente preda dell’inedia in
ginocchio, le mani dietro la nuca, costretti ad assistere agli ‘interrogatori’
dei loro connazionali –fratelli? Amici?- sotto lo sguardo implacabile di
soldati in mimetica il cui petto mostrava il ricamo della bandiera del Kenya.
Cap
fu il primo a riprendersi. Disse a Sadu, “Per...favore...Possiamo parlare...da
soli?” quasi boccheggiava.
Sadu
si alzò in piedi. Fece un breve inchino, le mani giunte, e uscì dalla casa. Non
chiamò neppure la moglie, che comunque non avrebbe potuto muovere un dito senza
il permesso di lui.
“E’
chiaro cosa ci chiederà,” disse Robert, comprensibilmente agitato. “E noi non
possiamo farci coinvolgere. Quali che siano le ragioni, rovesciare un governo
senza una dichiarazione di guerra, o contribuire a una simile azione, è sbagliato.
E trascinerebbe lo Zilnawa in un...”
Cap
levò una mano a zittirlo. “Ne so qualcosa, Robert, credimi. I miei connazionali
stanno riuscendo a farsi odiare per i tentativi di ammazzare Arafat. E lì
entrambe le parti hanno torto.”
Equinox
annuì. “E Bush non è da meno, con ‘sta cazzata dell’’attacco preventivo’
all’Iraq. Bob, siamo tutti d’accordo su questo. Il punto è che io non me
la sento di non fare proprio niente.”
Robert
Takiguchi sentì come un brivido gelato lungo la schiena. Sapeva cosa sarebbe
successo...
Infatti,
Schizoid Man disse, “Possiamo perlomeno rendere difficili le cose al
governo. Aiutare i guerriglieri a liberare dei prigionieri, salvare delle vite.
Mica abbiamo bisogno di Mazinkaiser, per una simile impresa, giusto?”
“Almeno,”
concluse Ultra, “il Professor Giapeto potrà ridurci la pena, se vedrà che
abbiamo disobbedito a fin di bene.”
Un
bambino che non doveva avere più di 3 anni puntò il suo ditino e sottolineò il
suo entusiasmo con una risatina.
Hrimhari
uggiolò –non che non gli piacessero i cuccioli umani, anzi! Erano forse l’unico
stadio della specie ad essere amichevole con i suoi simili...Ma era comunque imbarazzante.
Sadu
stava conferendo con dei suoi coetanei. La loro lingua poteva essergli
incomprensibile, ma le loro emozioni erano uno spettro che andava dalla
speranza alla crudeltà. In mezzo a quell’oceano, Sadu era un faro saldo, un
leader nato. Trasformava i loro dubbi su questi possibili alleati in certezze,
la sua fiducia era incrollabile...
Poi
accadde!
Come
si poteva definire? Felicità? No, decisamente non era sufficiente.
Perché
in quel contatto, in quel momento, il cuore del Principe dei Lupi di Asgard fu
imbevuto di nuova vita.
Il
tempo intorno a lui era fermo, il mondo tratteneva il fiato.
E
davanti a lui stava l’imponente figura dell’onnipotente Odino.
Il
lupo d’argento si prostrò umilmente, le orecchie piatte e la coda fra le gambe
come si conveniva ad un beta davanti al capobranco.
Odino,
Signore di Asgard, Padre degli Dei, Sommo Guerriero, sorrise. “Sono felice che
tu e Yllyni siate vivi, giovane Principe.” La sua voce, che avrebbe
potuto spezzare i mondi, era gentile e profonda, carica di saggezza. “Asgard è
sopravvissuta alla terribile prova dell’invasione di Seth e dei suoi
alleati, ed è rinata più splendida che mai. I suoi figli vivono, pronti ancora
una volta a difendere i Nove Mondi da ogni male.
“Non
potevi sapere della sua resurrezione, Principe, perché io stesso ho chiuso ogni
accesso fra i Nove Mondi, per impedire che nuove minacce potessero ripetere
quello che Seth ha fatto.
“Ma,
adesso, una nuova minaccia, figlia di quell’infame Teomachia, vaga
per Midgard. Fenris, il figlio di Loki, è libero[xii].
Glepnir è stata spezzata, e Valtran è in suo possesso.” Si riferiva
rispettivamente alla mistica catena che avrebbe dovuto essere indistruttibile,
concepita per contenere l’immensa forza del mostro lupino, e alla spada serrata
fra le potenti mascelle.
Hrimhari
rabbrividì. La profezia diceva che durante il Ragnarok, Fenris avrebbe ucciso
Odino..! “Cosa devo fare, Padre? Parla, ed obbedirò.”
Odino
annuì. “Sei il solo, su Midgard, che possa trovare il mostro, che in qualche
modo riesce a nascondersi al mio sguardo. Io organizzerò un gruppo di
cacciatori, acciocché lo riportino su Asgard...o lo uccidano. Conto su di te,
Principe.”
La
figura di Odino si dissolse come una statua di acqua luminosa. I mortali
ripresero i loro affari come il tempo non fosse passato.
Hrimhari
guardò verso la porta. Scodinzolò, indeciso. Per quanto fosse in debito con i
suoi amici mortali, era stato caricato con un fardello molto più grave!
Sospirò. Almeno, li avrebbe avvertiti...
Perso
nei suoi pensieri, sconvolto dalle notizie appena ricevute, il Principe Lupo
non si accorse di avere del tutto dimenticato di focalizzare la sua volontà su
Sadu,
il
quale fu improvvisamente colto da un pensiero che per qualche ragione aveva
messo da parte...
C’era
un sesto Campione. Una specie di ‘ninja’ vestito di bianco, ne era
sicuro!
Sotto
lo sguardo incuriosito dei suoi luogotenenti, Sadu socchiuse gli occhi,
concentrandosi –doveva ammetterlo, questi giovani potevano essere ingenui, ma
non stupidi.
Ma
neanche lui era un dilettante...
Episodio
10 - Gioco d’ombre
Da
qualche parte nel Kenya Meridionale
‘Il
mondo è bello perché è vario,’ recita il proverbio.
Così,
ci si poteva veramente sorprendere, in questi tempi di Meraviglie, di vedere un
lupo grigio europeo seduto sulla sommità di una collina nel mezzo di una
giungla Africana?
Ma
la creatura non era ‘solo’ un comune Canis Lupus, no. Questo giovane maschio
aveva un nome, fra la sua gente: Hrimhari, e dei suoi simili era il Principe,
nella favolosa e remota Asgard.
Il suo sguardo intenso, di occhi verdi come la
foresta, spaziava verso l’orizzonte lontano. Da qualche parte, oltre le
montagne ed oltre il mare, camminava su Midgard una minaccia degna di
rivaleggiare con l’eroe per eccellenza di Asgard, Thor.
La minaccia si chiamava Fenris. Figlio del crudele Loki e della gigantessa Angrbode, era stato incatenato
negli abissi più profondi sotto il lago Amsvartnir, legato alla viva roccia
dall’indistruttibile catena Gleipnir, dalla quale si sarebbe potuto liberare, secondo
la profezia, solo nel giorno del Ragnarok, per uccidere Odino.
La sua prematura quanto incredibile liberazione
costituiva un pericolo orrendo per ogni mortale o Asgardiano. Il Padre
Onnipotente in persona aveva chiesto al Principe-lupo di trovare Fenris, acciocché
un gruppo dei più valorosi guerrieri potesse catturarlo...o ucciderlo nel
tentativo.
Hrimhari era stato più che felice, di
obbedire...Solo per scoprire che, in qualche modo, il nero mostro in guisa di
lupo era irrintracciabile! Ed era assurdo: Hrimhari era capace di percepire
ogni suo fratello, anche coloro che camminavano in forma umana fra i mortali. E
come poteva udire il canto delle loro anime, doveva essere in grado di percepire la diabolica
presenza...
...Solo che non ci riusciva. Hrimhari uggiolò,
sconsolato. In qualche modo, Fenris non aveva assunto un’altra forma, ma aveva
invaso il corpo di qualche mortale, nascondendosi come un verme nel cuore della
vittima.
Cosa poteva fare? Grande Odino, cosa può fare questo tuo
umile servitore da solo? Come poteva rintracciare una pesta che non c’era..?
Seduta sulla testa di Hrimhari, stava un esserino
che solo un mortale incolto avrebbe potuto scambiare per la Vendicatrice Wasp. Il suo azzurro corpo
femminile di una manciata di cm era illuminato da scintille, e le sue ali erano
quelle cristalline di una libellula. Si chiamava Yllyni, ed era una Faerie.
“La caccia è appena iniziata, mio Principe, non ti
scoraggiare...E poi, perché non chiedere aiuto ai nostri stessi alleati
mortali? Lo sai che è il branco vince dove il solitario fallisce.”
Hrimhari sorrise di sé stesso. Lei aveva ragione,
naturalmente –ma lui era un Principe, doveva essere capace tanto da solo quanto in
branco!
Già. Ma da buon Principe, doveva anche sapere
quando riconoscere i propri limiti...E in questo caso, in fondo, ne era
contento: detestava separarsi da coloro che gli avevano salvato la vita in
momento di bisogno[xiii],
come aveva appena fatto.
Non avrebbe più ripetuto quell’errore.
Il lupo saltò giù dalla
rupe; a metà salto, assunse un aspetto antropomorfo per gestire l’atterraggio.
Una volta con i piedi per terra, tornò lupo e corse verso il suo nuovo branco.
Avrebbe presto vissuto di persona le conseguenze della sua decisione, nel bene
e nel male...
Paura del palcoscenico.
Fai tutte le prove, ti alleni fino a diventare il
personaggio che dovrai interpretare, nel tuo futuro vedi il primo di una lunga
serie di Oscar...E quattro coppie annoiate, che sono venute al tuo debutto solo
perché l’alternativa era spararsi nei cosiddetti dalla noia, ti riducono il
sangue in gelatina, e i tuoi sogni di gloria si fermano sull’ingresso al
palcoscenico, che ora ti sembra una bocca spalancata sull’abisso del
fallimento.
Questo il quadro in generale.
In un certo senso, per il supergruppo dei Campioni
dello Zilnawa,
la cosa non era molto diversa: individualmente come in gruppo, nessuno di loro
era un absolute beginner. Anzi, in diretta TV avevano fornito ampia prova delle loro abilità[xiv]!
Ma era la prima volta che stavano per commettere un reato
internazionale. Che avessero ragione o torto.
La ragione: ore fa, il team era stato teleportato
in una giungla del Kenya Meridionale dall’entità aliena nota come l’Imperatore. Qui, avevano fatto una
tutt’altro che pacifica conoscenza con alcuni membri di un oscuro gruppo di
guerriglieri, che vivevano come selvaggi, e il cui solo lusso erano armi ed
apparecchi radio per portare avanti la loro lotta. Il leader e padre spirituale
(come si definiva) di quella comunità aveva chiesto aiuto ai Campioni per
liberare un gruppo di prigionieri politici da un campo di concentramento –una delle tante ignominie
che il regime ‘democratico’ e filoamericano del Presidente Moi nascondeva al mondo
libero. Un regime che i guerriglieri intendevano fare cadere.
Il torto: i Campioni non avrebbero mai contribuito, attivamente o
passivamente, ad abbattere un regime liberamente eletto –un evento raro, in
Africa. La presenza degli eroi, ufficialmente al servizio della ricca
democrazia tecnocratica sudafricana, non era autorizzata ne’ dal ‘loro’ governo
ne’ dall’ONU. La loro unica speranza era di potere produrre le prove necessarie
a dare una sveglia alla comunità internazionale, o erano veramente dolori!
L’unica cosa certa era che non potevano voltare le spalle ed usare
simili scuse, non dopo avere visto le foto. Fotografie di fosse comuni, di
mutilazioni, di cadaveri di ogni sesso ed età, foto scattate alla presenza di
nutriti e curati soldati governativi, questi con i mitra in mano come se ci
fosse qualcosa da temere da quei morti!
Il palcoscenico dell’imminente prova era il ‘campo
di concentramento’ Governativo. Una struttura semplice ed imprendibile.
Giaceva in uno spazio ben ripulito, un attacco di
sorpresa era impossibile. Il perimetro esterno era protetto da una recinzione
elettrificata di razor wire. I quattro punti cardinali erano coperti da
potenti riflettori montati su torrette in cemento. Ogni fascio di luce
trasformava la notte in giorno. Pattuglie armate e dotate di enormi cani coprivano
la zona di ‘penombra’.
Il campo era una struttura a raggiera, i cui
‘raggi’ erano casematte fortificate. Un gruppo di baracche in legno e metallo
costituivano il ‘mozzo’. Le strutture più imponenti erano due hangar corazzati
e pieni di antenne delle più disparate forme.
Erano sufficientemente grandi da ospitare agevolmente ognuno un B-29.
Solo da uno degli hangar, partiva una lunga pista in tarmac.
Capitan Ultra, teamleader dei Campioni, focalizzò
la sua Visione-U sulle baracche. La sua vista a neutrini colse gli interni come
se le pareti non fossero esistite.
I prigionieri dormivano tranquillamente...Ed erano
tutti uomini. Niente donne, niente bambini, niente anziani –Ultra rabbrividì,
incerto fra il timore ed il dubbio.
Avevano ucciso gli ‘inutili’, e tenuto in vita gli
unici capaci di sostenere gli ‘interrogatori’, oppure..?
Ma a questo punto, esitare ulteriormente era fuori
luogo. Del resto, Cap, in fondo, non aveva voglia di pensare più di tanto, non
dopo avere udito, mentre si spostavano dal rifugio dei guerriglieri, della
morte di Sabra,
l’eroina Israeliana, in seguito all’ennesimo attentato kamikaze Palestinese[xv].
Era già molto che non si fosse precipitato a casa di Hamas a fare piazza
pulita!
Cap riferì i risultati delle sue osservazioni.
Dietro di lui, il leader dei guerriglieri, l’uomo chiamato Sadu, annuì. Sadu era talmente
scuro di pelle, che avrebbe potuto fondersi senza problemi con la notte. Le sue
braccia erano un reticolo di cicatrici che si premurava di mostrare tenendo le
maniche della camicia kaki bene arrotolate.
Non ci furono commenti –tutto andava come previsto.
I rifornimenti erano stati da poco effettuati, e il personale del campo era
immerso nella sua routine. Sarebbe stata una passeggiata.
Capitan Ultra lanciò un’ultima occhiata agli altri
Campioni coinvolti nell’imminente attacco –Schizoid Man, mutante psichico dalla
doppia personalità, e Terry Sorenson, che su richiesta di Cap portava una maschera per
nascondere la sua identità. Hrimhari, quali che fossero le sue ragioni, era
esitante, e Cap non aveva visto ragione di coinvolgerlo per forza. Quanto a Robert
Takiguchi
ed il Ninja
Bianco,
be’...un paio di jolly avrebbero fatto comodo, se ce ne fosse stato bisogno.
Sadu fece un cenno.
Capitan Ultra partì a una tale velocità, da creare
un violento risucchio d’aria.
Se i radar lo videro, fu giusto il tempo di un
‘blip’. L’istante successivo, Ultra passò attraverso la torre nord, e proseguì
in una perfetta linea retta a sfondare la sud. Terminato quell’attacco,
proseguì il volo schizzando verso l’alto. Si voltò, e dalla visiera del casco
partì una raffica-U. Colpì in pieno la casamatta dove giacevano i generatori.
Gli allarmi tacquero ancora prima di suonare. La recinzione tornò ad essere un
semplice intreccio di metallo.
Terry entrò in azione: il suo corpo si trasformò
nella fiammeggiante figura di Equinox, l’Uomo Termodinamico. Subito le sue fiamme
furono sostituite da solido ghiaccio, mentre lo scambio di calore concentrava
il potere nelle sue mani.
Raffiche di plasma brillanti come comete colpirono
i riflettori, riducendo vetro e metallo a un ammasso informe.
Con il favore dell’oscurità, i guerriglieri
attaccarono, urlando come un solo uomo. Le armi unirono presto la loro voce.
Capitan Ultra irruppe nell’hangar corazzato che
dava sulla pista. Non sapeva cosa ci facesse un Lockheed SR-70 in questo angolo di mondo,
ma era certo che non avrebbe permesso a nessuno di usarlo per fuggire.
Le guardie spararono senza esitare, ma senza
risultati contro l’impenetrabile aura del super-eroe. Un paio di raffiche
ottiche, e l’apparecchio fu irrimediabilmente azzoppato. Altri due colpi, e
furono le guardie a giacere inerti sul pavimento.
Senza perdere un istante, l’eroe sfondò attraverso
la parete, dentro il secondo hangar.
I guerriglieri conoscevano
bene il proprio mestiere: i soldati nemici caddero senza il minimo spreco di
colpi. E mentre Equinox e Schizoid Man si occupavano di coprire i fianchi, una
parte della piccola orda si diresse verso le baracche dei prigionieri, da dove
già venivano urla di incoraggiamento e gioia.
Una gioia ampiamente condivisa da coloro che erano
dovuti rimanere, su esplicita richiesta dei Campioni, nel villaggio nascosto
nella collina.
I più giovani, praticamente gli adolescenti, erano
ammucchiati intorno alla radio da cui veniva il resoconto dello scontro.
Osservandoli esultare, gli occhi accesi dalla gioia
feroce dei veterani, Robert Takiguchi si sentì un brivido –Dio, era mostruoso!
Alla loro età, dovevano conoscere le gioie della vita, non della guerra e della
morte. Lui stesso sapeva cosa voleva dire sacrificare in tal senso la propria
gioventù...Ma, almeno, lo faceva per il più alto degli ideali. Aveva potuto
scegliere, mentre questi poveretti erano nati sotto una così triste stella...
Robert guardò verso il Mazinkaiser, il super-robot, l’arma
convenzionale più potente del mondo. Non importava quanto sangue avesse dovuto
versare con il suo titanico compagno d’arme; se fosse riuscito a difendere Progetto
Exodus
fino al suo compimento, non sarebbe stata una gioventù sprecata... Hm?
La mazza si abbatté
fulminea sulla sua testa.
“Sta commettendo un grave errore, Capitano,” disse
l’uomo in una divisa riccamente gallonata.
“Questo lo deciderà il Tribunale dell’Aja,” ribatté Ultra, tenendo
sott’occhio gli scienziati ancora fermi ai loro posti. Le guardie giacevano a
terra, inerti. “Ne avrete, di infamie, da rispondere.”
Il volto rugoso del militare dai capelli brizzolati
sembrò acquisire nuove rughe, per la perplessità. “Infamie..?”
Ultra desiderò tanto che gli alieni che gli avevano
dato il suo potere gli avessero dato anche la telepatia. Quel tizio sembrava sincero
come Giuda...ma per ragioni ben diverse da quelle immaginate.
Cap avanzò verso di lui, le mani brillanti di
energia. “Sterminio di massa, eliminazioni politiche, tortura...Devo
continuare? Collabori, e le prometto che non le succederà nulla fino al
processo.”
Incredibilmente, un’ombra di sollievo attraversò il
volto del militare...Sollievo che durò poco, perché in quel momento la porta si
spalancò, e Sadu in persona irruppe alla testa della sua squadra! Il leader
puntò la mitragliatrice, e sparò una sola raffica sul corpo del militare.
“NO!” Urlò Ultra, che non poté che afferrare il
corpo inerte sbattuto contro di lui.
Sadu lo fissò con severità.
“Per quello che ha fatto, doveva pagare, Capitano...Voialtri,” disse a un paio
di soldati che portavano uno zaino in spalla, “sapete cosa dovete fare.
Avanti!”
Doveva concederlo: sapevano muoversi bene, sapevano
approfittare della distrazione del nemico.
Peccato che Robert, per quanto privo di
superpoteri, non fosse esattamente un dilettante! Aveva colto il movimento con
la coda dell’occhio, ed era rotolato via all’ultimo istante. Solo i suoi
capelli furono scompigliati.
Robert terminò il movimento di evasione allungando
una gamba, a colpire quella del suo aggressore. Si udì un suono schioccante,
mentre il ginocchio cedeva, ed il giovane guerrigliero cadeva con un urlo.
Purtroppo, già altri avevano puntato le loro
pistole, e fecero fuoco.
Robert fu colpito in pieno
al torace ed allo stomaco!
“I massacri erano una montatura, vero?”
I soldati si erano dispersi. Un gruppo di loro
teneva sotto tiro il personale del laboratorio. Gli altri si erano diretti
verso l’ascensore –Cap si diede del fesso, per non avere visto cosa conteneva
il livello inferiore, dando invece per scontato che ci fosse una sala degli
interrogatori o qualcosa di simile, come gli aveva detto Sadu.
“Non proprio,” disse Sadu, compiaciuto. “Diciamo
che non erano opera del Governo.”
Ultra si sentì male. “Voi..?”
Sadu fece una smorfia di
disprezzo. “Avevano tradito gli ideali del Corano, Capitano. Si erano venduti ai
filoamericani; la loro esecuzione doveva essere un esempio..Peccato che il
Governo fosse giunto appena in tempo per arrestare i fedelissimi ora
prigionieri.”
Il loro errore fu di credere che la tuta di Robert
fosse solo un pezzo di stoffa colorata con un po’ di imbottitura. Lo videro
cadere dall’imboccatura della caverna, soddisfatti, senza sapere che quella
stoffa colorata era fatta di polimeri capaci di reggere una raffica di
proiettili calibro 45 a distanza ravvicinata.
Robert fece una capriola, e attivò i propulsori
negli stivali per frenare la caduta. Appena a terra, corse verso il Kaiser Pilder parcheggiato lì vicino. Lo
sapeva, che quelli li avevano
imbrogliati fin dall’inizio! Fortunatamente, lui era il solo e l’unico che
potesse pilotare Mazinkaiser...
I suoi pensieri furono interrotti da un’esplosione!
Robert si voltò, ammutolito.
L’intera fiancata della
collina stava franando addosso a Mazinkaiser!
“Il tempo della grande rivolta è vicino, Capitano.
Ogni popolo oppresso di questo mondo si solleverà contro i suoi sfruttatori. E
sarò io a fornire il più grande
mezzo per questa rivolta...” in quel momento, un potente tremore percorse il
pavimento. Sadu era raggiante. “Ahh, finalmente!”
Tre minuti dopo, le porte dell’ascensore si
aprirono. I soldati inviati da Sadu non portavano più lo zaino, ma uno di loro
possedeva una specie di scatola. Di qualunque materiale fosse fatta, l’oggetto
che conteneva possedeva una tale luminosità da rendere le pareti trasparenti.
Il soldato porse la scatola
a Sadu, che la prese e a sua volta la allungò verso Ultra. “Vuoi vendicarti,
Capitano? Ora ne hai la possibilità.”
La calotta della cabina si aprì, e Robert saltò a
bordo. Mica stupidi, gli amici! Con la sola tecnologia del Falcon intatta,
potevano ricavare lo sa Dio quanti vantaggi, e una volta disseppellito il
Mazinkaiser, sarebbe stata solo questione di trovare l’offerente migliore...
Il sistema diagnostico riconobbe il pilota in pochi
secondi. Le luci erano verdi. I pannelli di comando si accesero, e Robert fece
partire il veicolo in una fiammata di razzi.
Il Light Falcon sorvolò il punto della frana. I
proiettili rimbalzavano inutilmente sulla fusoliera di starlega indistruttibile. Per fortuna,
aveva deciso di disattivare il dispositivo-stealth almeno per la notte, o non
ci sarebbe stata energia sufficiente, adesso, per rispondere a questo comando, “Maziiinga Fuori!”
Luce esplose fra i massi,
un attimo prima dell’esplosione che li disperse. Propulso dal jet-pack sulla schiena, Mazinkaiser, le braccia lungo
i fianchi, decollò verso il suo padrone.
Il Light Falcon puntò
dritto verso il cranio aperto del robot. “Aggaanciamento!”
I retrorazzi sul muso
frenarono la caduta, e il Falcon si incastrò alla perfezione. Gli occhi di
Mazinkaiser si accesero. La cabina roteò in posizione orizzontale, e allo
stesso tempo la corazzatura metallica coprì il cristallo. “Pronti al
combattimento!”
Il jet-pack si dilatò in un
propulsore alato, e Mazinkaiser si diresse verso la sua nuova destinazione.
“Hai sentito bene, Capitano. Prova a colpirmi
adesso. Distruggi la scatola e me con la tua energia. Se sarai fortunato,
potrai uccidermi e ripulirti la coscienza. E ti consiglio di non esitare o
tentare di colpire solo me, o avrai ancora molti più morti sulla coscienza. E
lo stesso vale per i tuoi amici, che credo stiano affrontando un dilemma non
dissimile.”
“Dice il vero,” fece Equinox dal comunicatore
subcutaneo. “Sono in troppi, e hanno troppi ostaggi. Schizoid...be’, lo sai, ha
già speso troppe energie per...”
“Capisco,” disse Ultra, tetramente. Aveva visto il
contenuto della scatola, e aveva una mezza idea di quello che sarebbe
successo...Perciò, aveva solo una cartuccia a disposizione... “Obbedirò. E
spero che ti farà molto male.”
Una raffica ottica di una potenza pari a quella
usata per annientare il simulacro dell’Imperatore investì la scatola e Sadu.
Indubbiamente, il guerrigliero non si era aspettato una simile potenza cinetica,
perché fu sbalzato via attraverso la parete in un’esplosione di luce
multicolorata!
Ultra approfittò della sorpresa dei soldati, per
abbatterli uno dopo l’altro. Immediatamente, si rivolse al militare in uniforme
ancora riverso sul pavimento. “Signore, sta bene?”
L’apparente follia di quella domanda trovò risposta
nel movimento del ‘cadavere’, che si alzò in ginocchio, seppure un po’ a
fatica. “Domanda superflua, Capitano...Cominciavo a credere che fosse
impazzito, lo sa?”
Cap osservò l’uniforme percorsa dai fori dei
proiettili...proiettili che erano stati fermati sotto il tessuto da un campo di
forza-U. “Mi sono concesso il beneficio del dubbio...E sono felice di averlo
fatto, signore.”
“I miei uomini..?”
Cap sorrise come un micio soddisfatto. “Non credo
che perderanno nulla, della festa.”
La ‘rivolta’ finì nel momento in cui Sadu uscì come
una palla di cannone dall’hangar.
I soldati Governativi ‘morti’ e sanguinanti
scattarono in piedi all’unisono! I guerriglieri urlarono il loro terrore, e
praticamente non fecero resistenza mentre venivano disarmati dai ‘cadaveri’. I
prigionieri liberati praticamente caddero in ginocchio, chiedendo pietà.
Poi, sotto gli occhi sorpresi dei prigionieri, i
soldati persero le loro fattezze cadaveriche. Il sangue, i frammenti d’osso,
ogni ferita –scomparvero come non fossero mai esistiti!
Equinox batté una mano sulla spalla di Schizoid
Man. “Bel colpo, vecchio mio: non ci credevo, che saresti riuscito a creare
quelle illusioni a colori.”
Il mutante si sfregò una tempia sudata dalla
stanchezza. “Richiede molta energia. Per fortuna che avevano fretta e non hanno
cercato di sterminare tutti e subito, o non ce l’avrei fatta.”
In quel momento, una nuova esplosione di luce
accese la notte!
Una sfera pulsante si levò sopra il campo. Una
sfera che conteneva la figura umana che una volta era stata Sadu, ma che ora
era coperta da un costume integrale bianco e nero, dai guanti e gli stivali
neri.
“Idioti!” Disse la figura. “La vostra piccola vittoria non
è niente in confronto al potere che ora fa parte di me. Il potere del nuovo Dottor
Spectrum!”
Tese le mani, e manette di energia solida apparvero intorno ai polsi di ogni
singolo soldato e a quelli dei super-esseri!
“La vostra esecuzione dovrà avvenire alla luce del
sole, davanti a tutto il mondo,” disse Spectrum. “Solo così, i veri fedeli
sapranno che è giunto il momento della rivolta, che non ci sarà nulla da
temere...YARGH!”
Superpotente o no, Spectrum era ancora un essere
umano, e come tale incapace di impedire che una coppia di raggi
fotonici
lo colpisse alle spalle alla velocità della luce!
Purtroppo, era anche vero che adesso il
neo-supercriminale possedeva una ben più ampia resistenza. Reagì velocemente,
trasformando il suo pensiero in un colossale guerriero tribale.
Robert bestemmiò, e portò Mazinkaiser in posizione
di combattimento.
Il costrutto attaccò, lancia in testa, a velocità
subluce. Di fatto, Robert non poté che incassare il colpo: e per quanto la
struttura del robot possedesse microspecchi per riflettere gli attacchi laser,
le strane frequenze del costrutto poterono superare quasi indenni quella
barriera. La lancia, in altre parole, si piantò nel petto sinistro di
Mazinkaiser!
Per la prima volta nella sua vita, Robert avvertì
un dolore tremendo, un dolore che urlò
attraverso Mazinkaiser.
Spectrum
rideva. “Per Allah, che figura ridicola! E quella sarebbe la più potente
macchina da guerra dello Zilnawa? Sarà un piacere conquistare quella nazione
per pr*HUUFF!*”
“Intanto,
eccoti il pugno più potente dello Zilnawa, pazzo assassino!” fece Ultra,
arrivandogli addosso come una cometa. Spectrum fu scaraventato contro una
casamatta, a una tale velocità che la struttura si infranse in una spessa nube
di polvere!
Robert
ignorò il dolore –era ancora presente, il che voleva dire, come gli strumenti
confermavano, che il robot era stato danneggiato! Se il colpo fosse andato un
po’ più in basso, avrebbe preso una delle pile nucleari..!
Il
costrutto-guerriero stava tornando all’attacco...ed esitò –o meglio, tremolò
come un’immagine televisiva male sintonizzata.
“Rust Tornado!” la griglia che era la bocca di Mazinkaiser emise un
tremendo triplo ciclone al quale erano mescolate microparticelle abrasive. Il
costrutto fu spinto via come una foglia al vento, anche se senza alcun danno
apparente.
Di
sotto, Spectrum emerse dalle macerie fumanti. “Non lo volete capire, vero?
Grazie al vostro amico eroe, la pietra è dentro di me! Sono invincibile!”
“Sai
come si dice, allora, no? Lasciaci sognare!” fece Equinox, avvolgendo l’uomo in
intense ondate di calore e gelo –ma era inutile, adesso una specie di campo di
energia circondava Spectrum.
Il
criminale rispose proiettando un ariete di energia sul malcapitato
ex-criminale, sbattendolo via con facilità! Intorno a loro, era scoppiata una
nuova lotta fra guerriglieri e soldati. E questa volta, i morti causati dalle
armi non furono una finzione...
Schizoid
Man osservava, cercando di tenersi in disparte. Dannazione, avrebbe potuto fare
qualcosa, se solo ne avesse avuto la forza! Il potere di quel pazzo
avrebbe potuto essere spento facilmente, se si fosse riusciti a giungere alla
sua mente...
“Dave?”
Quasi
gli venne un infarto; in compenso, fu molto felice di vedere “Hrimhari!”
“Avverto
la tua urgenza, amico mio,” fece il lupo umanoide, avvicinandosi, “e sento di
cosa hai bisogno. Lascia che ti aiuti.”
Il
mutante non fece obiezioni, quando le mani del Principe si posarono
delicatamente sulle sue tempie...
Spectrum,
nel frattempo, stava scoprendo che Ultra era davvero un osso più duro di quanto
avesse sospettato. L’eroe riusciva a parare tutti i suoi attacchi, e a
rispondere colpo su colpo. Erano ad uno stallo. Spectrum generava gli oggetti
più disparati e letali, e Ultra li distruggeva con facilità. Ultra attaccava,
ma non riusciva ad infliggere un danno serio al criminale, il quale riusciva a
tenere impegnato anche Mazinkaiser allo stesso tempo.
Robert
urlò di nuovo. Questa volta, ad essere colpito era stato il braccio sinistro,
che ora pendeva inerte lungo il fianco. L’unica fortuna –se così la si poteva
chiamare- era che il costrutto disperdeva molta energia ad ogni contatto con la
copertura refrattaria e la starlega stessa...Anche se Robert non poteva certo
contare molto a lungo su tali parametri. Se Spectrum avesse deciso di fare
colpire la cabina, era la fine!
Altro
attacco! Ma questa volta, la sorpresa l’ebbe il costrutto! I suoi movimenti
erano ripetitivi, prevedibili.
E
Robert ne aveva approfittato per accumulare energia in un’arma: i raggi
fotonici, che colpirono in pieno il costrutto a un millisecondo dall’impatto!
“Ben
fatto, Robert. Ora, preparati al colpo di grazia.”
Il
giovane sobbalzò. “Professor Giapeto!”
Lo
scienziato Italiano continuò con tono neutro. “Il costrutto è fatto di luce
solida, ed essa è un eccellente conduttore di elettricità. Preparati.”
Robert
non aveva alcuna voglia ne’ di disobbedire di nuovo, ne’ di discutere sul fatto
che comunque i riflessi di Mazinkaiser sarebbero stati troppo lenti per colpire
il costrutto per tempo...Ma se il Professore diceva di prepararsi, lo avrebbe
fatto eccome!
Finalmente,
Sadu ebbe analizzato a sufficienza il modus operandi di Ultra. E questa volta,
lanciò una nuvola di sfere acuminate contro l’eroe!
Come
previsto, Capitan Ultra si gettò contro di esse a testa bassa, la visibilità
limitata in quella tempesta luminosa...e troppo tardi si avvide del nuovo
ariete, che lo colpì in pieno con tutta la forza che Spectrum potesse generare!
Stavolta,
fu Ultra a piombare al suolo come una bomba.
Spectrum
gongolò. Un solo colpo ancora, e avrebbe tolto di mezzo quell’insolente
creatura inferiore dall’accento ebraico...
Fu
in quel preciso istante, che un tentacolo di energia psichica entrò nel suo
cranio! Il suo corpo fu scosso da tremende convulsioni, e se non fosse stato
per il potere della pietra cosmica, sarebbe sicuramente morto...
Il
costrutto quasi perse di consistenza, il volto una maschera di agonia identica
a quella del suo padrone.
Robert
ghignò. “Turbosmasher Punch”
Gli
avambracci di Mazinkaiser presero a ruotare, ma prima di distaccarsi, si
caricarono di energia elettrostatica, accendendosi come lampadine! Quando
furono lanciati, trasportavano con sé abbastanza corrente da friggere una
supersentinella.
Il
costrutto fu colpito in pieno! E la corrente, attraverso di esso, attraverso il
legame che lo univa alla pietra, cioè al corpo di Spectrum...
...colpì
Spectrum stesso! L’urlo di dolore del criminale si perse nella tempesta di
elettroni che lo percorse da capo a piedi. E per quanto potesse essere protetto,
già indebolito com’era dall’attacco di Schizoid Man, fu solo un miracolo se si
limitò a prendere fuoco, e a cadere, inerte. Sconfitto.
A quella visione, fu come se una doccia fredda avesse
investito i guerriglieri ed i prigionieri. La resa fu pressoché istantanea.
L’X-101
aspettava sulla pista in tarmac. Un’ambulanza stava portando via il corpo di
Spectrum –ustioni di terzo grado sulla maggior parte del corpo, fratture
varie...se fosse sopravvissuto, avrebbe speso il resto dei suoi giorni nella Volta
o li avrebbe terminati di fronte a un plotone di esecuzione.
Simone
Giapeto strinse la mano del comandante del campo. “Forse non tutto è filato
liscio come avremmo voluto, signore, ma almeno la missione è riuscita, e questa
gente non minerà più la democrazia Kenyota.”
La
stretta fu ricambiata con altrettanta cordialità. “Hanno recitato bene la
parte, devo concederlo, Professore. Voglia Dio che un giorno non ci debba
essere più bisogno di combattere in questa nostra terra martoriata.” In
compenso, la sua espressione era finta quanto era genuino il rancore che
provava...
Poco
dopo, il velivolo decollò verticalmente, seguito dal Mazinkaiser. Destinazione,
la base mobile StarGlider 1000.
A
bordo, Giapeto disse, “Alexander Thran aveva deciso di prendere due
piccioni con una fava: migliorare la posizione diplomatica dei Campioni e
prevenire il programma di super-esseri del Kenya.
“La
vostra posizione in qualità di ‘infiltrati’ era stata ufficializzata, ma
non siete stati tenuti al corrente perché era indispensabile che vi comportaste
in modo da causare la nascita del nuovo Dottor Spectrum. Adesso, il Governo di
Moi non oserà mai mettere un simile pazzo estremista al proprio servizio, e la
pietra cosmica non è duplicabile.”
“State
scherzando?” fece Ultra, ancora massaggiandosi una costola lesa –il potere
Ultra lo aveva guarito dalla frattura, ma il livido ahio se faceva male! “E
come facevate a sapere che sarebbe andata come avevate previsto? Avete
la sfera magica?”
Giapeto
sorrise. “Qualcosa del genere: si chiama Seldon, ed è un software in
grado di elaborare scenari e comportamenti con una precisione degna delle
elaborazioni del Pensatore. Inoltre, grazie al Ninja Bianco,”
aggiunse, indicando la figura silente seduta in coda, “i sistemi informatici
della base sono stati resi inutilizzabili, anche se la colpa ricadrà su
Spectrum.”
“Thran
odia così tanto la concorrenza?” fece Terry, che non godendo del fattore
rigenerante di Ultra, doveva stare attento a come respirava.
Qui,
Giapeto si fece serio. Sopra di loro, già incombeva l’SG-1000. “Moi terminerà
presto il suo mandato, e dopo di lui è una scommessa sapere chi gli succederà.
Pochissime democrazie in Africa possono vantare una genuina solidità, e non
possiamo permetterci il lusso di un caos alimentato da superpoteri...Ma per
quei paesi che riusciranno a tenere la testa sulle spalle, Thran in persona
favorirà lo sviluppo di eventuali programmi di super-esseri.”
L’X-101
e Mazinkaiser atterrarono sul ponte posteriore della fortezza volante. I
Campioni avevano avuto un primo assaggio delle scale di grigio che facevano
parte della politica in Africa...E almeno quattro di loro si chiesero quanto
altro avrebbero dovuto scoprire, di questo mondo dal quale erano stati finora
così lontani...